ITALIA

Il mondo salvato dai bambini e dalle bambine

In questi giorni di pandemia, ai bambini e ai minori non è stata riservata alcuna visibilità, nonostante la reclusione prodotta dalla quarantena avrebbe richiesto strumenti di comprensione e attenzione istituzionale. Un’intervista alla psicologa Alessandra Bortolotti, al pediatra Franco De Luca e al centro popolare di psicologia clinica Équipe di Limen

Non ho mai visto un bambino, era solito affermare Winnicott che, come pediatra, aveva trascorso la vita tra i più piccoli. Ogni volta che sono stato chiamato, aggiungeva, vi era accanto a lui un adulto. Con questo paradosso ormai proverbiale, il grande analista dell’infanzia intendeva affermare come, in realtà, il bambino esiste solo in funzione dell’adulto che lo guarda secondo i suoi tempi e modi. Ma che povera idea gli adulti si sono fatti dell’infanzia, verrebbe allora da dire, se osserviamo la condizione di totale invisibilità a cui sono costretti i bambini e i minori in queste settimane di quarantena. La dice lunga sulla considerazione che questo paese ha dei più piccoli. Anche i cani (sic!) hanno avuto maggiore attenzione rispetto a milioni di persone di cui nessun decreto si è voluto occupare. Ai bambini è stata concessa una furtiva passeggiata fuori casa in risposta alle molte pressioni e denunce da parte di associazioni e giornali di informazione pediatrica. Tutto questo mentre molti genitori venivano presi di mira e insultati dai balconi perché uscivano a far la spesa con loro, anche con i figli più piccoli trattati/e come untori inconsapevoli.

Le istituzioni hanno pensato a loro solo quando hanno interrotto bruscamente la scuola, senza alcuna comunicazione preventiva né successiva. Così, le maestre, i compagni e le compagne di classe sono sparite dalla loro vita dal giorno alla notte. Non sono state date indicazioni, suggerimenti, né strumenti per navigare a vista. Non sono arrivate comunicazioni ai genitori da parte dei dirigenti scolastici, né delle educatrici.

Ma in questi giorni di pandemia, se l’adulto scopre di aver bisogno di guardarsi attorno per capire cosa sta accadendo, ancor più urgente è ascoltare cosa fanno i bambini per capire cosa accadrà. Quei bambini che in queste settimane stanno vivendo reclusi in casa, al pari degli adulti, senza però avere gli strumenti per comprendere e sopportare tale situazione. Regressioni (pipì a letto), crisi di pianto, insonnia e generale incomprensione sono le esperienze più comuni per i piccoli che oggi stanno vivendo questa emergenza. Nel contesto generale di invisibilità, i genitori hanno pochi strumenti in mano, e spesso non sanno come gestire le paure e le crisi di pianto.

Per cercare aiuto su come affrontare questa situazione, abbiamo chiesto a Alessandra Bortolotti psicologa dello sviluppo e dell’età evolutiva, al pediatra Franco De Luca e al centro popolare di psicologia clinica Équipe di Limen di rispondere ad alcune nostre domande.

 

Come mai il governo e in generale l’opinione pubblica, tranne rari interventi di alcuni specialisti/associazioni, hanno relegato all’invisibilità una fascia così ampia di popolazione e per giunta una fascia così fragile che è ancora all’inizio della crescita neuro-psicologica? Quali settori delle istituzioni devono farsi carico di questo problema?

 

Alessandra Bortolotti (AB): Non mi stupisce affatto che il nostro sia un mondo adulto-centrico. E che i bambini siano al margine degli interessi politici e governativi. Non credo che questo significhi proteggerli, visto che sono la fascia meno a rischio della popolazione. Inoltre, questo ha costretto i genitori a un carico ancora più oneroso, ignorando che proprio nelle famiglie disfunzionali poter uscire anche fisicamente da dinamiche potenzialmente traumatiche è una risorsa. Sembra che i bambini dovessero “ubbidire” al volere dei grandi e ancora di più al potere dei potenti, di chi comanda. Pertanto, tutte le istituzioni dovrebbero avere a cuore i più piccoli.

 

Franco De Luca (FDL): È chiaro che i bisogni dei bambini devono essere alla pari di quelli di tuti gli appartenenti ad una comunità. La chiusura delle scuole e dei nidi è stata una dura necessità con tutte le faticose e dolorose conseguenze. Come al solito, anche per evitare gli eccessi come la caccia all’untore, bisogna che ci sia un’informazione chiara e provata. In questa fase i soggetti maggiormente a rischio sono gli anziani – in particolare quelli affetti da patologie croniche come cardiopatie, bronco-pneumopatie ostruttive, diabete, obesità, neoplasie – e quindi va evitato il contatto tra i bambini, potenziali portatori sani e quindi non riconoscibili, e queste persone compresi quindi nonni a rischio o altri congiunti.

