ITALIA

L’estate (che) verrà?

Come cambierà l’estate e la fruizione del mare? Tra proposte strampalate e mosse politiche, restano aperte le sfide da affrontare per tutelare le nostre coste dai problemi che le affliggono e per salvaguardare anche il nostro diritto a fruirne. Sarebbe bello se questa fosse una occasione per cambiare in meglio il futuro del nostro mare

La proposta di una azienda modenese di installare box in plexiglass in spiaggia, tra gli ombrelloni, è stata la notizia che ha dato il là alla domanda che comincia ad aleggiare nella mente degli italiani: la prossima estate potremo andare al mare?

Nessuno la poneva pubblicamente, probabilmente perché ci si chiedeva se fosse il caso di parlare di un argomento così triviale, vista la pandemia in atto. Ora, invece, navigando verso i quasi due mesi di quarantena si comincia a ragionare sulla fase 2 che partirà dal 4 maggio. Complici il clima primaverile e il sole sempre più presente (persino a Pasquetta!), che possiamo solo goderci dai nostri balconi e terrazzi e una copertura mediatica notevole (fuorviante rispetto al fatto che quella del plexiglass fosse una ipotesi al vaglio del governo o meno), la notizia è diventata virale generando confusione, meme e battute, ma facendoci di fatto pensare all’estate e ai possibili scenari che ci aspettano.

Prendere in considerazione tale proposta vorrebbe dire riconsiderare anche il concetto di grigliata al mare, probabilmente. È inutile anche solo stare a parlare delle problematiche legate a questa idea, già derisa dal SIB (Sindacato Italiano Balneari). Eppure ha avuto il merito di aprire il dibattito sulla stagione in arrivo: la sottosegretaria al MIBACT, Lorenza Bonaccorsi, ha infatti dichiarato che «l’obiettivo è quello di dare la possibilità agli italiani di andare in spiaggia, a patto che ci siano tutte le condizioni di sicurezza che la situazione richiede». Dovremo quindi prepararci a un’estate in cui il distanziamento sociale sarà presente, come ha dichiarato ancora la Bonaccorsi: «l’indicazione del distanziamento sociale andrà rispettata. La Cina ha riaperto i luoghi culturali con il 30 per cento delle capacità: si tenderà a rarefare le presenze. La Spagna ci sta già lavorando e ha previsto un distanziamento tra ombrelloni, che da noi non sarà possibile in tutte le spiagge. Perciò serve un lavoro a stretto contatto col territorio, per costruire un modello nuovo». E le proposte arrivano dai vari territori, come per esempio da Porto Cesareo, dove si prova a distanziare gli ombrelloni con paletti e corde, anche se la risposta del presidente della CNA balneari Puglia non è proprio incoraggiante. Al di là delle proposte, la sottosegretaria Bonaccorsi ha ragione quando afferma che bisognerà costruire un modello nuovo. Probabilmente si ridefinirà l’immagine di spiaggia affollata che molti di noi sono abituati non solo a vivere ma a considerare normale.
Molti italiani abituati a spiagge affollate e ombrelloni appiccicati l’uno all’altro avranno finalmente tutto lo spazio che hanno sempre desiderato, anche se nessuno potrà mai gioire per tale conquista imposta, visti i motivi.

Il mare di Gallipoli

 

Ci riversiamo in massa sulle nostre coste, ogni anno, ma perché? L’andare al mare, oltre al benessere psico-fisico, è una consuetudine radicata nel DNA di molti popoli mediterranei, italiani inclusi. Nell’interessante paper di Kristin Lawler, insegnante di sociologia al Mount Saint Vincent college di New York, The mediterranean imaginary: a nationalism of the sun, a communism of the sea, si cerca di spiegare la differenza degli stili di vita tra i popoli del nord e del sud Europa e di come il Mediterraneo influisca inesorabilmente sui ritmi di vita, economici e sociali di questi ultimi (più lenti e rilassati), in contrapposizione all’efficacia della vita schematica e dedita solo ed esclusivamente al lavoro, ma stressante, perché più frenetica, dei primi. Se è vero che la produttività nord europea è il modello capitalista imperante in tutto il continente, è anche vero che il fascino di un modello diametralmente opposto continuerà a esistere e ad attirare persone, bilanciando le contrapposizioni. «The Mediterranean is an idea, a text that overflows with meaning – meaning which is fuel for liberatory politics that challenge the logic of capital».

