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L’inedito di Foucault

Finalmente gli eredi del lascito di Michel Foucault hanno ritenuto fosse venuto il momento di pubblicare Les aveux de la chair. Un’opera attesa da decenni, su cui molto si è fantasticato e che ora le edizioni Gallimard, con la cura di Frédéric Gros, presentano come quarto e ultimo tomo di quella Histoire de la sexualité annunciata già nel 1976 con la pubblicazione del suo primo volume, La volonté de savoir.

Tutti coloro che, avendo ormai letto le trascrizioni dei corsi tenuti al Collège de France, conoscono il percorso intellettuale di Foucault tra il 1975 e l’anno della morte, sapevano bene come da questa pubblicazione non ci fosse da attendersi alcuna novità rilevante. Dai primi accenni d’indagine sulla fisiologia morale della carne, contenuti nel corso del 1974-75 su Gli anormali, sino alle lunghe analisi del corso del 1979-80, Sul governo dei viventi, dedicate ai primi apologisti e ai padri della Chiesa, in particolare sulla funzione del battesimo e della penitenza, e poi alla questioni della confessione e della direzione di coscienza nel monachesimo, la ricerca di Foucault sulla carne cristiana era già perfettamente delineata.

Possiamo ricordarne le tappe fondamentali.

A metà degli anni Settanta, Foucault è impegnato in una genealogia del soggetto moderno, che lo porta a identificare nella nascita della nozione di istinto in seno alla psichiatria ottocentesca uno snodo fondamentale. Con il termine di “istinto” si indica une tendenza incontenibile, sottratta al dominio della volontà razionale. Assumendo l’esistenza dell’istinto, la psichiatria ottocentesca abbandona l’immagine classica di un soggetto che, per quanto mosso dalle turbolenze delle passioni, restava di diritto padrone di sé. L’indagine su questa zona oscura della psiche o della personalità costituirà la stessa ragion d’essere delle discipline psy. Come la nascita della psicanalisi dimostra a sufficienza, sarà un’indagine minuziosa volta a decifrare i segni opachi, le manifestazioni ingannevoli, i sintomi silenziosi di una profondità inconscia che per quanto sfugga al controllo e alla conoscenza del soggetto, tuttavia lo costituisce.

Già nel 1975, Foucault rileva come tanto il concetto di istinto quanto le modalità ermeneutiche che la psichiatria e la psicanalisi metteranno in campo per decifrarla non sono senza precedenti, ma anzi trovano la loro stessa condizione di possibilità nella nozione cristiana di carne e nelle pratiche di indagine attuate almeno a partire dal Concilio di Trento: la confessione e la direzione di coscienza. Risalendo dall’istinto alla carne, dall’indagine psichiatrica alle pratiche cattoliche di decifrazione del sé, Foucault si accorge ben presto che non può fermare la propria genealogia alle epoche con cui ha maggior familiarità, l’età classica e moderna. Tra il 1976 e il 1977 è già alle prese non solo con Agostino, ma con Tertulliano, avendo acquisito la convinzione che la carne con tutti i suoi annessi (concupiscenza, libido, tentazione, peccato etc.) non è il prodotto di dispositivi elaborati dalla Controriforma, ma il risultato di pratiche che sorgono con il Cristianesimo stesso. Les aveux de la chair è un testo che Foucault inizia ad elaborare in questo momento, attorno a questa convinzione.

Nei primi anni Ottanta, tuttavia, quando il testo ha già acquisito la veste con cui ora Gallimard ce lo presenta, Foucault deve affrontare un problema che, come spiegherà nel primo paragrafo dell’Introduzione all’Uso dei piaceri, lo pone di fronte a un bivio. Il problema era che l’esperienza cristiana della carne, che si configurava come una figura storica singolare e decisiva nella ricostruzione di una storia della sessualità, era anche la forma specifica di un problema più generale, relativo ai modi e alle pratiche con i quali gli individui sono stati condotti a costituirsi come soggetti dei propri desideri. In altre parole, la genealogia della carne cristiana doveva inserirsi in una più ampia genealogia del soggetto desiderante o dell’uomo di desiderio. A questo punto, Foucault doveva decidere: o conservare il piano della Storia della sessualità stabilito anni prima, accompagnandolo con un rapido esame storico del tema del desiderio, oppure «riorganizzare tutto lo studio attorno alla lenta formazione di un’ermeneutica del sé nel corso dell’Antichità» (L’usage des plaisirs, Gallimard, 1984 p. 12). La decisione diventa necessaria perché Foucault si rende conto che l’ermeneutica del desiderio, di cui le pratiche cristiane della carne sono un episodio, gettava profondamente le sue radici nella cultura greca e romana. La pubblicazione dell’Uso dei piaceri e della Cura di sé, nel 1984, ma già i corsi degli anni Ottanta mostravano chiaramente quale fosse la strada che Foucault aveva deciso di intraprendere.

 

Accade così che nei primi mesi del 1984, quando il secondo e il terzo volume della Storia della sessualità erano già in fase di stampa, Foucault, stremato dalla malattia, riprende in mano il dattiloscritto sulle Confessioni, senza avere però il tempo di portarne a termine la revisione.

