MONDO

Una marea verde per l’aborto legale in Argentina

Nei giorni in cui in Italia si festeggiano i 40 anni della legge 194, in Argentina si voterà la legge per l’aborto legale al Congresso.

Nei giorni in cui in Italia si festeggiano i 40 anni della legge 194, il salto oceanico e intercontinentale di Non una di meno, le orecchie tese ad ascoltare le voci di donne dall’altra parte del mondo, ci stimolano a cercare altre storie, singolari e collettive in cui la battaglia per l’accesso all’aborto diventa corale, moltitudinaria, decisiva nei processi di soggettivazione e nella conquista di nuovi diritti.

 

Il dibattito nel Parlamento argentino ha origine proprio l’8 Marzo di quest’anno, nelle stesse ore in cui lo sciopero globale riempiva le piazze di tutto il mondo affermando una potenza inedita e necessaria in questa epoca reazionaria.

 

Quello che concretamente è in discussione è una riforma che permetterebbe alle donne argentine di abortire nelle prime 14 settimane di gravidanza. L’aborto in Argentina è ancora illegale e fino ad oggi la modalità più utilizzata per interrompere le gravidanze indesiderate è il Misoprostol, una sostanza che provoca aborti spontanei, rimedio che prima del governo Macri costava 40 dollari e che oggi risulta introvabile a meno di 170 dollari.

L’obiettivo di questa battaglia è l’aborto legal para no morir una rivendicazione che vuole aggredire al contempo le diseguaglianze sociali, affermare l’autodeterminazione delle donne e il diritto a scegliere sul proprio corpo in un paese in cui il divario tra le classi sociali è vertiginoso.

La Campaña por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito ha la sua origine negli incontri nazionali di donne argentine (che si svolgono annualmente e richiamano migliaia di donne) del 2003 a Rosario e del 2004 a Mendoza, e si inscrive nella specificità argentina e nell’articolazione immediata delle battaglie sociali fondamentali nel solco dei Diritti Umani. Qualche mese fa, nel corso di una sua visita in Italia, Nora Cortiñas, rappresentante delle Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora, ci ha ben espresso la fondamentale importanza che rivestono in Argentina gli organismi per i Diritti Umani dopo la dittatura, terminata nel 1983, che ha visto 30.000 desaparecidos per mano dello Stato.

 

Le Madres, ora molto anziane, hanno imposto alla società argentina una costante ripoliticizzazione del concetto di diritti umani, funzionando da detonatrici delle piazze contro i tagli all’educazione e alla sanità così come da amplificatrici, ora, della battaglia per l’aborto legale.

 

Perché, come ci raccontava Nora, 88 anni, una vita reinventata nella lotta per i diritti di tutt* al di fuori di ogni tentativo di sussunzione partitica: «le ragazze delle villas [favelas interne e limitrofe ai grandi agglomerati urbani argentini] non possono morire di aborto nel 2018, mentre le giovani rampolle accedono in punta di piedi alle cliniche private; il diritto all’aborto legale, gratuito e sicuro è un diritto che pone al centro la dignità e la libertà delle ragazze ed è dunque, necessariamente, un diritto umano universale».

Ed è proprio alle Madres de Plaza de Mayo che è ispirato il simbolo della campagna per l’aborto legale, il pañuelo verde con su scritto “Educación sexual para decidir, anticonceptivos para no abortar, aborto legal para no morir”, che in migliaia ogni martedì, dall’8 marzo fino alla data conclusiva del dibattito parlamentare, sventolano davanti al Congresso e che è diventato un segno di riconoscimento contagioso tra giovanissime e meno giovani che si incontrano, scambiandosi sorrisi complici, nelle strade della Capital Federal e di tutta l’Argentina.

 

Tra i tantissimi contributi e le storie che vorremmo raccontare di donne che hanno animato le piazze di Ni una menos e l’affermazione della Campagna per l’Aborto Legale, abbiamo deciso, anche per la sua immediatezza e semplicità di restituire la storia di una militante sindacale di base.

