ITALIA

Migranti in Italia, tra paura e carità

Il baricentro di questa campagna elettorale sono state tutte quelle persone che vivono in Italia, ma sono escluse dal voto: i migranti. Una categoria che nasconde molteplici condizioni e rappresentazioni. Quella dell’Africa è molto particolare.

Paura e carità, così viviamo l’invasione, così viviamo gli spostamenti delle genti dall’Africa verso l’Europa assediata.

Le definizioni di questi due sentimenti apparentemente ne sanciscono la distanza semantica reciproca: la paura, “stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo»”; la carità, “compassione affettuosa, commiserazione, pietà”.

In entrambi i casi, nella loro distanza intrinseca, si riferiscono alle diversità per status sociale, provenienza, condizioni di salute, colore della pelle, per ricchezza e povertà.

La carità come la paura si manifesta verso una persona che ha una condizione altera, una condizione d’inferiorità manifesta. La carità soccorre il disperato, la paura tenta di annientarlo. Non si prova paura e carità per un proprio simile a meno che questo simile cambi il suo status.

L’idea di migrazione sovente scatena paura e carità, ma non tutte le migrazioni sono uguali e non tutte vengono percepite allo stesso modo. Se immaginiamo un abitante del Nord Europa, ad esempio uno svedese, che sposta la sua vita in Italia, a prescindere dal suo status sociale, quasi sicuramente nessuno proverebbe paura o carità. Proviamo con un altro esempio, il macrofenomeno migratorio delle donne che vengono in Italia come assistenti alla persona, più comunemente note come badanti. Sono donne dell’Europa dell’Est ma anche dalle Filippine o dal Sud America che spesso arrivano in Italia con un visto turistico. Molte rimango in Italia per lunghi periodi, a volte per anni, senza uno status legale per l’Italia. In questa condizione di illegalità svolgono lavori e solo in un secondo momento riescono a regolarizzare la loro condizione.

Nonostante molte di queste donne provengano da paesi più poveri dell’Italia, spesso da paesi categorizzati come extracomunitari, e nonostante a volte permangano sul territorio italiano in stato di illegalità, per loro non scatta il meccanismo paura/carità e non scatta il sistema di “accoglienza”, un sistema di vitto e alloggio offerti dallo stato. È sufficiente un semplice visto turistico per evitare l’emergenza e la paura dell’invasione.

Non bisogna dimenticare che le realtà migratorie sono piuttosto diversificate tra di loro anche nelle strategie adottate per ottenere i visti d’ingresso (turistici, di ricongiungimento o di lavoro). Ancora una volta l’immigrazione con un regolare visto d’ingresso scavalca l’idea di paura/carità ed evita l’emergenza dell’accoglienza. I paesi più rappresentati sono Marocco (454.817), Albania (441.838), Cina (318.975), Ucraina (234.066) e Filippine (162.469). Il primo paese dell’Africa sub-Sahariana per numero di immigrati registrati in Italia è Senegal. Occupa solamente il 14 posto secondo i dati ISTAT.

Per chi proviene dall’Africa si innescano meccanismi del tutto particolari se paragonati ad altri flussi migratori. Ottenere un visto turistico è estremamente complesso se non impossibile, a meno che non si appartenga ad una classe sociale privilegiata e ricca. Il calvario per arrivare nella ricca Europa è noto a tutti, lunghissimi, pericolosissimi e costosissimi viaggi (molto più costosi di un semplice viaggio in aereo) attraverso le rotte del traffico di esseri umani. Un’odissea attraverso il Sahara fino alle coste della Libia. Da qui la quasi sicura reclusione nei cosiddetti hot-spot, oppure la semi-schiavitù per riuscire a pagare la traversata del canale di Sicilia. La gestione di questo ingente flusso di esseri umani è diventato non solo uno strumento per creare consenso politico, tra paura e carità, repulsione e accoglienza, ma anche un ottimo business per molti. Lo è per i trafficanti, lo è per i paesi coinvolti come il Niger e la Libia, lo è per le ONG, lo è per il sistema di accoglienza in Italia.

Il migrante africano è una persona da gestire prima in Libia, perché dev’essere bloccata, stoccata negli hot-spot in attesa che possa partire per l’Italia legalmente (tramite il recente corridoio umanitario), illegalmente in barca oppure ritornare al paese di origine tramite il programma delle Nazioni Unite gestito da IOM. Una volta arrivato in Italia il migrante africano per poter rimanere in Europa non ha altro strumento legale se non quello di richiedere asilo come rifugiato. Ancora una volta l’africano è un rifugiato e quindi una persona da soccorrere, in fuga, un debole, un potenziale terrorista e quindi un individuo da gestire a cui viene tolta l’agency, la capacità di decisione indipendente. Una volta entrato nel programma di accoglienza, il migrante viene spostato, rilocato e gestito nel sistema.

La modalità di sostegno posta in questi termini consente all’individuo entrato nel programma di accoglienza in attesa dello status di rifugiato, di avere vitto, alloggio e un piccolo sostegno economico, ma allo stesso tempo lo pone nel ruolo di “paziente”, gli limita la libertà di azione e di spostamento nei paesi dell’Unione Europea e quindi di raggiungere la meta desiderata. Si innesca così un meccanismo di assistenzialismo e di attesa, in cui si crea un rapporto di dipendenza del migrante nei confronti dell’istituzione. Accade che il migrante nella maggior parte dei casi, attende, rimane ai margini della società senza strumenti e possibilità di entrare nel circuito economico lavorativo e sociale.

Lo status quasi “mitologico” del migrante/rifugiato si rafforza sempre di più a causa delle politiche a cavallo tra il contenimento dei flussi (paura) e l’accoglienza (carità). La figura del migrante-rifugiato rimane un essere bisognoso di aiuto, idea che rafforza ulteriormente l’immagine dell’africano incapace di gestire la propria vita.

Questo è un chiaro esempio di malfunzionamento del sistema Europa a causa di un approccio ideologico di fondo dannoso e ipocrita, che non vuole guardare la realtà e la propria storia nei rapporti con il resto del mondo e con l’Africa in particolare. L’accoglienza, la gestione dei flussi e il perpetuo stato di emergenza del migrante-rifugiato che alimenta questo meccanismo, mostra in realtà l’approccio sistemico al continente africano. L’Africa viene infatti costantemente “aiutata” e gestita in “emergenza” alimentando ancora una volta l’idea di un continente inferiore e non alla pari di quello europeo.