ITALIA

L’estrattivismo selvaggio nelle Alpi Apuane 

Cresce la mobilitazione contro la devastazione ambientale del territorio montano. Nicola Cavazzuti, tra gli organizzatori del corteo nazionale che sabato scorso è sfilato a Massa Carrara, ne spiega ragioni e prospettive

Quella delle cave di marmo bianco sulle Alpi Apuane è una storia che dura da due millenni e che ha visto una brusca accelerata negli ultimi 30-40 anni. In quest’ultimo lasso di tempo, infatti, il continuo progresso tecnologico ha generato un vertiginoso aumento del marmo estratto ogni anno. Si calcola che in queste ultime decadi si sia addirittura arrivati ad estrarne l’equivalente dei due millenni precedenti, in media tra cinque e sei milioni di tonnellate l’anno. I numeri parlano da sé: sono 2.012 i Comuni con almeno una cava attiva (il 25% dei Comuni italiani) per un totale di 4.752 cave attive e 13.414 dismesse (nelle Regioni in cui esiste il monitoraggio). [1]

Simbolo da sempre della provincia di Massa Carrara, in queste terre il mito del marmo, dei cavatori e degli scultori non è mai stato semplice da mettere in discussione. Un passato decantato, una narrazione gloriosa che affiancava all’intrepido cavatore, sempre a un passo dalla morte e capace di leggere il marmo come un libro, l’artigiano che conservava il sapere antico della scultura di quella pietra così magnifica e lucente. Quanto di questo mito sia ancora realtà è tema divisivo e tagliente (qui su Dinamopress ne hanno già parlato Chiara Braucher e Mattia Giandomenici), e se è vero che tali antichi saperi ancora sopravvivono – sebbene sempre più a rischio – è però sufficiente pensare che oltre l’80% del materiale estratto e messo in commercio è destinato al fruttuoso mercato del carbonato di calcio; ben poco artigianale, ben poco poetico, ben poco glorioso. Qui come in molti altri territori italiani, la narrazione del conflitto tra lavoro e salute o tra lavoro e ambiente, ha rappresentato per lungo tempo il paravento contro il quale ogni critica a queste cave finiva per scontrarsi ed essere annichilita.

Negli ultimi cinque anni però, un susseguirsi di eventi ha finalmente squarciato questo velo pretestuoso permettendo alle critiche di trovare un più ampio e fertile terreno. Di questi eventi sicuramente il più grave e significativo è stata l’alluvione del novembre 2014 che ha prodotto un impatto devastante sul territorio e che, come dimostrato in sede di giudizio, ha visto l’attività estrattiva come principale responsabile. Le cave rappresentano infatti un enorme elemento di dissesto idrogeologico e la marmettola – derivato di scarto del taglio del marmo – riempie ruscelli, fiumi e canali di scolo da montagna a valle facilitando gli straripamenti e riducendo la vita all’interno degli alvei.

Il corteo nazionale

È il 4 gennaio e insieme a più di duemila persone attraversiamo le vie del centro di Massa al grido di “basta cave!”. L’emozione è grande, non si era mai visto niente di simile da queste parti per la questione cave e, più in generale, erano tantissimi anni che non si svolgeva un corteo così numeroso.È difficile contarsi e spesso si perde la concezione di testa e coda del corteo mentre attraversiamo le più strette vie del centro – quelle principali sono off limits per via di un regolamento comunale che impedisce di organizzarvi manifestazioni nei fine settimana per non danneggiare i commercianti.

Molte persone si aggiungono durante il tragitto quando capiscono di cosa si tratta: è una gioia incontenibile quella che attraversa la città, la gioia di chi finalmente si ritaglia un eclatante spazio di visibilità in un territorio che troppo spesso ha voluto far finta di niente, nascondendosi dietro allo spauracchio del ricatto occupazionale. Ma i tempi sono cambiati e lo si percepisce chiaramente da dentro il corteo. Una signora che non sta più nella pelle dall’emozione ci racconta di come qualche anno fa’ fosse impensabile anche solo parlarne al bar per il rischio di essere zittite in malo modo da qualche cavatore, ora – conclude – hanno vergogna e abbassano lo sguardo.

Il concentramento era fissato per le 16 in piazza De Gasperi e, sebbene i numeri fossero sin dal principio promettenti, non ci si sarebbe potuti comunque aspettare una presenza del genere. A chiamare la giornata la sezione del TAM (Tutela Ambiente Montano) del CAI di Massa, a costruirla insieme decine di realtà della provincia di Massa Carrara: dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future di Carrara e di Massa alla Casa Rossa Occupata, da Legambiente a Extinction Rebellion, dall’Assemblea Permanente di Carrara (nata proprio durante l’occupazione del comune che aveva fatto seguito all’alluvione del 2014) a Non Una di Meno Massa-Carrara, e ancora gli immancabili circoli anarchici di Carrara, i comitati, gli attivisti e le attiviste per la tutela delle Apuane, impossibile elencarli tutti. Non è mancato neanche il supporto da fuori provincia, a dimostrazione del fatto che la principale risorsa idrica toscana, rappresentata proprio da queste montagne, è cara a molti che da Pisa, Viareggio, La Spezia, Firenze e tante altre città hanno voluto essere presenti.

