DIRITTI

Loi Travail: cosa vuol dire sciopero

Esaltare ciò che avviene lontano da casa nostra, in termini di lotte e di movimenti, è un’operazione cara a molti che abbiamo sempre mal sopportato . Questa è una precisazione iniziale obbligatoria.

I media mainstream esaltano spesso gli straordinari conflitti che avvengono fuori dai confini nazionali, salvo poi essere silenziosi (nel migliore dei casi) o feroci nei confronti di quelli che si sviluppano in Italia – certo, nel caso francese si sono in prima battuta distinti, finché è stato possibile, per un accurato lavoro di occultamento della notizia, tanto il terrore del contagio. Buona parte della sinistra italiana partecipa allo stesso teatrino, oscillando tra un “quelli sì che sanno protestare” e un “siamo noi gli equivalenti nel nostro paese”, senza avere mai la pazienza (o l’intelligenza) di provare ad approfondire i campi di ricerca e di immaginazione politica che i movimenti, inevitabilmente, aprono e impongono alla nostra attenzione.

Quello che sta accadendo in Francia è stato analizzato da moltissimi punti di vista, e anche le CLAP, il 28 Aprile scorso, hanno preso parte al primo sciopero intercategoriale indetto dopo più di un mese di mobilitazioni, al fine di chiedere il ritiro della Loi Travail. Da quel giorno sono accadute molte cose: il governo francese, per paura di sgambetti in sede di votazione, ha deciso di ricorrere all’articolo 43.9 – che prevede, appunto, l’approvazione di un testo di legge senza passare per il voto –, privando così il parlamento di qualsiasi potere rispetto al vaglio della riforma; le piazze, d’altra parte, non hanno smesso di resistere alle sempre maggiori misure repressive adottate dalla polizia, mettendo in campo forme di contrattacco diffuse: si sono moltiplicati infatti i picchetti e i blocchi stradali, ma, soprattutto, si è intensificata la lotta sindacale.

Due giorni fa la CGT, il maggiore sindacato confederale francese, ha annunciato lo sciopero di tutte le raffinerie di greggio del paese. La protesta, iniziata nei giorni scorsi, si è rafforzata una volta di più dopo lo sgombero e le violenze della polizia a Fos-sur-Mer. Lo sciopero sta già producendo enormi disagi: la benzina manca in diversi stabilimenti e scarseggia in molti altri; contemporaneamente le 19 centrali nucleari francesi votano compatte a favore dello sciopero e vanno anche loro verso il blocco. Anche altri settori hanno annunciato mobilitazioni determinate: dal blocco dei porti, allo sciopero a oltranza di metro e autobus nella regione di Parigi, proclamato a partire dal 2 giugno, fino alle proteste nel settore del trasporto aereo e su strada. Il fronte che si oppone alla Loi Travail si allarga e percorre nuove forme di protesta.

Lo sciopero torna al centro delle mobilitazioni e ciò avviene a partire dalla ricchezza che i dibattiti e i confronti tra le diverse lotte hanno prodotto in queste settimane, costruendo nuove forme di stare insieme; avviene tenendo a mente la lezione degli ultimi vent’anni, quella impartita proprio dalla Francia, quando ha messo in luce la necessità di reinventare e mescolare pratiche, di far irrompere all’interno del conflitto sindacale quelle figure – intermittenti, precari, disoccupati – che erano state messe ai margini del sistema produttivo e delle lotte sul lavoro. Lo sciopero come arma in grado di tenere insieme diversi segmenti del lavoro, come blocco della produzione e della circolazione delle merci, come pratica di solidarietà in quei contesti dove i lavoratori non hanno forze a sufficienza per incidere e “fare male ai padroni”: i lavoratori delle raffinerie, ad esempio, affermano di non volere niente in particolare per la loro categoria, “solo che altri settori dell’indotto e tutte le altre categorie decidano di scioperare insieme a noi, per respingere i ricatti e la violenza della Loi Travail”.

I paragoni con l’atteggiamento che i sindacati confederali italiani hanno avuto nei confronti del Jobs act sono impietosi e certamente non varrebbe la pena soffermarsi su questo aspetto, se non fosse fondamentale conoscere le condizioni che hanno determinato di fatto nel nostro paese l’assenza di un’opposizione sociale adeguata alle dimensioni dell’attacco governativo. Troppo semplice accusare il vuoto di mobilitazione sociale come responsabile della timidezza delle organizzazioni sindacali, rimuovendo così interamente le proprie responsabilità e rinunciando di fatto alla propria funzione principale. Il goffo tentativo di far passare qualche balbettio per opposizione alle riforme governative completa un quadro desolante: i sindacati confederali risultano non solo afasici e incapaci di rispondere alla situazione che viviamo, ma in primo luogo complici del progetto di devastazione che continua a esser portato avanti contro diritti e condizioni degne nel mondo del lavoro.

La CGT, dal canto suo, mostra delle enormi contraddizioni, costruendo, da un lato, mobilitazioni e scioperi in grado di estendersi e colpire la controparte e, dall’altro, svolgendo spesso un ruolo di controllo e contenimento all’interno dei cortei, in crescente disaccordo con una base sempre più radicale e vicina ai movimenti che contestualmente si stanno sviluppando.

Quello che sta accadendo in Francia in questi giorni, al netto di queste riflessioni, ci mostra in maniera ancora più chiara come il tema dello sciopero sia un vero e proprio campo di battaglia, un nodo da sciogliere attraverso una ricerca politica quotidiana, a partire da un lavoro di connessione continua delle lotte all’interno nel mondo del lavoro: immaginare lo sciopero come blocco dei flussi, di persone e di merci, come strumento di lotta trasversale alle differenti categorie, come terreno ricompositivo, è la sfida che gli eventi francesi ci consegnano con molta chiarezza. Sta a noi proseguire nell’opera di immaginazione e costruzione iniziata due anni fa con il percorso del Social Strike.

Tratto da Clap-info