approfondimenti

MONDO

La Minga indigena in cammino: «in difesa della vita, della pace e del territorio»

Nel contesto della crisi e dei massacri in corso in Colombia, le organizzazioni indigene, afrodiscendenti e popolari del Cauca hanno convocato la Minga, spazio di organizzazione comunitaria, rivendicazione e mobilitazione politica contro il governo. Il presidente Duque non si è presentato al tavolo di dialogo e migliaia di persone si sono mosse in carovana verso la capitale

La crisi politica nel paese non si ferma: dopo le rivolte di settembre e le durissime repressioni, che hanno portato all’uccisione di 14 giovani in piazza da parte della polizia che ha sparato sui manifestanti, le tensioni e gli scontri istituzionali che ne sono seguiti, la torsione autoritaria del governo è sempre più evidente. Intanto, dopo poco più di due mesi di arresti domiciliari, per l’ex presidente Uribe Velez, sotto processo per corruzione e per legami con il paramilitarismo, è arrivata sabato scorso la sentenza giudiziaria che ne prevede la scarcerazione in attesa del processo. La tensione nel paese è altissima.

 

A fronte dell’assenza di risposte del governo rispetto alle rivendicazioni dei popoli indigeni, mentre i massacri si susseguono senza sosta nel paese, migliaia di persone si sono messe in marcia dal Cauca fino alla capitale Bogotá per difendere la vita, la pace, la democrazia e il territorio.

 

Sono questi i quattro punti che emergono come priorità nell’agenda politica delle organizzazioni indigene e dalle esperienze di autogoverno sui territori ancestrali, ma anche dalle lotte contadine per l’accesso alla terra, contro l’agrobusiness, la concentrazione della terra e le monocolture, e dalle lotte delle comunità afrodiscendenti nel paese.

Il primo punto è quindi difendere la vita contro i massacri e le violenze in corso, nel pieno di una crisi sociale ed economica che la pandemia ha acuito, intensificando le diseguaglianze e la miseria a fronte di un aumento gravissimo del livello di violenza nel paese, con il genocidio senza fine di leader sociali indigeni e degli ex guerriglieri che hanno firmato gli accordi di pace. Come riportato da Indepaz, nel 2019 ci sono stati 36 massacri con 133 persone assassinate. Nel 2020, fino a ora, 67 massacri con 271 persone assassinate. L’ultimo, il 9 ottobre, il giorno prima dell’inizio della Minga, quando nel municipio di Jamundí sono stati uccisi quattro giovani da gruppi paramilitari.

Il secondo punto è la difesa del territorio, ovvero l’opposizione alle politiche e al modello di sviluppo del governo colombiano che continua a consegnare i territori alle multinazionali, all’interesse dell’agrobusiness e delle grandi imprese di estrazione, ai latifondisti e alle grandi imprese e miniere; terzo punto, la democrazia in crisi nel paese a causa della torsione autoritaria del governo e infine, quarto punto, la pace e dunque il rispetto degli accordi di pace firmati all’Avana dal governo Santos con le FARC appena quattro anni fa, sistematicamente disattesi dall’attuale governo, ma anche gli accordi di pace con l’ELN, i cui negoziati sono stati interrotti due anni fa dal governo.

 

 

La Minga ha avuto inizio sabato 10 ottobre presso il territorio del Resguardo Kwet Kina nella zona Sath Tama Kiwe, con la presenza delle 127 autorità indigene del Cauca appartenenti a diversi popoli riuniti nel CRIC, il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, organizzazione nata nel 1971 con lo slogan “Unità, terra, cultura e autonomia”, e nelle organizzazioni indigene nate dalle lotte degli anni ottanta e novanta, poi riconosciute nella Costituzione del 1991 con cui sono stati conquistati una serie di importanti diritti per i popoli indigeni, organizzati politicamente con i cabildos, le istituzioni di autogoverno tradizionale indigeno e i resguardos, i territori indigeni.

 

I processi di organizzazione indigena nella regione del Cauca, epicentro delle resistenze popolari in Colombia, si trovano ad affrontare una fase difficile perché i territori dove vivono le comunità sono oggi contesi da diversi attori armati, legali ed illegali, dalle multinazionali estrattiviste e dal narcotraffico.

