TERRITORI
#MaiConSalvini: 15.000 in piazza contro il razzismo della Lega Nord

In migliaia contestano la visita di Matteo Salvini. Il corteo risponde all’attacco delle forze dell’ordine. In serata, presidio in Questura per chiedere il rilascio di cinque manifestanti fermati.
“Siamo quindicimila”, dicono in piazza gli organizzatori della mobilitazione. Un fiume umano che attraversa le strade di Napoli, con la determinazione e l’allegria di chi sa di avere tutta la città dalla propria parte. In testa, una ruspa trasporta un enorme foglio di via che “dispone” l’allontanamento dal basso del segretario della Lega Nord “a tempo indeterminato”.
Il corteo si muove intorno alle 16 da piazza Sannazzaro, molteplice e festoso, capace da subito di mettere in ridicolo Salvini con l’arma dell’ironia. Comitati territoriali, centri sociali, sindacati di base e tantissime persone comuni sfilano insieme, fianco a fianco. Dopo una lunga passeggiata, il corteo si dirige verso la Mostra d’Oltremare, al centro di una dura polemica già da 24 ore. Ieri, infatti, l’occupazione dei locali si era conclusa solo dopo la conferma dell’ente ospitante che il contratto con il leader della Lega Nord sarebbe stato rescisso. Contro questa decisione era intervenuto il ministro Minniti (quello delle nuove misure liberticide) che, attraverso la prefettura, aveva imposto l’apertura dello spazio, di fatto commissariandone la gestione. La Mostra, infatti, è di proprietà comunale e il sindaco De Magistris si era schierato con gli occupanti sostenendo la loro “forma di resistenza ai messaggi fascisti del leader leghista”.
Quando il corteo ha iniziato ad avvicinarsi agli edifici in cui Matteo Salvini stava per parlare, però, le forze dell’ordine hanno schierato i blindati e fatto partire un fitto lancio di lacrimogeni. La piazza si è subito mostrata compatta e determinata a resistere all’attacco. I manifestanti hanno risposto lanciando oggetti e pietre per fermare l’avanzata della celere e proteggere il corteo. Nuovi scontri si sono verificati in via Tecchio e poi lungo via Giulio Cesare. Qui, celere e blindati hanno rincorso i manifestanti per oltre due chilometri, realizzando cinque fermi.
Al momento, è in corso sotto la Questura di Napoli un presidio con oltre 200 persone che chiedono il rilascio immediato dei fermati. Uno di loro pare sia stato portato prima in ospedale e poi in commissariato a causa delle ferite riportate durante il fermo.
Già nei giorni scorsi, in tantissimi avevano detto con chiarezza che a Napoli non c’è spazio per chi ha insultato e umiliato il Meridione per anni e ora vorrebbe parlare nella città simbolo del Sud Italia, con l’unico obiettivo di raccattare i voti necessari a sostenere la svolta sovranista e nazionalista del suo partito. A Napoli non c’è spazio per chi, tutti i giorni, incita all’odio razziale, per chi fomenta l’odio e la guerra tra poveri, per chi non rispetta le diversità culturali, religiose e di orientamento sessuale, per chi, dietro una finta retorica populista, difende sempre e solo i padroni. “Gli scontri sono colpa di chi non ha ascoltato”, ha ribadito in serata De Magistris.
Nel frattempo, giornali e politici di vari schieramenti sono partiti all’attacco, utilizzando la solita categoria trita e ritrita dei black bloc e dei teppisti. In tanti si sono affrettati a condannare “le violenze”. Su tutti il PD che, già nei giorni scorsi, aveva sostenuto le posizioni di Salvini invocando il rispetto “democratico” a far parlare gli esponenti politici. Viene davvero da chiedersi in base a quale concezione distorta della democrazia si difenda il diritto a fomentare la violenza razziale e a invocare la “pulizia” dai diversi.
Napoli, prima città insorta contro l’occupazione militare tedesca, Napoli che si liberò da sola dai fascisti e dai nazisti con scontri durati Quattro Giornate (27-30 settembre 1943), ha segnato oggi un’altra grande giornata di resistenza, respingendo al mittente le provocazioni di Matteo Salvini, il politico che si ispira a Marine Le Pen, che ha sdoganato CasaPound e che vorrebbe imporre al paese una svolta autoritaria.