La visita a Lander

Martxa eta borroka – Un caso basco a Roma 3 giorni in Euskal Herria

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Avevo visto Lander l’ultima volta il 27 aprile, il giorno dell’estradizione. Eravamo in una stanza della questura di Roma. Dopo ore di attesa e trattativa, decisi di scendere un momento per aggiornare i compagn@ in presidio rispetto alle novità in corso. Avevo scelto il momento sbagliato, tutto era saltato, quando sono risalito Lander era già in viaggio verso l’aeroporto. In questi mesi non ci siamo fermati. Il nostro comitato ha continuato a sostenerlo, scrivendogli, denunciando la sua situazione con azioni, continuando a tenere alta l’attenzione con manifesti e concerti. Stretti in una morsa obbligata tra rabbia e ragione, stiamo provando a mantenere uno spazio aperto di discussione a Roma su Lander, sulla condizione dei troppi prigionieri baschi e del conflitto storico che li vede lottare da sempre per la libertà del loro paese. Così, un po’ perché ce lo meritavamo un po’ per orientarci meglio sul lavoro da fare, ci siamo regalati tre giorni euskera. Tra Bilbo e Lekeito, tra martxa eta borroka (lotta e allegria), abbiamo rincontrato e conosciuto tante facce e tante storie, che ci danno animo e convinzione propri solo di chi sta dalla parte giusta. Solo di chi ha avuto la fortuna di conoscere e diventare amico di Irati e Lander.

Poco tempo prima di partire abbiamo dovuto scegliere due nomi da Roma per l’elenco dei visitatori, quelli che potranno entrare presso il carcere dove è detenuto Lander, nei prossimi mesi. Uno di questi sono io, e di questo non ringrazierò mai abbastanza i miei compagn@. Cosi durante questi giorni baschi sono partito per Madrid con il fratello e un suo amico verso il carcere di Estremera. La poca attenzione del controllo di turno e una buona dose di fortuna hanno fatto il resto. Documento, foto, impronte digitali e tutti dentro. A sentire i baschi un miracolo. L’effetto sorpresa è stato devastante. Lander non ci aspettava tutti insieme e subito l’incontro si è trasformato in una festa. Il vetro che ci divideva è spesso e il citofono certo non restituisce il giusto grado di intensità ad ogni emozione, ma quelle ultime barriere ci sono sembrate poca cosa. In quaranta minuti spesso ci siamo parlati sopra. Io ero l’unico a parlare in romanaccio ma mi sono fatto valere contro il loro euskera, che mai mi è sembrato cosi gentile e intimo. Lander era felicissimo di saperci nella sua Bilbo, nella sua Lekeito, con i suoi compagn@ e la sua famiglia. Sa del lavoro che stiamo portando avanti e che c’ero io solo perché tutti insieme non si può andare. Ringrazia per la solidarietà manifestata nella sua permanenza a Roma, ha un bel ricordo anche di quella maledetta giornata di aprile. Ha il volto pieno e rilassato, è aggiornato su ogni questione che riguarda Roma, il Paese Basco e il suo Athletic. Riceve molta posta e sente spesso i compagn@ nelle chiamate che ha a disposizione. Il suo regime di detenzione normale gli permette la mattina di correre e andare in palestra, partecipare a dei corsi di formazione, in particolare di lingue. Pranza e cena con altri due detenuti politici baschi e questo gli da molta forza. C’è pure una compagna dell’ala femminile che però non possono incontrare. Legge, ascolta la radio e tra poco riceverà anche una televisione. Veste magliette politiche o almeno per il momento gli è permesso. Estremera si trova a settanta chilometri da Madrid, intorno sembra un vero e proprio deserto, senza colori né profumi. Cosi lontano, anche in questo, dal Paese Basco così pieno di foreste, fiumi, mare e montagne. Ho avuto questo pensiero stupido ripartendo dal carcere, senza sapere nemmeno se Lander ha una finestra o gli sia permesso guardare fuori. Ma tant’è. L’immagine che mi porto dentro di quei quaranta minuti è il sorriso perenne di Lander. Questo ho provato a trasmettere ai compagni che mi hanno fatto questo regalo, e al nipote piccolo che dopo poche ore mi chiedeva in lacrime perché lo zio a cui vuole tanto bene, non era lì con tutti noi. Quel sorriso l’ho imparato a conoscere quando l’ho incontrato a Regina Coeli, ce lo ha poi regalato davanti a quel cancello mentre lo scortavo per essere estradato, l’ho rivisto sabato. Sta lì ed è per tutti. So che “Lander sta bene” vuol dire poco e che è ingiusto pensarlo. Bene non può stare un detenuto. Bene non sta chi lotta per la libertà e si trova prigioniero. Bene non sta chi è lontano dal suo paese, dai suoi affetti, dai suoi compagn@. Bene non sta chi ha superato un anno di detenzione senza nemmeno essere stato condannato e senza neppure sapere l’inizio del processo. Lander dice sempre che il conflitto basco è una lotta contro due stati potenti, la Francia e la Spagna. Sarà questo genere di consapevolezza che fa vivere diversamente la repressione che subisce ogni militante basco; sarà che la detenzione in carcere è una condizione che un basco vive in ogni famiglia, quartiere, paese piccolo o grande che sia, da sempre; sarà che in fondo questi baschi so’ strani. Sarà che in questa condizione non c’è nulla di retorico. Sarà, ma a chi mi domanda come sta Lander? Rispondo che sta bene e che per esserne sicuri il 24 agosto, con tutto il comitato, torneremo a trovarlo.

“Fermare l’estradizione non era solo una vittoria, era scrivere un pezzetto di storia. Forse essere stati cosi vicini dal raggiungere l’obiettivo da più rabbia e impotenza”