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Le trame nere della rivolta

#5 Conflitto esperienza letteratura. Lou Palanca torna in libreria con un romanzo sui fatti di Reggio Calabria del 1970

Si intitola A schema libero ed è l’ultimo romanzo del collettivo di scrittura calabrese Lou Palanca, già intervistato due anni fa per Dinamo Press, in occasione dell’uscita del libro Ti ho visto che ridevi. Il gruppo di lavoro, oggi composto da tre elementi, ha consegnato alle stampe un’opera di docufiction che ripercorre le vicende politiche dei moti di Reggio Calabria. Lo schema libero è quello del cruciverba che va componendosi mano a mano che la storia avanza: termini e definizioni che situano i tanti fatti e i personaggi presenti o evocati. Per provare a parlare di questo testo sarebbe necessario provare a dar conto proprio dei fili narrativi che lo attraversano. Sono gli eventi di cronaca succedutisi dal 1970 a oggi, a partire dal capoluogo calabrese, che per allegoria, provocatoria e necessaria, eleggiamo a “capitale” d’Italia. Gli intrighi, gli scontri, gli abusi messi in scena in questa città, e in questa terra, sono quelli di un’intera nazione. Come lo sono le resistenze tentate e riuscite, concretizzate da chi ha saputo tracciare i percorsi del potere negli ultimi cinquant’anni e rinascere e svincolarsi costantemente dal suo assedio.

Tutto parte con la rivolta di Reggio: rivoluzione ambigua, cavalcata da molti, usata dalla destra fascista, domata a fatica dallo stato. Cominciati all’inizio del luglio del 1970 e conclusi nel febbraio successivo, con l’arrivo dei carri armati sul lungo mare, i moti furono una sommossa popolare contro la scelta di Catanzaro come capoluogo, a seguito dell’istituzione della regione Calabria (1970). Gli accadimenti, che inizialmente e per ragioni diverse coinvolsero ampi settori della società, furono successivamente egemonizzati dall’MSI e dalla destra eversiva, trasformando quel movimento in una sperimentazione aderente alle cronache nazionali. Solo l’anno precedente infatti, il 12 dicembre 1969, a Milano, all’interno della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, una bomba aveva ucciso 17 persone e dato inizio alla strategia della tensione. Pochi giorni dopo l’inizio degli scontri reggini invece, a pochi metri dalla stazione di Gioia Tauro fu fatto deragliare il treno Palermo – Torino, con una carica di esplosivo che provocò sei morti. Era il 22 luglio 1970 e due mesi dopo, il 26 settembre, sull’autostrada del Sole, all’altezza di Ferentino, morirono, in un più che sospetto incidente stradale, cinque ragazzi diretti a Roma. Era un gruppo di anarchici – quattro ragazzi calabresi e una ragazza tedesca – che avrebbero dovuto consegnare nella sede della rivista “Umanità Nova”, a Roma, i risultati della loro inchiesta sulle infiltrazioni fasciste e ‘ndranghetiste nella rivolta e nell’attentato al treno.

All’epoca la ‘ndrangheta stava trasformandosi da eterogeneo arcipelago di gruppi familiari a organizzazione criminale capace di operare a livello nazionale e poi internazionale. Mentre la destra eversiva italiana cercava e trovava campi in cui sperimentare la propria volontà di potenza, invitando i propri allievi a fare l’esperienza necessaria a costituire un ordine nuovo. Così, se gli anarchici non arrivarono mai a Roma coi loro documenti, è certo che in occasione dei moti di Reggio molti neofascisti decisero di scendere al sud per sostenere l’operato di Francesco (Ciccio) Franco, leader dei “Boia chi molla”. Accertato è anche il connubio tra le cosche e la destra eversiva, che si saldò proprio in quel lungo millenovecentosettanta. A confermare questa relazione, tra gli altri eventi, c’è la fuga da Catanzaro, e lungo la Calabria, di Franco Freda. Accadde nel 1978 e fu sostenuta dal politico Paolo Romeo, con la complicità del boss Filippo Barreca. Accadde durante il processo di Catanzaro relativo proprio alla strage di Piazza Fontana del 1969 e di cui Freda era ritenuto responsabile.