 

Équipe di Limen (EL): Nei diversi decreti che hanno delineato le misure del lock-down, su bambin* e adolescenti c’è stato un silenzio prolungato. Molte famiglie si sono sentite, e si sentono tuttora, lasciate sole. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha chiesto al Presidente del Consiglio di inserire anche un esperto in materia di infanzia e adolescenza nella task force per la fase 2 e diverse associazioni, come Save the Children e Alleanza per l’infanzia, hanno protestato formalmente contro restrizioni considerate eccessive o inadeguate.

È un silenzio difficile da sostenere, perché in una situazione di restrizione sociale, i/le più piccol* sono sicuramente tra le categorie più vulnerabili. Genitori e figl* non si sono sentiti vist* dalle istituzioni e questo non ha fatto che aumentare un senso di paura, preoccupazione e solitudine. Di fronte alle chiusure necessarie ci siamo sentit* impreparat* e spaesat*.

Come facciamo a prenderci cura di qualcuno e a proteggerlo quando siamo noi stess* spaventat* e sentiamo tutto sulle nostre spalle? Le famiglie si sono ritrovate, molto velocemente, ad affrontare sole con i figli e le figlie quello che stava accadendo e a doversi riorganizzare a livello emotivo, pratico e concreto. Quando abbiamo un bisogno a chi ci rivolgiamo? Nella nostra società, per quanto riguarda i minori in generale, esistono due istituzioni di base, la scuola e la sanità, che rispondono a diversi bisogni: la prima di istruzione, educazione e socializzazione, la seconda di cura e tutela della salute. Ci sono poi altre realtà che offrono diversi servizi rispondenti a varie necessità, bisogni o desideri: pensiamo alle palestre e società sportive, alle ludoteche, biblioteche e parrocchie e non per ultime alle realtà associative e cooperative che si occupano di prevenzione, informazione e cura in ambito della salute e del benessere mentale. Molte di queste realtà hanno cercato dove potevano di ri-adattarsi per continuare il loro lavoro e per rimanere dei validi punti di riferimento. Questo periodo è un momento per ripensare a nuove soluzioni compatibili con la situazione contestuale che tutt* noi stiamo vivendo. Le famiglie possono continuare a rivolgersi ai/alle professionist* dei vari settori (medico, psicologico e sociale) per chiedere supporto e continuare a fare rete, rafforzando il senso di appartenenza a una comunità solidale.

Le istituzioni pubbliche, i centri convenzionati e le associazioni operanti sul territorio che si dedicano alla tutela e alla salute mentale in età evolutiva stanno collaborando per cercare di garantire una continuità dei servizi e per non perdere il lavoro di prevenzione, tutela ed inclusione per i/le minori e le famiglie fatto fino ad oggi.

 

Pare ormai chiaro che le scuole riapriranno a settembre. Cosa potremo chiedere alle istituzioni? Cosa alle singole scuole?

 

AB: La scuola è un diritto oltre che un obbligo per molte fasce di età, oltre che un luogo di assembramento potenzialmente pericoloso per la diffusione del virus. Stupisce che non ci sia stata uniformità nell’approccio continuativo per la formazione e l’apprendimento dei nostri ragazzi. Il mondo virtuale sarà parte del loro futuro e molte scuole si sono rivelate impreparate alla svolta digitale. In ottica futura credo sia impellente e necessario comprendere queste modalità dando la possibilità a tutti ragazze e famiglie di familiarizzare e di avere dispositivi gratuiti per accedere alle varie piattaforme digitali. Credo che molti insegnanti abbiano fatto del loro meglio e si siano resi disponibili, ma a monte forse non c’era sufficiente pregressa abitudine a utilizzare questi media. Pertanto credo che sia le istituzioni sia le singole scuole debbano puntare al massimo su questo tipo di proposta formativa.

 

FDL: Le istituzioni che dovranno garantire un rientro a scuola sono a mio avviso la Regione, il Comune e i Dirigenti scolastici che hanno la responsabilità di assicurare a tutti i bambini un rientro a scuola garantito da adeguate misure di protezione. Sulle misure di distanziamento sociale e sulle misure igieniche come il lavaggio delle mani sono sicuro che i bambini saranno capaci di aderire anche con divertimento alle nuove regole.

 

EL: Al pari degli/delle adult* che lavorano da casa, che hanno sospeso del tutto o in parte le loro attività lavorative, i/le bambin* soffrono la mancanza di quel contenitore pensato ad hoc per loro, affettivo, educativo e sociale promosso dall’asilo e dalla scuola. Ci si sente disorientat*, più vulnerabili ed espost* al sentimento di impotenza di fronte ad una mancanza così importante per le famiglie.

