MONDO

L’Autorità nazionale palestinese chiude AlQaws, vera resistenza al pink washing

L’Anp contro l’organizzazione palestinese che inserisce la difesa dei diritti Lgbtqi all’interno delle lotta contro l’occupazione israeliana. «Un fatto gravissimo»

La questione diritti LGBTI non è mai stata semplice né lineare all’interno del conflitto israelopalestinese. Da un lato è innegabile che limitazioni e discriminazioni per le soggettività Lgbtqi sono forti in tutta la West Bank, per influsso delle culture religiose, islamica e cristiana assieme, nonché della società eteropatriarcale araba. Dall’altro lato è noto che la tematica è stata sfruttata in modo bieco e coloniale da Israele negli ultimi anni, fino a creare un fenomeno considerato tra gli esempi più eclatanti di pink washing o, per essere più precisi, di rainbow washing.

La narrazione di una supposta libertà di orientamento sessuale in Israele è non solo parziale e falsata, ma anche strutturalmente collegata alla narrazione “per contrasto” della mancanza di questa libertà in Palestina. Tale narrazione viene poi assunta a modello interpretativo delle due identità: l’oppressore diventa campione di diritti civili e di libertà (“l’unico in Medio Oriente”…sic!), l’oppresso diventa invece oscurantista, retrogrado e violatore di diritti. Conseguenza finale pertanto è una raffigurazione ribaltata (rispetto alla detenzione del potere) delle due parti, finalizzata a nascondere il sistema organico di oppressione e violenza che è l’occupazione israeliana.

Il rainbow washing sionista è pervasivo e onnipresente sia nel mondo Lgbtqi in termini di bieco marketing, sia nei media mainstream liberali e negli scritti di vari opinion makers. Per l’Italia basti pensare alla quantità di falsità propagandate da Saviano sul tema.

Per queste ragioni è complesso parlare di questioni Lgbtqi in Palestina: il rischio di essere strumentalizzati dai rainbow washer sionisti è dietro l’angolo ed è sempre necessario tornare a spiegare l’ipocrisia che si cela dietro alla narrazione arcobaleno di Israele. Ribadire pertanto che Israele rispetta i diritti in tema di orientamento sessuale solo in parte e solo in alcune città (Tel Aviv e Haifa) e che lo sbandiera ovunque per nascondere le proprie responsabilità rispetto alla violazione dei diritti dei palestinesi, è sempre più urgente e necessario.

Ma c’è di più. Andare in Israele di nascosto, anche solo per qualche giorno, è stato spesso uno strumento di “alleggerimento” delle difficoltà e discriminazioni vissute da molti e molte palestinesi queer. Questo fenomeno è stato monitorato e sfruttato dallo shin bet (servizi segreti) per estorcere informazioni a chi attraversa la linea verde. Sostanzialmente lo shin bet recluta forzatamente nuovi informatori tra gay e lesbiche palestinesi “sorpresi” illegalmente in Israele. «Se non mi racconti cosa succede al tuo villaggio, chi fa proteste e perché, faremo sapere a tutti i tuoi amici e la tua famiglia cosa vieni a fare qui». Le testimonianze di ricatti di questo tipo sono numerosissime.

Proprio per la spinosità della questione molte iniziative di solidarietà internazionale hanno preso come riferimento l’importantissimo lavoro in loco di Al Qaws, organizzazione palestinese focalizzata nella difesa dei diritti Lgbtqi che percepisce la lotta per questi diritti come una battaglia perfettamente intersecata con la lotta contro l’occupazione israeliana.

AlQaws svolge decine di attività: dal counseling alla formazione al sostegno legale, psicologico, medico e politico, fino all’advocacy. Queste attività sono portate avanti come parte integrante della battaglia contro il colonialismo dell’occupazione che permette, tra le altre cose, all’omofobia di rafforzarsi in Palestina.

AlQaws, nonostante riporti sul proprio sito tutta la sua azione politica senza alcun filtro, solitamente svolge la sua attività più pubblica in Area B, cioè fuori del controllo diretto della Autorità nazionale palestinese (Anp), che controlla l’Area A cioè le città.

La settimana scorsa, invece, AlQaws ha organizzato un evento pubblico nella città di Nablus, a seguito dell’accoltellamento di un ragazzo queer 3 settimane prima. Gli attacchi via web prima e dopo questo evento sono stati pesanti. Il capo della polizia palestinese si è recato negli uffici di AlQaws proibendo con un decreto ogni altra attività pubblica della Ong perché «contro i valori tradizionali palestinesi».

È un fatto gravissimo che danneggia non solo AlQaws ma anche tutti e tutte i palestinesi che usufruivano del suo supporto e che ora avranno più paura e difficoltà a rivolgersi alla Ong. Testimonia l’arretramento politico e culturale della Anp, sempre servile verso Israele e sempre più violenta e aggressiva verso la propria popolazione. AlQaws ha però subito rilanciato la battaglia, scrivendo che continuerà nel suo lavoro. Contemporaneamente ha risposto a chi ha utilizzato il caso per fare rainbow washing.

Infine ha rilanciato con un bel messaggio «cinque cose che puoi fare per aiutare i queer palestinesi»: 1. focalizzarsi sulle voci Lgbtqi palestinesi quando si parla della questione; 2. comprendere che colonialismo, patriarcato e omofobia sono parte della stessa oppressione; 3. stare lontani da qualunque forma di pinkwashing; 4. comprendere l’impegno primario per l’ organizzazione della comunità in loco; 5. sostenere la visione e il lavoro dell’organizzazione.

Ovviamente in una situazione del genere sarà fondamentale l’appoggio della solidarietà internazionale e speriamo che riesca ad avvicinarsi e comprendere la situazione anche quella parte della comunità Lgbtqi ancora oggi tristemente abbagliata del mito fasullo di “Israele arcobaleno”.

Con AlQaws si colpisce quella parte importante della società palestinese che ha capito che il processo di liberazione dall’occupazione è ben più complesso di una semplice bandiera da sostituire e va ben oltre qualunque (opprimente) identità nazionale.

Per questo è fondamentale non lasciarli soli e sole ora.