Inoltre, in Italia, i proprietari dei lidi devono aprire per forza da giugno a settembre in quanto concessionari di un bene dello Stato, come asserisce Alfredo Prete, presidente di SIB Lecce.
I balneari sono poi molto preoccupati per i lavori da effettuare per adeguarsi alle norme sul distanziamento al momento al vaglio del MIBACT, anche se sarà poi il decreto firmato dal ministro della salute Speranza che darà indicazioni alle regioni in merito. La preoccupazione è legata ai dubbi economici, inerenti i mancati introiti da una parte e le concessioni di credito alle imprese da parte delle banche dall’altra, dal momento che il 2020 è l’anno in cui scadono le concessioni demaniali delle spiagge italiane.

Queste concessioni nel nostro paese si rinnovavano automaticamente, ma questa pratica è in contrasto con la direttiva Bolkestein del 2006, recepita parzialmente dall’Italia nel 2010. Ora, a fine anno si prospetta uno scenario rivoluzionario: «L’adeguamento alla normativa europea ha condotto a un sistema di liberalizzazioni prorogando le concessioni in essere fino al 31 dicembre 2020. Da quella data la concessione delle spiagge e del demanio marittimo saranno messe all’asta. Dunque, la selezione – imparziale e trasparente – avverrà tra tutti i candidati e non solo tra coloro che, ormai da tempo, gestiscono lo stesso lido in forza di rinnovi automatici e tali da creare ingiustificati privilegi».

La questione concessioni è una partita complessa, nella legge di bilancio del 2018 le concessioni sono state prorogate automaticamente per 15 anni, fino al 2033, ma c’è il rischio concreto di una infrazione. Il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, nella conferenza stato regioni di febbraio è intervenuto sull’argomento chiedendo alle regioni di fornire una mappatura delle concessioni e affermando che «continua l’impegno del governo a rimettere ordine a un caos generato da una decisione affrettata del precedente governo rispetto agli stabilimenti balneari: il nostro obiettivo è quello di non rimettere più il nostro Paese nella condizione di subire procedure di infrazione».

La costa

 

Ora con l’avvicinarsi  della stagione, sale la necessità di risposte: l’assessore al demanio marittimo della Liguria, Marco Scajola, che è anche coordinatore nazionale degli assessori competenti in materia, alla prossima conferenza delle regioni chiederà al governo la sospensione dei canoni per il 2020 e «che il Governo vari un decreto ministeriale che dia validità all’estensione di 15 anni delle concessioni demaniali».

La risposta del ministro Franceschini è arrivata alla vigilia del 25 Aprile, e va proprio in tal senso: «proporrà di inserire nel “decreto Aprile” una norma nell’ambito della proroga delle concessioni balneari già disposta dalla legge n. 145 del 2018 fino al 2033, che fuga ogni dubbio applicativo di tale misura da parte degli enti locali». Sembrerebbe che il governo voglia andare incontro ai balneari anche per trovare un accordo sulla gestione delle spiagge libere, almeno di quelle negli immediati pressi di lidi attrezzati.
Perché se è vero che il decreto e le proposte riguardano gli stabilimenti balneari, è altrettanto vero che moltissime persone nei lidi non ci vogliono o possono andare.

Le spiagge libere, le riserve naturali e le scogliere sono a volte più affollate di lidi a pagamento, spesso usate da chi abita o conosce bene i territori marittimi e costieri. Una realtà mediterranea fatta anche di seconde case dove tornare in estate, di una emigrazione al contrario. Una realtà dove la libertà di usufruire delle bellezze naturali gratuite che il nostro paese ci regala non è però protetta da leggi chiare.

La percentuale di spiagge libere, per esempio, in confronto a quelle in concessione spetta alla legislazione regionale, come per il Turismo. Anche la questione dei canoni presenta una assenza di legislazione nazionale: secondo Legambiente, nel report “spiagge 2019”, nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui. Secondo lo stesso report le spiagge libere nel nostro paese sono spesso un miraggio, solo il 40% del totale, in genere mal posizionate e poco curate, spesso piene di rifiuti come dimostrano le foto di Emiliano Picciolo; dovremmo imparare anche a proteggerle da noi stessi, quindi, sperando di non farle diventare cimiteri per guanti e mascherine.

Lido Conchiglie

 

Si è presa ad esempio la Puglia in quanto regione virtuosa: ha fissato una percentuale di spiagge libere del 60%, oltre a stabilire il principio del diritto di accesso al mare, per tutti (legge Regionale 17/2006 detta “Minervini”). Nonostante queste problematiche, il mare rimane oggetto del desiderio e controllare tutti gli accessi, i sentieri, le pinete, le calette, le spiagge, è praticamente impossibile; eppure le regole di distanziamento varranno su tutto il territorio.