La scuola spesso viene vissuta in maniera ambivalente come uno spazio tanto temuto quanto desiderato dai genitori dove altre figure educative accolgono e si prendono cura temporaneamente dei/delle propri* figl*. Un patto di fiducia profondo, costruito nel tempo e che non può essere trascurato, un’alleanza tra genitori e maestr* che deve essere pensata e alimentata anche a distanza.

È proprio all’interno delle mura scolastiche che i bambini e le bambine imparano il senso di separatezza tra sé e i genitori, a giocare da soli, a stare con gli altri e a rispecchiarsi nell’altro. Imparano inoltre il significato delle regole, a tollerare le frustrazioni e si creano legami che si possono momentaneamente strappare con un morso perché “quel gioco è mio”, ma anche essere ricuciti dopo pochi minuti. Una prima palestra sociale per fare esperienze autentiche di gioco condiviso e di convivialità che manca molto anche ai genitori.

Vedere un* bambin* che gioca con altr* bambin* veicola sentimenti di benessere e rassicurazione anche nei genitori. I/le bambini/e più piccoli/e possono esprimere questa mancanza con un rifiuto o apatia nel giocare assieme ai genitori oppure chiedendo loro di fare attività costantemente insieme 24 ore su 24.

Si invitano i genitori ad accogliere le richieste dei bambini e delle bambine, espresse magari in maniere caotica, giocando e verbalizzando con loro anche le emozioni – «ma quanto ci manca la maestra Maria che insegnava a fare le formine con la pasta di sale, come faceva te lo ricordi?».

Inoltre, tenendo vivi i contatti e i ricordi fra genitori, maestr* e alunn* si ri-attiveranno le tracce di legami che momentaneamente siamo stati costretti a sospendere, ma non a dimenticare. Nell’attesa di rivedersi di persona possiamo “navigare” non ciecamente, ma telematicamente contattando maestr* e altri genitori: si possono disegnare i giochi e le persone che ci mancano, raccontare storie, scrivere letterine, cantare le canzoni apprese a scuola per non perdere di vista la mappa dei legami finora costruita dalle famiglie.

 

 

Vi è un’emergenza sanitaria, ma anche psicologica che nessuno sta gestendo, né monitorando. Come possiamo aiutare i nostri piccoli e sostenerli? Come gestire la paura, le “regressioni”, le crisi di pianto dei più piccoli?

 

AB: Non credo si tratti di “regressione”, ma di un sano bisogno di rassicurazione da parte dei più piccoli che vedono stravolto il proprio mondo e quello degli adulti di cui si fidano.È una questione di base sicura dalla quale partire per esplorare il mondo e in questo caso, come in tutti i momenti della vita in cui se ne senta il bisogno, a cui fare ritorno per fare il pieno di fiducia e sicurezza. Questa non è regressione, ma un seme di salute che mira alla ricerca di sicurezza verso gli adulti che li stanno crescendo. Credo che i genitori abbiano eccome le risorse! Basta dare fiducia anche a loro, nella relazione coi loro piccoli. Le risposte alle emozioni, soprattutto quelle negative si trovano nel sentirsi amati e riconosciuti anche se proviamo qualcosa di estremamente difficile da comprendere. Altra cosa è sostenere i genitori, che non sempre mi sembra sia stato fatto dalle Istituzioni, basti vedere il caos INPS e Casse previdenziali… e nemmeno dalla nostra cultura in cui prevalgono i pregiudizi dettati dalla norma culturale così diversa dalla norma biologica, da come siamo fatti. La nostra non è una cultura che ritiene l’educazione affettiva prioritaria, piuttosto si parla di metodi e di errori vari. Non certo di dare fiducia a grandi e piccini valorizzando la loro relazione.

 

EL: La nostra esperienza clinica ha assunto una nuova forma per incontrare genitori, bambini e bambine, spostandola da un setting più tradizionale verso una piattaforma telematica. Molti centri ed associazioni territoriali come la nostra, non hanno mai spento i contatti con i/le propri* utenti e lavorano anche per accogliere nuove richieste di aiuto.

Dopo alcuni iniziali aggiustamenti e con la collaborazione dei genitori è possibile mantenere una relazione terapeutica nonostante la distanza anche con i/le bambin* più piccol*.

In alcune famiglie, dopo un primo periodo di entusiasmo da parte dei/delle bambin* per lo “stare insieme a casa in una pseudo-vacanza”, il prolungarsi delle restrizioni ha reso la situazione più difficile e pesante. La fatica dei genitori può ricadere sui/sulle figli* e viceversa, con un surriscaldamento delle temperature emotive che circolano dentro casa. La famiglia si può sentire ingabbiata in uno scenario quotidiano di drammatizzazioni corporee delle paure, dove urla, pianti e disregolazione dei ritmi sonno-veglia portano i suoi componenti a malapena ad ascoltarsi sembrano parlare linguaggi incomprensibili.