 

La scelta non è casuale: indubbiamente, l’incontro tra il movimento femminista e le sigle sindacali argentine ha dato vita a una giornata di sciopero la cui potenza è risuonata in tutta l’America Latina e che, sicuramente, ha ora il compito di costruire l’opposizione sociale al nuovo ingresso del Fondo Monetario nel paese. In particolare l’autrice è rappresentante sindacale della CTA Autonoma, un sindacato di base che tra i primi si è posto il problema della rappresentanza sindacale e della tutela dei diritti nello sconfinato universo dell’economia popolare e informale così diffuso in Argentina e in tutta l’America Latina.

Introduzione e traduzione dell’articolo a cura di Giuliana Visco.

 

Una onda verde che non smette di crescere

di Clarisa Gambera*

All’incirca 10 anni fa, organizzammo un’assemblea per lavoratori e lavoratrici dell’infanzia sul diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito. Eravamo al massimo 20 persone. Avevamo invitato a parlare Zulema Palma, ginecologa e militante di Mujeres al Oeste. In quel momento la domanda che ci ponevamo, a partire dal nostro ruolo educativo, era come reagire quando una giovane ragazza ci raccontava di essere incinta e se aveva senso chiederle “che vuoi fare”?

Una domanda talmente semplice che spesso capitava di farci tra amiche e compagne e che però nel lavoro con gli adolescenti ci faceva tentennare. L’illegalità, il rischio al quale si sarebbero dovute esporre le ragazze – soprattutto ragazze molto povere – ci faceva dubitare della correttezza stessa della domanda. Quando una delle ragazze affermava di non voler portare avanti la gravidanza, anche noi tremavamo di paura pensando ai rischi a cui si sarebbe dovuta sottoporre.

 

In quello stesso periodo una compagna del sindacato (ATE) mi aveva fatto avvicinare alla Campaña por el Derecho al Aborto Legal Seguro y Gratuito.

 

Sostenevamo fermamente il progetto di legge in quanto militanti femministe, ma come sindacaliste la nostra sfida era quella di porre il dibattito sull’aborto legale, sicuro e gratuito, all’interno del sindacato con l’insieme dei delegati. Nonostante all’interno della CTA già si fosse votato a favore della legge nel Secondo Congresso Nazionale nel 1999, grazie all’attivismo di una minoranza di sindacaliste molto forte, questo dibattito rimaneva sospeso.

Quel pomeriggio, durante la riunione con Zulema, quello che ci premeva prioritariamente era condividere idee, proposte o strategie possibili di politiche pubbliche per l’infanzia perché era quello di cui sostanzialmente ci occupavamo quotidianamente. E in quell’occasione, nell’Auditorium di ATE Capital, Zulema ci lasciò, invece, con alcune questioni aperte: disse che l’interruzione legale della gravidanza era un diritto delle donne dal 1922 (quando entrò in vigore l’aborto non punibile) e sottolineò che nel lavoro quotidiano dovevamo porci la sfida di parlare del diritto all’aborto legale e di costruire, nei territori in cui eravamo presenti, relazioni con centri per la salute provando a combinare articolazioni (personale medico e operatori sociali) che garantissero la qualità dell’attenzione nella fase precedente e successiva all’aborto e, dove era possibile, elaborare strategie per ridurre rischi e conseguenze dannose per le ragazze.

Nel ricordo di quell’incontro di molto tempo fa, riemergono, perché impressi nella memoria, alcuni punti fondamentali che sono diventati pilastri di questi anni di lotta.