Già dai giorni precedenti la sensazione che l’attenzione fosse alta non mancava e tanto meno mancavano le voci, le iniziative e le azioni a sostegno della manifestazione. La sera del 3 gennaio un’affollatissima proiezione del documentario Cave Cavem di Alberto Grossi, organizzata da CAI e Fridays For Future Carrara, si era conclusa con un’interminabile serie di interventi finendo per divenire una vera e propria assemblea durata fin oltre la mezzanotte.

Nei giorni ancora precedenti alcune azioni a effetto organizzate da Fridays For Future e Casa Rossa Occupata avevano attaccato il famoso graffito ispirato al David di Michelangelo dello street artist Kobra [2] alle cave di Gioia (chiaro esempio di come le industrie del marmo tentino di infiocchettare retoricamente la devastazione in atto in quelle montagne); e, ancora, colpendo la multinazionale OMYA [3] che fa enormi profitti nel mercato del carbonato di calcio che sta sbriciolando le Apuane.

Le ragioni di questa chiamata

Per capire meglio le ragioni di questa chiamata alle piazze ci siamo fatti una lunga chiacchierata con Nicola Cavazzuti. Nicola fa parte del TAM del CAI di Massa ed è uno degli organizzatori del corteo e, soprattutto, del percorso che con esso si apre.

L’impatto ambientale delle cave è una questione aperta da decenni e della quale molte realtà associative, tra le quali la vostra, si sono occupate con costanza e dedizione; cosa vi ha spinto a decidere, proprio ora, di convocare per la prima volta un corteo nazionale su questa istanza? 

«Dopo quasi vent’anni si torna in piazza: il nostro è un contesto particolare dal punto di vista produttivo. Le cave sono sempre state una risorsa economica del territorio. Le cose però sono cambiate da qualche decennio, la ricchezza non è più ridistribuita e l’impatto occupazionale è basso. Quello che bisogna fare ora è cercare di cambiare la narrazione romantica del cavatore, visto che non rispecchia più la realtà. Siamo scesi in piazza perché negli ultimi dodici mesi abbiamo assistito a una escalation dal punto di vista amministrativo verso l’approvazione di leggi che permettono un’escavazione non più dettata da un interesse collettivo ma dal mercato. Questo è evidente a partire dal Piano Regionale Cave approvato quest’estate: si apre una nuova stagione di escavazione dove si individuano, per i bacini estrattivi, dei limiti di escavazione assolutamente non ecosostenibili.

Gli effetti del Piano Regionale li abbiamo sentiti quando i comuni (Massa, Carrara, Fivizzano, Minucciano, Vagli, Serravezza), hanno iniziato a svolgere il loro lavoro amministrativo attraverso dei piani attuativi per sancire delle regole e pianificare l’escavazione. Dappertutto si è assistito a un incremento di volumi estrattivi, sia in termini di di marmo che di apertura di nuove cave, in particolare nei comuni di Massa, Carrara e Vagli. Cave dismesse 25-30 anni fa, in buona parte completamente rinaturalizzate, che oggi sono di nuovo disponibili per l’estrazione. Ecco quindi che si apre un nuovo fronte: le associazioni ambientaliste hanno provato a interfacciarsi con la Regione Toscana, sia tramite osservazioni al Piano Regionale Cave che tramite degli emendamenti alla legge 35 (che regolamenta l’escavazione sul nostro territorio, 2015), ma non sono state ascoltate. Nelle province come quella di Massa, dove devono essere ancora approvati i piani attuativi, si è scesi in piazza per capire quale fosse la risposta della popolazione a questa volontà politica.

Lo slogan con cui avete chiamato il corteo è “S.O.S. Aronte, AmiAmo le Apuane”, con riferimento al rifugio storico Aronte, il più antico e il più alto delle Apuane. Cosa rischia concretamente questo luogo e perché lo avete elevato a simbolo di quella giornata?

L’Aronte è minacciato a più livelli: nella bozza del piano attuativo dei bacini estrattivi è prevista una riapertura della cava a 20 m. sotto la base del bivacco, nei pressi del passo della Focolaccia. Inoltre nel piano di classificazione acustica, che identifica in base alla destinazione d’uso, la zona del rifugio era classificata come agro marmifero. Dopo le osservazioni delle associazioni ambientaliste, è passato a “terreno montano incolto”, il che evitava l’escavazione in quell’area.