 

La prima giornata della Minga si è aperta con l’inno dei dieci popoli indigeni del Cauca e quello della Guardia Indigena, l’organizzazione di autotutela e autodifesa dei territori ancestrali contro le molteplici violenze dell’accumulazione capitalistica, che assume la forma di un insieme eterogeneo ed articolato di processi e attori, dai narcotrafficanti ai paramilitari, dalle imprese estrattive e dell’agrobusiness fino alle politiche di “sviluppo” economico promosse dallo Stato.

 

 

Proprio nel Cauca è nato negli ultimi anni uno dei processi di recupero delle terre più importanti e interessanti della regione, il processo di Liberazione della Madre Terra, che ha visto l’occupazione e la gestione collettiva, in base ai principi dell’agroecologia e della cosmovisione indigena delle terre ancestrali da parte del popolo Nasa. Riprendersi le terre usurpate dalle multinazionali e mai restituite alle popolazioni indigene nonostante fossero riconosciute anche a livello costituzionale, è la battaglia delle popolazioni indigene che lottano per l’autonomia alimentare, educativa, politica. Molte comunità hanno così cominciato a recuperare terre, occupandole e trasformandole in terre comunitarie, in spazi dove la cosmovisione, la spiritualità e l’organizzazione politica Nasa produce nuovi territori. Proprio il movimento dei comuneros e delle comuneras della Liberazione della Madre Terra ha subito pochi mesi fa uno sgombero particolarmente violento. Lo scorso 13 di agosto, la polizia e l’esercito sono entrati nei territori del Resguardo Páez de Corinto, recuperati nel 2014 dalle comunità Nasa: le forze repressive sono entrate nel territorio liberato assieme alle guardie private dell’impresa Asocaña, dedita alle monocolture dello zucchero che stanno devastando l’ambiente, le risorse idriche e la biodiversità della regione, e hanno assassinato a colpi di armi da fuoco Jhoel Rivera, comunero del movimento indigeno e Abelardo Lis, giornalista indipendente di Radio Payumat Nación Nasa, colpito mentre faceva le riprese per denunciare la repressione in corso, e causando inoltre diversi altri feriti.

 

Nei processi di organizzazione indigeni degli ultimi anni, e in modo significativo con la pandemia, hanno acquisito un ruolo particolarmente importante le esperienze di controllo del territorio indigeno, in particolare l’esperienza della Guardia Indigena.

 

 

Composta da uomini, donne, giovani e giovanissime delle comunità, la Guardia Indigena è una forma di autotutela pacifica dei territori ancestrali. Allo stesso modo, in diverse regioni del paese sono nate altre forme di organizzazione e autotutela delle comunità contadine e afrodiscendenti che hanno messo in campo forme di controllo del territorio con la Guardia Campesina e la Guardia Cimarrona. Si tratta di trame di autogoverno e autogestione della sicurezza dei territori che hanno garantito in questi ultimi mesi il controllo territoriale, l’accesso ai beni di prima necessità e la continuità delle forme di scambio dei mercati popolari tra produttori agricoli, comunità indigene e contadine in diversi territori nella crisi pandemica. Al tempo stesso, il controllo della mobilità e del rispetto della quarantena per evitare la propagazione di Covid-19 nei territori indigeni, dove la combinazione dell’uso di dispositivi di sicurezza, medicina tradizionale e cura del territorio hanno provato a porre un certo limite ai contagi e garantire a tutti gli abitanti delle comunità assistenza medica, cibo e solidarietà. Le reti produttive agricole sono al centro di un sistema di mercati popolari nella regione, che sfrutta i diversi ecosistemi dell’area per produrre diversi tipi di prodotti agricoli, costruendo reti di scambio che durante la pandemia, così come durante la Minga, hanno assunto un ruolo strategico anche nel sostegno delle comunità in lotta.