  1. Una semplice domanda può permettere o restringere un mondo di idee, diritti possibili o impossibili.
  2. Quella domanda non veniva posta rispetto alla legalità della pratica, ma piuttosto rispetto allalegittimità e aldiritto di decidere delproprio corpo, di perseguire i propri desideri e progetti di vita.
  3. I dati concreti dimostrano che l’aborto è già praticato comunemente tra le ragazze e che non parlarne è una forma di occultare la realtà e il fatto che i numeri rilevanti di morti per aborti clandestini riguardano le donne che vivono in condizioni di povertà.
  4. Il numero degli aborti non dipende dalla sua legalizzazione ma da altre condizioni come l’accesso ai servizi di prevenzione anticoncezionale, una maggiore diffusione dell’educazione sessuale rivolta alla popolazione nel suo complesso e l’abbattimento delle asimmetrie di potere tra uomini e donne. Nei paesi in cui l’aborto è stato legalizzato, è provato, d’altronde, che il numero degli aborti è molto diminuito rispetto a quei paesi nei quali continua a essere illegale.
  5. La penalizzazione dell’ abortoinduce le donne ad abortire clandestinamente in condizioni insicure e rischiose per la propria salute e per la propria vita. Seppur consapevoli dei rischi, infatti, pur di non portare a termine una gravidanza non voluta o imposta, le donne socialmente più vulnerabili, continuano a ricorrere agli aborti clandestini.
  6. Al contrario, l’aborto integrato a un buon sistema di tutela della salute non è una pratica pericolosa.
  7. Negare l’interruzione volontaria di gravidanza a una donna quando lo desidera e quando corrisponde a una sua scelta produce, potenzialmente,conseguenze molto negative per la sua salute mentale e aggrava le condizioni di coloro che già ne soffrono. La condizione di illegalità e la conseguente clandestinità sono le cause principali di sofferenza. Al contrario, le donne manifestano un grande sollievo quando riescono a realizzare un aborto per una gravidanza non desiderata, non pianificata o risultato di una violenza subita.

Ovviamente già sapevamo che l’urgenza, quando si parla dei diritti delle donne, di giustizia sociale o di politiche dell’infanzia, viene sempre posticipata. Però vi è stato un momento, negli anni immediatamente successivi al ritorno della democrazia in Argentina, in cui Dora Coledesky, storica femminista scomparsa nel 2009, chiamò un pugno di donne per formare una Commissione per l’Aborto incaricata di seminare, inizialmente in solitudine, il dibattito e le consegne riportate dagli anni di esilio in altri paesi: “anticoncezionali per non abortire, aborto legale per non morire”.

 

Dieci anni dopo questo gesto ribelle, appassionato, militante, noi che eravamo nel pieno del nostro processo di formazione politica cercavamo punti di intersezione tra il sindacato e il femminismo.

 

 

Senza dubbio, la Campagna Nazionale alimentò e accelerò quel periodo di formazione. Il diritto a decidere delle donne fu l’occasione per parlare tra noi della oppressione esercitata sui nostri corpi, delle violenze, dei ruoli egemonici e asimmetrici, delle diseguaglianze tra uomini e donne in tutti gli ambiti delle nostre vite. E dunque anche nel sindacato.

La storia, nel frattempo, aveva fatto molti passi avanti però le relazioni tra ATE e questo dibattito continuavano a essere complesse. Le compagne della Campagna Nazionale avevano mappato in modo artigianale luoghi e centri di salute aperti a tutte (in cui lavoravano medici a favore del dell’aborto legale, gratuito e sicuro) e si proponevano come rete nazionale.  Le informazioni iniziarono ad essere accessibili e condivise in quelle relazioni senza fine che eravamo abituate a costruire tra lavoratori dell’infanzia, della salute, della formazione e  delle organizzazioni sociali. Molte volte creavamo articolazioni dove non esistevano.

 

Accompagnare questo dibattito negli anni ci ha portato ad avere una partecipazione più attiva nei gruppi di lavoro per la legalizzazione durante gli Encuentros Nacionales de Mujeres ed è a partire dalla condivisione di quegli incontri, nei quali ci riconoscevamo tra noi e con altre donne, che siamo diventate davvero compagne e abbiamo smesso di sentirci sole.

