La rivincita del nerd

Leggere l’affaire-Snowden sfuggendo alle narrazioni dominanti

Se smettete di comprare profilattici al supermarket dove fate la spesa con la tessera-punti, il sistema informatico che succhia dati dalle semplici operazioni alla cassa si prepara a vendervi pannolini (nel caso in cui siate intenzionati a procreare) o a sottoporvi alcolici col tre per due (nel caso in cui siate tornati single e vi preparate a festeggiare e/o a bere per dimenticare). Ecco un esempio di Big Data, le grandi raccolte di informazioni la cui utilità è discussa ma la cui applicazione concreta è indiscutibile.

Le rivelazioni dell’ex spia informatica Edward Snowden confermano che ciò che è di uso comune nel mondo del business e del marketing riguarda anche le moderne forme di sovranità e controllo. Si tratta di enormi raccolte di dati che consentono non di stabilire la relazione causa-effetto (come da tradizione del pensiero astratto razionale) ma di tracciare correlazioni, di individuare casi sensibili, cogliere tendenze, sviluppare calcoli statistici. I Big Data governativi, per di più, si alimentano di dati sensibili e informazioni privatissime. Il Patriot Act, votato proposto dall’amministrazione di Bush Il Piccolo all’indomani dell’11 settembre 2001, approfittava della paranoia securitaria per conferire immensi poteri al governo federale in materia di intercettazioni telefoniche, controllo della posta e intromissione nella vita dei cittadini. Grazie a questo provvedimento si consentiva la costruzione di dossier ufficiali e ufficiosi su persone “sospette” senza che queste potessero godere di nessuna forma di garanzia. Dopo più dieci anni, queste misure emergenziali sono state promosse a normale amministrazione. Sono state confermate da Barack Obama e si sono intensificate a causa del progresso tecnologico, cui bisogna aggiungere il raffinarsi degli strumenti di raccolta dati (si pensi, per fare un esempio a caso, alla schedatura di massa e volontaria di Facebook) e l’aumentata capacità dei cervelli elettronici di acquisire, selezionare, accumulare informazioni e accumularli nel grande calderone del Big Data.

Dondolando sulla sua Amaca di Repubblica (leggi), Michele Serra (cioè uno totalmente a digiuno di questioni informatiche) ha analizzato la questione in maniera opinabile, ma cogliendone l’aspetto fondamentali. Pur riconoscendo a Snowden “un condivisibile anelito in favore della libertà personale insidiata dalla pervasività dei controlli”, Serra ha rivendicato il rispetto “dei vincoli sociali nel loro complesso; dei doveri che abbiamo nei confronti della comunità di appartenenza; e soprattutto di quel monopolio statale del potere (anche del potere di controllo) che, per quanto sgradevole e spesso tracimante, è stato un passo di civiltà decisivo nella storia umana”. Queste parole ci sono utili perché condensano con efficacia il pensiero del difensore della sovranità moderna, che incrinata dalla molteplicità di centri di poteri e dalle caratteristiche tendenzialmente ingovernabili delle differenze, costruisce un super-potere di controllo un po’ inquietante ma in fondo – agli occhi di Serra – rassicurante.

Il fatto che questa vicenda sia finita in mano a Julian Assange costituisce l’altro corno del problema, fa sì che la risposta all’iper-controllo dei supermediatori e dei compilatori di dossier che finicono nei faldoni virtuali del Big Data costruisca un’altra forma di sovranità, fondi altri poteri e conferisca a chi li esercita possibilità non meno inquietanti di quelle di cui dispongono i contractors della National Security Agency. Rileggiamo le parole scritte in tempi non sospetti dal collettivo Ippolita: “I cavalieri senza macchia e senza paura di cui Assange è il volto pubblico sono hacker che si presentano come sacerdoti-custodi di una tecnologia liberatrice, pronti a sfidare il sistema a costo della propria libertà. Ci sono delle contraddizioni, naturalmente, ma è tutto per il nostro bene. La più evidente, è che la battaglia per la trasparenza necessita di un’organizzazione semi-segreta, opaca, con una gerarchia occulta, finanziamenti occulti e un unico leader pubblico, un capo carismatico capace di bucare la telecamera e battersi a duello con gli altri capi del mondo, i presidenti, in una logica di guerra mediatica. Nessuna mediazione, nessuna fatica, nessun impegno: la verità tutta insieme, una sola, quella dei documenti che la tecnologia di Wikileaks vi offre, vi renderà liberi”.

Siamo nel territorio dell’iper-liberismo e dell’anarco-capitalismo, infatti risulta che Edward Snowden abbia donato 250 dollari per la campagna alle primarie del Partito repubblicano di Ron Paul, il pittoresco candidato ultra-liberista che propone di smantellare gradualmente lo Stato in favore del sano efficientismo aziendale e della spietata selezione naturale operata dal mercato. Dal canto suo Jaron Lanier, uno degli inventori del concetto di realtà virtuale ha spiegato chiaramente come Assange e i suoi seguaci trattino le informazioni come se fossero appunto Big Data, in maniera del tutto svincolata da rapporti sociali: “Assange vede le informazioni come una cosa astratta e a sè stante, in modo che, per lui, le differenze di prospettiva e la circostanza non significano nulla”. Lanier conclude sentenziando: “Questo è il modo in cui pensano i suprematisti nerd”.

La figura del nerd è caratterizzata dall’esasperazione della sfera razionale e individuale a scapito di quella sensuale e collettiva, da cui deriverebbe (ad esempio) l’incapacità di rimorchiare tipica dello stereotipo. Benjamin Nugent nella sua “Storia naturale del nerd” descrive questa caratteristica come separazione tra “mente” e “corpo”, o meglio tra esperienza individuale ed elaborazione sociale. Edward Snowden è un nerd? Ha elaborato in anni di onorato servizio al soldo della Cia la rivincita nei confronti dei fottuti federali? Le biografie che circolano sembrano confermarlo. La storia del trentenne che ha deciso di sfidare in solitaria le istituzioni in nome della “libertà” sopravvalutando le sue conoscenze, segretamente innamorato di se stesso al punto di non curarsi delle relazioni sociali, nel privato della sua stanzetta illuminata dalla luce verde del monitor, ricorda la vendetta da consumare contro quegli ariani palestrati che alla mensa universitaria rimorchiano le cheerleaders.

Da una parte i grandi poteri e i supermediatori della Rete. Dall’altro gli individui in cerca di giustizia. Da un lato si ordisce il controllo anonimo del Grande Fratello, dall’altro si galoppa verso la libertà assoluta della frontiera elettronica. Le due facce di questa storia sono le due facce (solo in parte incompatibili) dell’immaginario che ha costituito la storia di Internet da trent’anni a questa parte (la Grande Corporation e il Pioniere Intraprendente). Sono le due narrazioni che hanno costituito la mitologia del capitalismo e che hanno in fondo consentito che la rivoluzione telematica venisse sussunta e indirizzata dagli interessi economici. Lo spiega Robert McChesney nel recente e consigliatissimo “Digital Disconnect”. Un libro sul quale torneremo, che è frutto di quindici anni di analisi che ripercorre la storia di Internet, il cui sottotitolo è: “How Capitalism is Turning the Internet Against Democracy”.”Come il capitalismo sta volgendo Internet contro la democrazia”.