ITALIA

Le immagini indegne di Milano
Mentre si assiste a un coro unanime di indignazione per le vetrate rotte alla stazione centrale di Milano, con la violenta repressione che ne è seguita, si relega la notizia del disastro dovuto all’esondazione del Seveso, che nelle stesse ore provocava ingenti danni, alle pagine interne degli organi di stampa
Prendiamo in prestito le parole della Presidente del Consiglio: «sono indegne le immagini che arrivano da Milano». Non possiamo che condividere questo giudizio. Come altro definire le strade invase dalle acque fangose del fiume Seveso, che alle 10 del mattino è esondato?
Le chiamate ai Vigili del Fuoco sono state più di 200. Molte fermate della metropolitana sono state chiuse per allagamento, una palestra si è riempita d’acqua fino a far scomparire i canestri e i tabelloni e alcuni piani del Tribunale sono stati dichiarati inagibili. Nel quartiere Niguarda è stato necessario mettere in salvo i bambini della scuola paritaria. Le auto sono state bloccate nei sottopassi e vaste zone sono state colpite da blackout.
Non è andata meglio in provincia, dal Comasco alla Brianza, con frane e allagamenti che hanno costretto i Vigili del Fuoco a intervenire per salvare persone abbarbicate sul tetto delle loro auto.
A nulla sono servite le due vasche di laminazione che sono state aperte, quella a Parco Nord attiva dal 2023 e quella nuova di Senago, per arginare le esondazioni.
È caduta tanta pioggia in poco tempo, un “evento climatico estremo” è stato definito, perché non si vuole ammettere che la crisi climatica ha reso questi eventi cronici e ricorrenti.
Il rischio idrogeologico cresce per l’aumento costante della temperatura e la cementificazione incontrollata del territorio. Inutile illudersi, non si fermerà, anche se Meloni e Trump parlano di “grande truffa” del cambiamento climatico e del carattere ideologico del Green Deal.
Si valuteranno i danni che tutto questo ha comportato.
Così mentre la città si riempiva di 50mila manifestanti intenzionati a bloccare tutto contro il genocidio che si sta consumando a Gaza, l’acqua dava una mano. La città che si vanta di non fermarsi mai è stata costretta a fermarsi per la partecipazione oceanica alla manifestazione e per l’esondazione dei suoi torrenti.
Le prime pagine dei giornali oggi dedicano titoli cubitali alla “guerriglia urbana” che è stata scatenata dalla violenta repressione contro un gruppo di manifestanti intenzionati a bloccare la Stazione Centrale.
«Sono giovanissimi, maranza, immigrati», ci dicono. Giudizi sprezzanti che non riconoscono alcuna valenza politica a una delle tanti parti della marea che si è riversata nelle città grandi e piccole del nostro paese, ognuno con le sue pratiche e le sue rivendicazioni, uniti dalla volontà di dire basta al genocidio e rivendicare la libertà per la Palestina.
Bisogna arrivare all’undicesima pagina di un quotidiano per conoscere il disastro delle esondazioni e non si fa parola delle cause che hanno portato a questo punto. Anche questo è il modello Milano e anche su questo convergevano le parole d’ordine e le pratiche di lotta della manifestazione.
Una città dalla quale si è estratto un valore enorme a fronte delle profonde diseguaglianze fra chi vive la scintillante Milano e chi resta emarginato. La separazione fra le due realtà sembra allargarsi e diventare insanabile. Lo sciopero generale che ha portato tanti e tante in piazza da nord a sud ci parlava anche di questo, delle tante lotte che si sono ritrovate per rivendicare giustizia sociale e ambientale. Perché non vogliamo più vedere immagini indegne!
L’immagine di copertina è di IMBiblio (Flickr)
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