 

Con la Campagna e gli Incontri nazionali, entrambi esperienze di una enorme potenza pedagogica, abbiamo imparato a incontrare donne di diverse tradizioni politiche e di diverse organizzazioni sociali, dando priorità ai punti d’accordo senza sentire la necessità di dissolvere le nostre identità. Abbiamo imparato a costruire agende  trasversali, a pianificare strategie di azione e di intervento, a dare battaglie di contro-egemonia culturale per generare una massa critica che ci permetta di produrre concretamente i cambiamenti necessari, ad avere vocazione di massa, anche quando, in molte occasioni, eravamo  ancora poche.

Abbiamo imparato – in questa enorme articolazione sociale, politica e culturale che si configurava come movimento – a incontrarci con organizzazioni di tutto il “campo popolare” e nei momenti di dibattito e di tensione abbiamo imparato ad arricchirci, piuttosto che dividerci.

 

Oggi capisco che quel movimento era un muoversi di un centinaio di donne verso il femminismo.

 

Una si dimentica, per l’entusiasmo, le tappe precedenti però la realtà era che per lungo tempo non era possibile parlare di femminismo nel sindacato. E, a dirla tutta, non vi era neanche molto spazio per le sindacaliste nel femminismo.

Rispetto al diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito, vi sono stati molti avanzamenti: esistono i protocolli ILE (interrupción legal de embarazos), la rete dei professionisti della salute della Campagna ha dispiegato strategie di consulenza del pre e del post aborto, nuove esperienze di militanza hanno sviluppato strategie di comunicazione sull’uso del misoprostol (equivalente alla prostaglandina E1 prescritta per le ulcere gastriche ma anche farmaco abortivo) e a partire dalla premessa di salvare vite e democratizzare le possibilità di accesso al farmaco.

Furono però anche anni di molteplici controffensive contro i diritti conquistati, i regolamenti acquisiti, utilizzo arbitrario della giustizia, di sbarramento dell’accesso al diritto all’aborto. Quello che è completamente cambiato, in questo processo di accumulazione molteplice e eterogeneo di femminismi,inscritti per la maggiorparte nel “campo popolare”, e che si manifesta come una “OLA” verde e viola che non smette di crescere sta nel fatto che il dibattito è assolutamente aperto e attraversa frontiere, settori, organizzazioni.

 

Ed è così che è arrivato inesorabilmente fin qui: un processo di lungo respiro, a 30 anni da quel 1988 fondativo. Il dibattito vive in ogni trincea, il suo eco arriva in ogni luogo di lavoro, in ogni scuola, in ogni quartiere, in ogni collettivo. E costruendo spazi di fiducia, l’ipocrisia con cui alcuni vorrebbero evitare la discussione … sparisce.

 

Da poco la CTA – la stessa in cui Dora e l’avvocata femminista Nina Brugo avevano ottenuto il voto a favore del diritto all’aborto, sicuro e gratuito – ha organizzato un Pañuelazo nei giorni del proprio Congresso Nazionale. Questa volta, si è trattato di un evento di massa, con enormi livelli di consenso e di accordo all’interno del sindacato, con le sindacaliste in prima fila. Nina ha colto l’occasione per ricordare Dora raccontando come quella donna aveva seminato la sua epoca di femminismo e che ora noi abbiamo la possibilità di vedere approvata in Parlamento dopo molti tentativi.

 

L’unica lotta che si perde è quella che si abbandona. Loro lo sapevano e ce lo hanno insegnato.

 

Pubblicato su Canal Abierto. Traduzione e introduzione a cura di Giuliana Visco per DINAMOPress.

* Lavoratrice dell’infanzia, militante sindacale di ATE, segretaria di Acción Social della CTA Autónoma Capital, parte della Escuela de FeminismoPopular “Nora Cortiñas”, femminista.