Lì è presente il bivacco Aronte, a circa 180 metri dalle cave. Essendo una residenza di carattere turistico, è stato utilizzato come escamotage per proteggere la montagna: chiedendo infatti che gli venisse data come classificazione acustica quella di “residenza”, l’amministrazione sarebbe stata obbligata  a rivedere anche la classificazione acustica dei terreni vicini e quindi avrebbe dovuto mettere limiti alla tipologia di escavazione. Tutto ciò è stato adottato a luglio 2019 con l’Aronte in classe 1 (residenziale). Tuttavia, in sede di approvazione, sono state fatte delle osservazioni ed è tornato alla classificazione industriale (6). Questa scelta non è casuale, ma permette di aprire le cave lì vicino.

L’Aronte è simbolo di questa battaglia perché ha un valore storico e culturale forte per tutti gli alpinisti – lì ci passava le nottate Enrico Fermi, per farti un esempio – e ha aggregato l’immaginario collettivo.

L’altra questione che è uscita molto è stata quella dell’acqua. Pensate che il messaggio sia passato?

La questione dell’acqua è fondamentale e da non sottovalutare. Ci si batte per due ragioni principali:

1) Le Apuane sono la riserva idrica più grande della Toscana e ultimamente si parla di autostrada dell’acqua che colleghi le Apuane a Livorno [grande opera pensata per sopperire alle carenze idriche spesso causate dall’eccessivo consumo idrico di grandi industrie come la Solvay o le raffinerie ENI nel caso di Livorno, ndr].

2) L’ inquinamento biologico a causa della polvere di marmo (marmettola) che si infiltra nelle fessure e che dilava dai piazzali di cava; ci sono ormai studi recenti, anche di ARPAT, che confermano chiaramente questo impatto causato dai residui di lavorazione.

In più, abbiamo mostrato come ciò abbia un impatto direttamente economico sulla popolazione. Massa è infatti rifornita dalla sorgente del Tartaro, che si trova a 300 metri da un grande bacino estrattivo. L’acqua che esce da qui deve essere filtrata regolarmente perché la presenza della marmettola è costante. Il costo della depurazione si aggira intorno ai  €350.000 l’anno e viene pagato con le bollette. In poche parole le cave inquinano e le popolazioni ne pagano direttamente i costi.

Soddisfazione per la giornata di ieri? Pensate che la grande partecipazione ci dica qualcosa non soltanto sull’attenzione rivolta alle Apuane ma, più in generale, sulle questioni ambientali?

Sì, siamo molto soddisfatti perché la chiamata è stata una scommessa che abbiamo fatto e che possiamo dire di aver vinto; non è facile in questa fase storica portare le persone in piazza. La risposta c’è stata, e ci tengo a sottolineare che in piazza c’erano tantissimi giovani, questo per noi è una grande speranza. Le uscite scomposte sui social di questa mattina da parte di chi ci ha sempre contrastato danno inoltre la cifra di quanto abbiamo colpito nel segno.

Questo è comunque un punto di partenza, non d’arrivo. Ora inizia la parte più difficile: forti dei numeri cercheremo di mettere in campo delle proposte, che siano legate a una visione diversa del mondo e che prevedano un passaggio di economia. Iniziare a pensare a quale siano le alternative possibili anche dal punto di vista sociale e ambientale, che permettano anche la tutela dei lavoratori. Il conflitto non può essere tra lavoratori e ambiente – semmai tra lavoratori e padroni!

Non ci caverete il futuro

Queste giornate ci hanno portato una certa speranza in effetti. Sembra davvero che qualcosa sia cambiato, soprattutto nell’ultimo anno di mobilitazioni per la giustizia climatica. C’è ovviamente un fil rouge, grosso come un intero sistema socio-economico, che collega le lotte locali come questa e tante altre presenti nel nostro paese con la radicale crisi climatica che stiamo vivendo. Forse ne sono la manifestazione più concreta, più palpabile, e che ci permette di fare esperienza diretta di qualcosa di così complesso e multiforme. Forse è già tardi per accorgersene – come sembra indicarci la scienza o l’impotenza della politica istituzionale di fronte all’automa finanziario che governa le nostre vite – ma sicuramente scalda il cuore veder nascere qualcosa. Sempre più spesso spuntano nuove alleanze nei nostri territori, alleanze a volte inconsuete ma che danno il senso dell’urgenza. Il ruolo dei neonati movimenti per la giustizia climatica, come Fridays For Future, si mostra sempre più di fondamentale importanza, riuscendo a funzionare da raccordo tra globale e locale, di cui c’è così bisogno. E la radicalità, che non teme di pretendere un cambio di sistema, è sempre meno un fatto marginale e sempre più un approccio diffuso; anche tra quelle realtà associative che si sono profuse, per lungo tempo, in ogni genere di contrattazione. Pare che, almeno nel cosiddetto “campo ambientalista”, sbagliando si impari. Speriamo solo che la lezione non sia arrivata troppo tardi.

 

[1] Legambiente (2017), Rapporto Cave pp 6

[2] Fridays for Future – Carrara (2020), La distruzione non è arte https://www.facebook.com/watch/?v=465724474141970

[3] Casa Rossa Occupata (2020), La distruzione non è arte, è solo polvere https://www.facebook.com/CasaRossaOccupata/videos/707077696366363/
 

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