EUROPA

Le cause nascoste della privatizzazione della salute in Spagna

Il collasso del sistema sanitario spagnolo di fronte alla crisi del Covid-19 non è altro che la conseguenza di una privatizzazione della salute iniziata molti anni fa e a cui hanno partecipato tutti i maggiori partiti politici

La Legge Generale di Salute (1986), nonostante i tagli rispetto alle bozze iniziali più progressiste, ha determinato una nuova fase per l’assistenza sanitaria permettendo, tra l’altro, l’implementazione del modello dell’assistenza primaria. Tuttavia, le pressioni politiche costrinsero a lasciare la porta aperta per permettere alle aziende private di fare affari a spese del Sistema Sanitario Nazionale. Infatti, l’articolo 90 consentiva di trasferire le attività negli ospedali privati, a condizione che gli ospedali pubblici avessero già ottimizzato le proprie risorse. Ovvero, se un ospedale avesse avuto letti, sale operatorie, servizi o tecnologia sottoutilizzati o chiusi, non avrebbe potuto trasferire le prestazioni a quelli privati. La realtà durante questi tre decenni è stata un’altra.

 

I tagli e le chiusure negli ospedali pubblici si sono succeduti, mentre le prestazioni meno complesse e più economicamente redditizie venivano trasferite a quelli privati (tramite la pratica definita “concerto”).

 

Questo argomento è stato al centro della scena in tutto lo Stato, indipendentemente da chi governasse. Tutti i politici l’hanno utilizzato, portando alla luce le connessioni tra i dirigenti pubblici e l’assistenza sanitaria privata. In trent’anni, nessuno dei nostri meravigliosi giudici ha rilevato alcun indizio di irregolarità in questa pratica quotidiana.

In questo modo, ogni anno si lascia che circa 8 miliardi di euro siano deviati dai nostri centri sottoutilizzati verso tasche private attraverso la pratica dei concerti. Tuttavia, esistono grandi differenze territoriali. In Catalogna rappresentano il 25% del bilancio sanitario, mentre la media nazionale è del 12%. Per avere un’idea dell’ordine di grandezza, 8 miliardi di euro sono la spesa sanitaria annua di Madrid (6,5 milioni di abitanti) o l’insieme della spesa sanitaria delle Asturie, delle Isole Baleari, della Cantabria, dell’Extremadura e di Aragona.

Ma era non era abbastanza.

 

Dopo appena cinque anni dall’approvazione della Legge Generale di Salute e senza aver raggiunto il pieno sviluppo dell’assistenza sanitaria, il PSOE ha lanciato il cosiddetto “Rapporto di aprile” per “modernizzare la salute”. Le sue raccomandazioni erano chiare: il sistema sanitario doveva funzionare come una società privata e bisognava adottarne i criteri, l’efficienza e la gestione economica.

 

Queste linee guida, elaborate da “esperti” – alcuni dei quali erano legati all’industria farmaceutica – non tardarono ad essere applicate. La Legge Generale di Salute li vincolava ed era necessario modificarla. Per questo, fu redatta la Legge 15/97 sulle Nuove Forme di Gestione che permetteva, grazie all’approvazione da parte del Partido Popular, del PSOE, del Partito Nazionale Basco, di Convergenza e Unione [coalizione liberal-democratica catalana al governo della Comunità Autonoma quasi ininterrottamente dal 1980 al 2016 – ndt] e della Coalizione delle Canarie, che qualsiasi centro sanitario o sociosanitaria dello Stato spagnolo fosse gestito e sfruttato da società a scopo di lucro.

La penetrazione del settore privato era molto diversa a seconda del territorio. La Catalogna aveva il suo modello, già in gran parte in mani private. Però la legge ha permesso di “legalizzare” il modello catalano, che nel 1996 aveva già realizzato la prima esperienza di privatizzazione di un centro sanitario costruito con denaro pubblico: l’EBA di Vich [Entità di Base Associativa, società a responsabilità limitata che stipulano contratti con il servizio pubblico per l’erogazione di servizi sanitari – ndt], inaugurando la privatizzazione di primo livello.