La proposta che arriva dall’assessore all’ambiente del municipio di Ostia dribbla il problema: ha infatti dichiarato che le spiagge libere non sono essenziali, al contrario degli stabilimenti. Una proposta classista e discriminante che chissà se farà la stessa fine di quella del plexiglass. Una proposta diversa arriva, invece, ancora dalla Puglia, in particolare dal sindaco di Lecce Salvemini, che propone di affidare il controllo e la cura delle spiagge libere ai gestori degli stabilimenti balneari, in cambio di un azzeramento del canone demaniale annuale. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, pare essere d’accordo e inoltrerà la proposta al ministero.

In attesa di un decreto ufficiale, si comincia a sentir parlare di turismo di prossimità, cioè, secondo la sottosegretaria del MIBACT,  «la propensione degli italiani a vivere vacanze in mete più vicine, anche perché molti cittadini devono fare i conti anche con la crisi economica e a preferire mete meno affollate di turisti, come i piccoli borghi, di cui l’Italia è davvero molto ricca»Quindi da una parte si vuole rassicurare la popolazione sulla possibilità che l’estate ci sarà, mentre dall’altra si studia un decreto che possa permetterlo ma suggerendo agli italiani – quelli che potranno permettersi di andare in vacanza almeno – di disperdersi per il territorio, magari non allontanandosi troppo dai comuni di residenza.
Sarebbe la prima volta in cui il turismo dovrà fare a meno degli stranieri e conterà praticamente solo sul mercato interno e sarebbe anche la prima volta per le piccole destinazioni di avere una chance di supportare la loro economia locale grazie ai turisti. Sembra il requiem del fenomeno dell’overtourism e la rivincita del tanto agognato turismo sostenibile.

In questa confusione, non dobbiamo scordarci che le coste del nostro paese sono una risorsa e che, come spiega il vicepresidente nazionale di Legambiente Edoardo Zanchini, nessuno se ne occupa, purtroppo, e i veri nemici sono l’erosione, il cemento e i cambiamenti climatici. Le sfide che una legge nazionale dovrebbe affrontare sono elencate nel già citato rapporto:
– garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge con percentuali chiare;
– premiare l’offerta che punta sulla qualità e magari sulla sostenibilità, per quello che riguarda le spiagge in concessione;
– prevedere anche dei canoni adeguati (solo per citarne uno: a Marina di Pietrasanta il Twiga di Briatore paga 17.619 euro all’anno, fatturando 4 milioni) così da utilizzare le risorse per riqualificare il patrimonio naturale delle coste.

Come cambierà l’estate? Potremo andare al mare? Tra box di plexiglass, rinnovo delle concessioni demaniali e rischio di infrazione, chiusura delle spiagge libere o affidamento ai privati, restano molte le sfide da affrontare per tutelare le nostre coste contro l’erosione, il cemento e i cambiamenti climatici, e il nostro diritto a fruirne. Sarebbe bello se questa fosse un’occasione per cambiare in meglio il futuro del nostro mare.

Il mare di Gallipoli

 

Le dichiarazioni del ministro Franceschini, però, riguardano solo la questione delle concessioni, non chiarendo né come faremo a evitare una procedura d’infrazione (sbugiardando le parole del ministro Boccia), né se si vuole veramente cominciare a interessarsi del futuro delle nostre coste e del nostro mare. Ci sarà traccia di come affrontare quei punti, nel decreto? Non si vogliono demonizzare i lavoratori balneari, i primi interessati al benessere delle coste probabilmente, ma chi permette loro di lavorare in un regime di quasi monopolio, in assenza di regole certe, nazionali, eque. Ancora una volta si rischia di non affrontare i veri problemi. Manca il coraggio di cambiare, la volontà politica o la competenza?

In attesa del “decreto Aprile” e quindi di capire come sarà la prossima stagione, prepariamoci a un’estate atipica: l’immancabile caldo alimenterà il desiderio di evasione, più vivo che mai dopo la quarantena, ma arrivati nei nostri luoghi di villeggiatura, capiremo che ci sarà l’essenziale ovvero il mare, i parenti, gli amici (se potremo muoverci da regione a regione) ma che mancheranno gli altri elementi, belli e importanti ma di contorno, come concerti, sagre, festival, forse persino feste patronali. La stagione estiva tornerà a essere soltanto una stagione, perdendo quei toni di sacralità e non solo di ritualità che alcuni le attribuiscono. Difficile associare all’estate che verrà le stesse funzioni sociali che l’hanno caratterizzata in passato, senza quegli elementi di contorno dovremo infatti imparare a ripensarla e viverla come una stagione diversa, accontentandoci dell’essenziale. Un’estate lenta, che ci vedrà forse scoprire il piacere di questa lentezza e molto probabilmente meno entusiasmante di quelle che abbiamo vissuto sino a oggi, ma che sicuramente non scorderemo mai nella vita.

 

Foto di Emiliano Picciolo