Alcuni genitori raccontano di un blocco di pensabilità rispetto al progettare un nuovo modo di riorganizzare le giornate dentro casa per e con i/le figli*, ma anche per loro stessi.

Quindi vogliamo dire intanto: non siete sol*; è normale avere paura in questo momento e se la paura è accolta, poi passa; è normale sentirsi annoiat* in queste giornate, non bisogna sempre fare qualcosa di meraviglioso; è nuovo avere tutto questo tempo a disposizione, non ci siamo abituat*; è pesante stare sempre in contatto dentro casa e sentire improvvisamente poco spazio, possiamo rimanere un po’ sol*, si può fare; è triste non poter uscire e vedere gli/le altr*, possiamo chiamarl*. Questa situazione finirà, non sarà così per sempre.

Come ritrovare allora questi spazi che sembrano momentaneamente dispersi?

Immaginando, a partire dallo spazio fisico della casa, un angolo che possa essere trasformato e dedicato all’ascolto di storie e, perché no, anche della nostra storia attuale di quarantena, dove tutt* i/le bambin* si staranno chiedendo: chissà cosa fanno gli/le altr* bambin* nelle loro case, cucinano come faccio io con mamma e papà? Chissà se si sentono come me un po’ arrabbiat* e tanto annoiat*?
Un altro angolo può essere dedicato al gioco del far finta utilizzando qualsiasi oggetto: anche i genitori possono giocare con i/le propri* figli* ad andare a lavoro, al supermercato, in libreria, a teatro, condividendo con loro momenti piacevoli. Gli adulti, attraverso un ascolto attivo, potranno sorprendersi di quanto i/le bambin*, siano in grado di esprimere le loro paure sia in maniera diretta che attraverso il gioco simbolico: la paura del virus può essere rappresentata come un mostro che tiene tutt* imprigionat* nello sgabuzzino di casa!

 

Come possiamo decostruire l’immagine di bambini untori – portatori di virus per eccellenza – soprattutto quando il lockdown finirà ma il virus continuerà a circolare?

 

AB: Sinceramente non credo che le critiche fossero dirette ai bambini, ma ai genitori. Così come spesso viene detto a un bimbo che poppa a tre anni: ma non ti vergogni? La sciupi la mamma! Non mi sorprende questa caccia alle streghe e all’untore. Non sarà né la prima né l’ultima volta. Noi genitori dobbiamo girare con uno scudo sempre pronto, almeno nella nostra mente e proteggere i nostri bambini spiegandogli in maniera costruttiva che la diversità tra le persone è una risorsa, ma non tutti se ne rendono conto. Vogliamo nel mondo adulti capaci di senso critico, accoglienza e valorizzazione delle differenze e occorre cominciare proprio da loro. Potremmo considerare questa occasione come una risorsa da valorizzare.

 

EL: Noi per prim* non dovremmo colludere con questa dura immagine, ricordandoci che non siamo responsabili di quello che possono credere erroneamente gli/le altr*. Detto ciò, il meccanismo del vedere nell’altro un untore è tipico delle emergenze mediche fin dalla notte dei tempi.

Le categorie lasciate nell’ombra, come in questo caso i/le bambin*, sono quelle più suscettibili ad assumere questo ruolo. È lo stesso meccanismo alla base della xenofobia, del razzismo, dell’omotransfobia. Gli individui che non vengono visti dalle istituzioni sono gli stessi a essere più discriminati.

Per il Covid-19 prima erano i cinesi, poi i runner e i bambini. A livello collettivo purtroppo le paure irrazionali contagiano il pensiero e danno voce a insensate convinzioni; di fronte a questo, i primi a sentirsi giudicati purtroppo sono i genitori. Un sentimento di incertezza, diremo quasi universale, che li porta a sentirsi spesso giudicati, sbagliati e in colpa qualsiasi cosa possono fare anche nelle situazioni di non emergenza. In questo particolare momento i genitori possono continuare a sentirsi liberi di decidere responsabilmente, agendo come meglio credono, tenendo conto delle indicazioni e delle linee guida attualmente in vigore.

Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, nelle sue conversazioni radiofoniche della BBC negli anni 1943-62 ci ricorda come sia di vitale importanza sostenere “l’intuito” dei genitori piuttosto che dare consigli su come devono o non devono comportarsi con i/le propri* figli*.

Questa fiducia è giusto riconoscerla anche nei/nella bambin* e nelle loro innumerevoli risorse adattive che l* proteggeranno dal rischio di sentirsi incasellat* in un’immagine persecutoria come quella da voi descritta.

 

Articolo apparso sul sito de La tana dei cuccioli

Immagine di Enzo Cucchi