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«Le proteste di Boğaziçi sono una vittoria della società civile turca»

È da oltre una settimana che studenti della prestigiosa università di Istanbul stanno protestando contro la nomina del nuovo rettore Melih Bulu, che è stato scelto direttamente da Erdoğan per decreto presidenziale. Tanta la solidarietà, anche dal mondo accademico, ma è iniziata anche una dura repressione. Parla l’avvocato Engin Kara

Il rettorato è morto, viva Boğaziçi. Nella giornata di ieri, studenti della prestigiosa università istanbuliota hanno cucinato con un grosso fornelletto da campo un helva, il dolce tipico delle cerimonie funebri in Turchia, per sancire simbolicamente il decesso dell’istituzione accademica. È oramai più di una settimana che alunni e alunne dell’Università Boğaziçi stanno protestando, con modalità molto spesso anche goliardiche e canzonatorie.

Ma le motivazioni sono molto serie: la nomina del prof. Melih Bulu a rettore tramite decreto presidenziale emesso il primo gennaio ha scatenato immediatamente il malcontento. Bulu, infatti, non appartenente alla comunità accademica di Boğaziçi (sebbene vi abbia studiato per alcuni anni). Al contrario, il nuovo rettore è uno storico esponente dell’Akp, al punto di essere stato candidato nel 2015 alle elezioni parlamentari nelle file del partito governativo.

 

Il fatto che sia stato scelto non tramite elezioni interne, come è avvenuto per i suoi predecessori, ma direttamente dal presidente Erdoğan non ha fatto altro che aggravare la situazione.

 

«Percepiamo questa situazione come una violazione dell’autonomia di tutte le università», dice un appello lanciato perfino da ex-studenti di Boğaziçi all’estero e ripreso dall’agenzia Pressenza, che si apre significativamente affermando: «Non accettiamo e non ci arrendiamo!». L’indignazione diffusa ha infatti travalicato in poco tempo le mura del campus universitario e ha avuto la capacità di rendere virale a livello nazionale, dopo poche ore, l’hashtag #kayyımrektöristemiyoruz (non vogliamo il rettore amministratore fiduciario).

L’appello degli studenti è stato sostenuto anche dai docenti dell’Università, che il tre gennaio hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, nella quale sottolineavano la gravità della nomina del nuovo rettore, non tanto per la sua affiliazione politica ma per il fatto che si trattasse della prima volta dopo la dittatura militare degli anni ’80 che la scelta del rettore ricadesse su una figura non facente parte della comunità accademica di Boğaziçi. Un parallelismo storico che denuncia indirettamente la questione della repressione e del controllo, che sotto il regime di Erdoğan hanno raggiunto livelli tali da richiamare alla mente lo spettro delle esperienze più autoritarie del passato turco.

 

Infatti, nonostante le proteste si siano sempre svolto in maniera assolutamente pacifica, la repressione poliziesca non ha tardato a scatenarsi: il mattino successivo alle mobilitazioni iniziali del quattro gennaio si sono verificati perquisizioni e arresti alle prime luci dell’alba, con le forze dell’ordine che hanno fatto irruzione nelle residenze studentesche.

 

Engin Kara, avvocato e attivista di Istanbul che sta seguendo alcuni dei casi, conferma a Dinamopress: «Il numero dei fermati ha raggiunto la cifra complessiva di 45 persone. Circa 10 studenti in più sono tuttora ricercati dalla polizia. I fermati sono stati rilasciati giovedì e venerdì con il divieto di espatrio e l’obbligo di firma presso la stazione di polizia ogni settimana. L’inchiesta nei loro confronti continua e saranno molto probabilmente chiamati ad andare a processo».

Dal canto suo, Erdoğan non sta certo contribuendo a sciogliere la tensione. Assieme ad altri esponenti del governo si è affrettato ad additare le persone che stanno protestando come “gruppi di terroristi”, rivendicando la piena legittimità della nomina del rettore. D’altronde, come spesso accade anche per altri tipi di mobilitazioni, l’uso spropositato della forza da parte degli apparati di sicurezza è stato calibrato proprio come se si trattasse di operazioni anti-terrorismo e contro organizzazioni armate, invece che verso semplici studenti.

 

 

«L’obiettivo del governo – continua l’avvocato Engin Kara – è quello di rappresentare questi studenti come dei terroristi, nonostante poi le indagini nei loro confronti non prevedono l’accusa di terrorismo. Nel corso delle perquisizioni le uniche cose che sono state trovate a casa degli studenti non sono nient’altro che telefoni, computer e libri. Siamo di fronte non ad una pratica legale ma ad una forma di repressione politica. Il regime di Erdoğan cerca di minacciare chiunque provi a fare opposizione, disconoscendo di fatto la legge e mostrando di poter fare ciò che più gli aggrada».

 

Ma sono poi le stesse proteste che assumono significati e direzioni più ampi della semplice contestazione alla nomina di Bulu.

 

Nell’hashtag che è circolato in questi giorni si legge la parola kayyım, ovvero “fiduciario governativo”, che il termine con cui vengono denominati anche i rappresentanti dell’Akp posti a capo di tanti comuni dell’est della Turchia dopo che sono stati destituiti i sindaci legittimamente eletti. Porre a capo di varie entità istituzionali persone direttamente scelte dal potere centrale è diventata, cioè, una pratica caratteristica del regime erdoganiano, come si è visto in occasione dell’elezione del rivale İmamoğlu a sindaco di Istanbul, più volte contestata.

Questa volta, però, qualcosa sembra storto nei piani del leader dell’Akp. Allo schema consolidato delle reazioni repressive da parte di governo e forze dell’ordine, si contrappone la capacità di mobilitazione e l’inventiva degli e delle studenti: il neorettore ha provato a mandare messaggi conciliatori lanciati dai propri account social, dichiarandosi tra l’altro un «fan dei Metallica» per mostrarsi vicino agli alunni e alle alunne dell’università, al che le manifestazioni hanno risposto diffondendo a tutto volume le note di Master of Puppets all’interno del campus. Intanto, sotto la pressione delle proteste, il consulente del rettore Zafer Yenal e il direttore della casa editrice di Boğaziçi Murat Gülsoy si sono dimessi.

Ma, in generale, sembra esserci una grande attenzione all’interno della società turca sugli avvenimenti dell’università di Istanbul.

 

La caccia allo studente da parte della polizia, che in alcuni casi pare essere sfociata in veri e propri episodi di pestaggio e violenza, unita ai diffusi malumori per la controversa nomina del rettore, ha suscitato all’interno del paese l’indignazione da parte di moltissime persone, schierate sin da subito dalla parte di manifestanti.

 

Circostanza che ha permesso una prima parziale vittoria da un punto di vista giudiziario, con il rilascio degli studenti fermati, giudicato non a caso da Kara «non un successo degli avvocati ma una vittoria della società. Solo grazie allo spostamento degli equilibri politici all’interno della società in favore degli studenti, abbiamo potuto liberare i nostri compagni. Se l’opposizione sociale fosse rimasta in silenzio, e se non fosse continuata la lotta politica, noi avremmo potuto mettere in atto le stesse strategie difensive durante gli interrogatori ma agli studenti sarebbero stati convalidati gli arresti».

Nel frattempo, anche nei campus della capitale Ankara stanno iniziando le proteste.

 

Tutte le immagini dal profilo Twitter del collettivo femminista Kampüs Cadıları