 

Leggendo ora questo quarto volume della Storia della sessualità non si può evitare di domandare a quale tipo di revisione sarebbe andato incontro il dattiloscritto se ce ne fosse stato modo. Il fatto che questo testo fosse già scritto prima dell’avventura antica suggerisce l’idea che la revisione sarebbe stata massiccia. È ciò che suggerisce anche una prima lettura del testo, se si considera non solo l’organizzazione per certi versi rudimentale del materiale storiografico di cui si serve Foucault, ma anche lo stile della scrittura che raramente raggiunge il livello di sinuosa precisione a cui sono abituati i lettori dei libri foucaultiani precedenti.

Pur entro questi limiti, Les aveux de la chair resta un testo di indubbio interesse. In particolare sono due le parti su cui vale maggiormente la pena soffermarsi.

Innanzitutto, il capitolo centrale del libro, dedicato all’essere vergine, che è non solo la parte più bella del testo, ma forse anche il luogo di maggiore novità. Qui Foucault, riprendendo una questione che già attraversava Les usages du plaisir, indaga il modo in cui gli autori cristiani dei primi secoli hanno ripreso e trasformato il rapporto tra astinenza sessuale e accesso alla verità, che aveva caratterizzato la cultura classica dai pitagorici allo stoicismo. Dall’Esortazione alla castità di Tertulliano sino ai capitoli delle Istituzioni cenobitiche e alle Conferenze di Cassiano dedicate alla stessa questione, passando per il Simposio di Metodio di Olimpo, i trattati dedicati alla questione della verginità da Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e Basilio di Ancira, Foucault ricostruisce una genealogia che mostra come la verginità, da corollario della condotta cristiana fondata su una continenza radicale capace di rinunciare a questo mondo (in Tertulliano), divenga dapprima una forma di vita che anticipa già in questo mondo il modo d’essere del corpo glorioso (in Gregorio di Nissa, per esempio), per diventare infine (in Cassiano) il campo di un combattimento spirituale e il luogo privilegiato per la decifrazione del sé.

Secondariamente, vale soffermarsi sul paragrafo che conclude il testo e che porta, come titolo redazionale, La libidinisation du sexe. L’autore di riferimento, in questo caso, è Agostino, su cui Foucault si era soffermato ampiamente già in diversi corsi, saggi e conferenze (per esempio in Sexuality and Solitude, “London Review of Books”, III/9/1981). Il capitolo che questo paragrafo conclude è dedicato alla questione del matrimonio, ed è da qui che parte Foucault per analizzare, in primo luogo, la relazione che Agostino stabilisce tra il bonum conjugale e la sessualità. Quest’ultima è caratterizzata, secondo la descrizione canonica della Città di Dio, come un’agitazione involontaria del corpo che trascina l’anima anche suo malgrado. Agli occhi di Agostino, è proprio il carattere involontario dell’erezione a costituire il tratto fondamentale della sessualità, perché è proprio la nostra incapacità a dominare l’istinto sessuale ciò che testimonia il suo essere la pena per il peccato originale: la punizione per la disobbedienza del primo uomo, per il suo rifiuto a sottomettersi alla volontà divina, è un corpo che gli disobbedisce e su cui non può esercitare alcuna padronanza. Ma se il sesso è la pena del peccato, non si potrà dire, come ancora facevano certi cristiani seguendo l’insegnamento classico, che il suo male risieda solo nell’esercizio eccessivo. Il male del sesso è connaturato all’uomo peccatore.

Come evitare, però, dicendo questo, di cancellare del tutto la sessualità dalla natura dell’uomo prelapsario? È qui, com’è noto, il colpo di genio (un genio maligno, ça va sans dire) di Agostino, ed è qui che si spiega in che cosa consista la libidinizzazione dell’atto sessuale. Agostino, infatti, si ingegna a immaginare che il primo uomo possedeva sì una sessualità che gli consentisse la procreazione, ma aveva altresì il dominio completo su di essa: il suo membro si ergeva a comando, così come un braccio poteva alzarsi seguendo fedelmente l’ordine della volontà. Ciò che viene escluso, dunque, dalla sessualità adamitica e viene invece apportato dalla caduta conseguente al peccato è precisamente l’involontarietà della libido. Con questa mossa, spiega Foucault, «Agostino pone la condizione fondamentale per dissociare questo ‘blocco convulsivo’, con cui era stato pensato l’atto sessuale, dal suo pericolo intrinseco. Egli apre un campo di analisi e al contempo stabilisce la possibilità di un ‘governo’ delle condotte in un modo del tutto diverso da quello che poneva l’alternativa tra l’astensione o l’accettazione (concessa più o meno di buon grado) dei rapporti sessuali» (Le aveux de la chair, p. 338). Così la libido diviene, per il suo carattere al contempo involontario e peccaminoso, pericoloso e incontrollabile, il campo sul quale si eserciteranno tutte le pratiche di decifrazione della carne che il cristianesimo sarà capace di mettere in opera – lo stesso campo che molti secoli dopo Agostino verrà assunto come terreno privilegiato dell’indagine e dei dispositivi di controllo della psichiatria.

 

Articolo apparso sul sito Archeologia Filosofica