Il titolo del romanzo, A schema libero, sembra riferirsi prima di tutto alle improvvisazioni di certe manovre politiche, compiute con la consapevolezza se non dell’impunità di una vasta e funzionante rete di protezione. Eventi oscuri, interessi malcelati e colpevoli mai trovati che hanno lasciato lungo il percorso cadaveri e cicatrici, che è necessario ricordare per avere coscienza della complessità della nostra storia recente. Se fossero necessari degli esempi, proprio le vicende di Freda e Romeo risultano significative. Dopo essere stato assolto, in via dubitativa, per mancanza di prove, il fascista padovano torna al centro dell’attenzione dei magistrati. Una sentenza della corte di Cassazione del 2005 attribuisce la preparazione della strage di Milano a “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo (…)” a capo del quale c’era lui e il suo sodale Giovanni Ventura. Intanto Paolo Romeo cresciuto nel Fuan, dopo aver aderito alla loggia massonica presumibilmente fondata dallo stesso Freda, si candida nelle file del Partito Socialista Democratico Italiano, per poi approdare alla fine al Partito Radicale. Viene condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, definitivamente, nel 2004. Mentre il buon Freda dal 2012 comincia una collaborazione con il quotidiano “Libero”, redigendo una rubrica dal titolo “L’inattuale”.

Ecco, parlare di A schema libero vuol dire anche provare a misurarsi con la matassa della storia contemporanea italiana, individuando alcuni fili che potrebbero essere tirati meglio e più opportunamente di altri.

Quello dei Lou Palanca è un romanzo avvincente che tiene incollato il lettore alle pagine che scorrono. La storia si apre con l’incidente degli anarchici – il 26 settembre 1970 – e il suicidio della ex dirigente del settore finanze del comune di Reggio Calabria e donna di fiducia di Giuseppe Scopelliti, Orsola Fallara – il 15 dicembre 2010. Due parentesi che segnano il perimetro temporale dentro il quale si snodano le vicende che vanno dalla rivolta all’uscita stessa del romanzo.

In Ti ho vista che ridevi erano le indagini di storia orale e di microstoria a guidare la creatività del collettivo. In quel romanzo si raccontava l’epopea delle calabrotte, donne emigrate nella provincia piemontese, in sostituzione di quelle che dalla campagna si trasferivano in massa a Torino, per lavorare in Fiat. In A schema libero è invece l’indagine giudiziaria e la raccolta di cronaca politica a permettere di organizzare un tessuto narrativo avvincente, per quanto costruito attraverso le linee parallele delle narrazioni in prima persona.

Nel primo caso l’obiettivo era quello di riscoprire il ruolo di soggetti inaspettati nei processi storici. Nel secondo, emerge invece la necessità del controllo degli stessi da parte del potere. Incrociando le parole del cruciverba che si va componendo nel testo, diremmo che A schema libero descrive un cieco bisogno di ostacolare, un’ambizione spesso vuota, una sorta di virus che chiede di sottostare.

Il racconto è costruito attraverso le narrazioni di quattro soggetti: l’enigmista, uomo dei servizi che molte cose ha visto e altrettante conosce suo malgrado; Margherita, una giovane giornalista che si ritroverà per le mani documenti inaspettati; il professor Dattilo, che cura la memoria, come un sapere doloroso e necessario; l’estremista di destra, che compare sporadicamente a puntellare la storia, ricordandoci per contrasto che non innamorarsi del potere è condizione imprescindibile per una vita non fascista.

 

Questa recensione è la continuazione ideale delle seguenti, raccolte sotto al titolo: Conflitto esperienza letteratura.

Conflitto, esperienza, letteratura (15 gennaio 2015)

SIC, metodo e comunità in “territorio nemico” (13 febbraio 2015)

Dopo il colonialismo, c’è il colonialismo (6 novembre 2015)

Discorsi sul metodo. A colloquio con Lou Palanca (27 novembre 2015)

 

Alcune “curiosità”: Ordine Nuovo, prima di essere un’associazione della destra eversiva, era il titolo di un periodico fondato da Antonio Gramsci nel 1919. Il motto “boia chi molla” non fu coniato da Ciccio Franco, sindacalista Cisnal e leader della rivolta, ma da Roberto Mieville, fascista italiano, catturato durante la guerra e rinchiuso in un campo di prigionia negli Stati Uniti. La frase sul più bel chilometro di Italia, attribuita a D’Annunzio e relativa al lungo mare reggino è in realtà di Nando Martellini. Qui c’è un bell’articolo in merito, scritto dagli stessi Lou Palanca.