MONDO

«Dove sono?» L’intervento della Guardia Nazionale contro l’occupazione di Capitol Hill

La decisione di non schierare la Guardia Nazionale durante i fatti di Capitol Hill rimarca la spaccatura razziale che attraversa gli Stati Uniti

La domanda è sorta spontanea: come mai così poche forze dell’ordine? Abituati agli ingenti dispiegamenti di personale della Guardia Nazionale durante le proteste di Black Lives Matter esplose lo scorso anno, la clamorosa insufficienza delle misure si sicurezza e il basso numero di agenti presenti a difesa del Congresso statunitense durante l’assalto da parte dei sostenitori di Trump è balzata subito all’occhio.

Molti sui social facevano notare, sin dalle prime ore, che se la manifestazione a Capitol Hill fosse stata organizzata da neri per protestare contro l’ennesima uccisione di uno di loro, la polizia avrebbe sparato senza tante remore.

Al momento, se si dovesse tracciare un “bilancio” dell’episodio eversivo del 6 gennaio, si contano almeno cinque decessi, fra cui una donna morta in seguito ai colpi esplosi da un agente di polizia del Campidoglio, altre tre persone che hanno perso la vita per «complicazioni mediche» e un agente della Capitol Police deceduto a seguito delle ferite riportate.

Oltre 52 gli arresti e svariati feriti. A questo bilancio va aggiunta la sfilza di dimissioni a cui stiamo assistendo in queste ora, tra cui quella della ministra dei Trasporti Elaine Chao, del sergente e funzionario della sicurezza Paul Irving, del capo della polizia del Campidoglio Steven Sund – le dimissioni di questi ultimi due sono state chieste dalla presidente della Camera Pelosi.

Il dato rilevante, tuttavia, è che la Guarda Nazionale non si è mossa a difesa degli edifici istituzionali a Capitol Hill se non con grande lentezza – intervenuti più che altro per accompagnare e far defluire le persone fino a liberare l’intera zona quando ormai era sera.

Mentre il “New York Times” titolava «F.B.I. and Homeland Security make a show of force in Washington» (grande dispiegamento di forze dell’FBI e del Dipartimento per la sicurezza interna), poi ribattezzato sui social «slow of force», Twitter veniva invaso da foto che mostravano l’imponente schieramento di agenti lungo la scalinata del Lincoln Memorial in occasione di una manifestazione di Black Lives Matter il 2 giugno 2020 – solo il giorno prima 5.000 agenti della Guardia Nazionale avevano caricato i manifestanti per consentire a Donald Trump di fare una foto fuori da una chiesa a un isolato dalla Casa Bianca.

 

Seguiva la domanda «dove sono?».

 

Mentre su Tik Tok circolavano video che sembravano mostrare la polizia rimuovere alcune transenne per lasciar passare i manifestanti, altri in cui le forze dell’ordine all’interno di Capitol Hill si lasciavano, costretti o meno, immortalare in selfie scattati dai manifestanti, altri ancora che mostravano una donna accasciarsi a terra per un colpa di arma da fuoco, più tardi deceduta, i giornalisti intervistavano commentatori e analisti – sulla Cnn qualcuno diceva «c’è un Presidente che chiaramente non si sta assumendo le sue responsabilità!», dipingendo uno scenario che a molti sarà sembrata una farsa, un’impresa buffonesca e surreale, una protesta carnevalesca, con tanto di corna e costumi. Su Twitter, ancora, la domanda, questa volta ossessiva, «dove sono?».

Alle 13:00 ore locali i manifestanti sfondavano le barriere fuori Capitol Hill. Alle 13:05 il vicepresidente Michael Pence dava avvio alla seduta congiunta di Congresso e Senato che doveva certificare l’elezione di Joe Biden e Kamala Harris, lo stesso giorno in cui appariva chiaro che i democratici avrebbero controllato entrambe le camere legislative dopo la vittoria dei due candidati dem in Georgia.

Alle 13:10 Trump invitava i suoi sostenitori a imboccare Pennsylvania Avenue («I love Pennsylvania Avenue») per raggiungere Capitol Hill. Il “mob”, l’orda, è entrata a Capitol Hill alle 14:15. Alle 14:16 si interrompeva la seduta. Secondo la ricostruzione fatta dal Washington Post i manifestati sono stati fatti sgomberare alle 18:27.

Secondo la Cnn e il “Washington Post” a richiedere l’intervento della Guardia Nazionale sarebbe stato Pence, autorizzato da Miller, segretario della difesa. Per entrambi chi ha ostacolato l’intervento è stato Donald Trump.

 

 

Dal momento che D.C. (tecnicamente District of Columbia) non è uno stato, la Guardia Nazionale risponde direttamente al Presidente – con delega a Miller e a Ryan McCarthy, Segretario dell’esercito. È compito della Capitol Police, che risponde al Congresso, tutelare Capitol Hill. La mattina del 7 la Cnn ammetteva che «c’era stata un po’ di confusione» – l’ammissione era di alcuni membri dell’esercito.