Da quel momento, tutto è stato più semplice. Con il PP e i nazionalisti che aprono la strada e il PSOE che lascia correre, è stato portato avanti uno schema pianificato alla perfezione: un processo di deterioramento e persino di chiusura dei centri “pubblici” di gestione diretta, sostituiti da centri di “collaborazione pubblica-privato”, come nel caso dell’Ospedale di Puerta de Hierro a Madrid, che passa dall’essere un centro di gestione diretta a uno di collaborazione pubblico-privato. La collaborazione è che il pubblico usa i nostri soldi e il privato ne riscuote i benefici. Con l’ulteriore problema che ognuno di questi centri, assegnato per decenni a fondi di capitale di rischio, imprese di costruzioni o banche, avrà un costo per le casse pubbliche fino a sette volte il valore dell’investimento.

La dimensione aziendale, chiamata da alcuni “gestione senza rischi” (quale amministrazione non salverebbe un ospedale di questo tipo che dovesse fallire?), si è propagata a macchia d’olio in tutta la Comunità Valenciana, in quella di Madrid, in Galizia, in Castilla e Leon… lasciando una scia di costi aggiuntivi e corruttele e una riduzione della capacità dei centri sanitari “pubblici”, come evidenziato dalla crisi per il Covid-19. Curiosamente, nel caso di Madrid, i centri privatizzati sono stati ripartiti tra i comuni governati da PP, PSOE e Izquierda Unida. Tutti felici di mettere terreni pubblici a disposizione gratuitamente per le aziende private, facendo affari persino con i parcheggi. Tutti a braccetto.

 

Il resto è storia nota e risultato logico di quanto sopra: drammatico aumento delle liste di attesa chirurgiche e diagnostiche a livelli mai visti prima, crescita esponenziale delle assicurazioni private, scambi continui delle azioni degli ospedali privatizzati, peggioramento programmato dell’assistenza sanitaria, tagli del personale, riduzione dei finanziamenti destinati ai centri di gestione diretta… Era chiaro che qualsiasi aumento delle esigenze sanitarie della popolazione avrebbe causato il collasso e la mancanza di risposta da parte del sistema sanitario, come poi si è verificato.

 

Il sistema sanitario è con l’acqua alla gola, mentre purtroppo l’assistenza sanitaria privata gode di ottima salute. Non ci aspettiamo nulla dalla destra né dalla sua progenie, ma il Governo è a conoscenza del problema. Nel 2009, con il PSOE al governo, abbiamo raccolto 500.000 firme chiedendo al Congresso dei deputati l’abrogazione della legge 15/97. Zapatero ha risposto con il silenzio e con ricette di austerità. Irene Montero [deputata di Podemos, attuale Ministro dell’Uguaglianza – ndt], allora portavoce dell’UJCE, Unione delle Gioventù Comuniste di Spagna, all’interno della piattaforma MaTuSalEn [acronimo di “Madrileño la Tua Salute è In Pericolo” – ndt], ha partecipato a quella campagna e, all’epoca, chiedeva l’abrogazione della suddetta legge. Sta a lei dimostrarsi coerente con quello che difendeva. In questo momento PSOE e Unidas Podemos hanno una responsabilità storica.

Se vogliamo davvero affrontare questo problema, dobbiamo agire contro le sue cause. Solo mantenendo il sistema sanitario fuori dal mercato e dall’idea di profitto potremo ricostruire un sistema sanitario universale. Un sistema che agisca contro i fattori scatenanti delle malattie e sia in grado di assistere tutte le persone in tempi ragionevoli. Ma per questo è essenziale, prima di tutto, abrogare le leggi che hanno permesso di trasformare la nostra sanità in un mercato e blindare il sistema in modo che non un singolo euro delle nostre tasse possa mai finire in tasche private Non esistono posizioni intermedie, il resto è simbolismo.

 

Articolo apparso sul sito El Salto

Traduzione per DINAMOpress a cura di Michele Fazioli

Nella foto di copertina, la Marcha Blanca a Madrid nel 2012. Foto di Imagen en Acción via Flickr