Secondo il “Washington Post” anche c’è stata dalla «confusione»: la polizia di Capitol Hill ha richiesto l’intervento di 200 agenti della Guardia Nazionale al Pentagono, una richiesta che è stata approvata solo mezz’ora dopo.

Durante questa mezz’ora di «confusione» la rappresentante Elissa Slotkin, ex funzionaria del Pentagono e analista in Iraq, barricata all’interno di Capitol Hill, chiamava i suoi colleghi per dire loro che la «security situation» stava degenerando. Intervistata, ha spiegato «volevo che capissero da qualcuno dei loro quello che stava accadendo». Miller l’ha poi richiamata, precisando che non avrebbero inviato «active duty soldiers» ma riservisti.

 

L’ordine di inviare la Guardia Nazionale è stato dato alle 15:00 ore locali.

 

La Guardia Nazionale è arrivata a «sera». Ha ricevuto l’ordine di formare un perimetro esterno attorno alla sede del Congresso. I riservisti si sono posizionati dietro la polizia locale, equipaggiati di scudi e manganelli, gli ordini erano stati chiari: non dovevano essere armati.

L’intervento della Guardia Nazionale era stata richiesta dal sindaco di Washington Muriel E. Bowser. La richiesta era stata approvata il 5 gennaio, nel numero di 340 unità, a patto che i riservisti si fossero «tenuti alla larga da Capitol Hill». Entrambe le testate riportano le parole di un alto funzionario secondo cui «la leadership militare ha imparato da quanto accaduto lo scorso giugno», in altre parole durante le proteste di Black Lives Matter.

Nessuno voleva l’esercito per strada – per quanto la Guardia Nazionale, composta da riservisti, non sia tecnicamente l’esercito americano.

«Portiamo tutti le cicatrici e i sintomi da PTSD (disturbo da stress post-traumatico) per i disordini avvenuti questa estate. Non vogliamo che si ripeta», ha detto un funzionario, che ha aggiunto «il Pentagono è stato chiaro, la Guardia Nazionale deve essere impiegata solo per controllare il traffico, deve stare alla larga dai punti critici».
La Cnn aggiunge che la Guardia Nazionale sarebbe stata impiegata anche nella metropolitana. Era importante, secondo il “Washington Post”, non dare una «cattiva immagine», non bisognava più vedere «militari in uniforme sfilare accanto a manifestanti civili».

Fonti dell’esercito dichiarano che il Pentagono non vuole essere «politicizzato». Secondo un altro articolo del “Washington Post” le alte sfere di comando sono ora «meglio preparate» a gestire la transizione per via degli eventi di giugno 2020.

 

Concretamente questo significa che sono state inasprite «le procedure per l’impiego della Guardia Nazionale nel tentativo di ridurre la probabilità che la Casa Bianca chiami le forze in servizio attivo».

 

Il timore in vista della transizione è che Trump possa a un certo punto invocare l’«Insurrection Act» che consente l’uso dell’esercito nelle strade – cosa che il Presidente ha minacciato di fare per reprimere le proteste di BLM.

Se è vero che queste misure mirano a salvaguardare «l’imparzialità dell’esercito», è anche vero, secondo altri, che l’effetto sortito è stato il contrario: in quella mezz’ora di «confusione» che è trascorsa tra la richiesta di attivare la Guardia Nazionale e l’autorizzazione da parte del Pentagono l’esercito è rimasto di fatto fedele al Presidente – cosa che tecnicamente costituisce l’ingrediente principale di un colpo di stato.

 

Foto di Emily Suhr dal profilo Flickr della California National Guard

 

Che l’occupazione sia stata tolta – e che per molti non si sia trattato di un colpo si stato – non può tuttavia nulla contro gli effetti che questo ritardo, e l’incertezza riguardo a chi stava dando gli ordini, hanno avuto su un altro piano, diverso da quello istituzionale.

Se la Speaker Nancy Pelosi poteva nuovamente convocare il Congresso per riprendere le operazioni di certificazione del voto una volta sgomberata Capitol Hill, in questo lasso di tempo che era trascorso, in cui si era svolta la protesta sconclusionata e carnevalesca di un manipolo di “bianchi” – per altro ampiamente annunciata –, milioni di afroamericani hanno assistito – sui social – allo sgombero gentile da parte della polizia che in alcuni casi ha scortato i manifestati tenendoli per mano.

Si tratta di scene che rimarranno impresse e che a loro volta “certificano” la spaccatura razziale che attraversa il paese e che nessuna transizione «pacifica», nessun’operazione simbolica – rientrare immediatamente a Capitol Hill – e neanche il controllo democratico di entrambi i rami del Congresso – saranno, almeno nel breve periodo, in grado di sanare.

 

Foto di copertina dal profilo Flickr della California National Guard