 

 

«Per noi è importante avere sempre pronti gli alimenti da offrire alla comunità, perché senza averli saremmo deboli, non sarebbe possibile partecipare alla Minga, ai cortei e alle mobilitazioni» afferma Astrid Astudillo dell’organizzazione Campesinos de Paez, Cauca. Al tempo stesso, queste esperienze di autodifesa non armata dei territori, si sono trovate ad affrontare un enorme dispiegamento di violenza dei gruppi paramilitari e del narcotraffico, così come gli scontri armati tra queste diverse formazioni, le dissidenze della guerriglia e l’esercito, che hanno duramente esposto alla violenza, ai massacri e spesso agli sfollamenti forzati migliaia di persone sia nel Cauca che in altre regioni del paese.

«La vita non ha prezzo, la vita non si negozia, la dignità del popolo non si negozia, il territorio non si negozia. Per questo oggi, nonostante siamo in tempo di pandemia, come organizzazioni, popoli indigeni, contadini e afrodiscendenti, appoggiati da movimenti sociali e studenti, abbiamo deciso di muoverci, perché non possiamo permettere che continuino ad ucciderci», afferma il Consigliere Maggiore del Popolo Yanacona Ferney Quintero.

Dopo la prima giornata di assemblee e riunioni, ma anche di musica, rituali ed eventi culturali con i leaders delle comunità, la carovana si è spostata dalle montagne del Cauca fino alla città di Cali, accompagnata dalla Guardia Indigena, accolta da movimenti sociali e popolari nei diversi centri del Cauca e del Valle del Cauca fino ad attraversare la centralissima Avenida Quinta della capitale del dipartimento, arrivando fino al Coliseo de los Pueblos dove si è tenuta l’assemblea publica dello scorso martedì, quando diecimila persone hanno partecipato alla mobilitazione dei movimenti indigeni, afro e popolari, sostenuti da studenti e organizzazioni sociali, scesi in piazza per sostenere e partecipare alla Minga.

 

 

«La Minga convoca il paese e lo invita ad unirsi alla protesta e comprendere che le lotte sono per il bene comune, perché quando ci prendiamo cura del páramo, quando ci prendiamo cura delle vene della nostra Madre Terra, dei fiumi, delle cave e delle lagune, quando proteggiamo la selva e gli spazi di vita, ci prendiamo cura del territorio e garantiamo la possibilità di esistenza per tutti gli esseri, ci uniamo tessendo il pensiero e camminando la parola per il buen vivir dei popoli» – rivendica Julian David, referente del popolo Embera Chami.

Fin dal primo giorno, il presidente Duque e il governo hanno reagito stigmatizzando la protesta, cercando poi di limitarne la portata sostenendo che non vi era bisogno di mobilitarsi dato che il governo aveva rispettato gli accordi presi con le organizzazioni indigene e che, dunque, le ragioni della protesta non avrebbero ragione di esistere. Rispetto alle specifiche rivendicazioni relativi agli accordi conclusi durante lo scorso anno, le affermazioni degli esponenti del governo sono state presto smentite dalle denunce delle organizzazioni popolari, indigene e dei diritti umani.

«La Minga è politica» ha dichiarato il governo, per screditare le rivendicazioni popolari. E così le stesse autorità indigene lo hanno ribadito: «questa Minga più che rivendicativa è politica», non perché, come sostiene il governo, non sussistano le ragioni legate alle rivendicazioni specifiche, ma perché è sul piano politico complessivo della situazione che sta attraversando la Colombia che si apre lo scontro con il governo, rispetto al modello di sviluppo, all’autogoverno dei territori, alle politiche nella pandemia, alla drammatica crisi che i paese sta attraversando e all’autoritarismo dell’estrema destra al governo.

 

 

In questo contesto, esponenti del governo e del partito di estrema destra Centro Democratico, di cui è parte il presidente Duque, e diversi media mainstream hanno cominciato a orchestrare una campagna basata sulla solita strategia che in Colombia mira a delegittimare le proteste sociali da decenni, ovvero l’accusa di infiltrazioni da parte delle dissidenze della guerriglia e dell’ELN.  Queste accuse sono state rigettate dalle organizzazioni indigene che hanno denunciato la strumentalità e la falsità di tali dichiarazioni, affermando ancora una volta che la loro difesa del territorio non prevede la presenza di nessun attore armato, né legale né illegale, perché la guerra lascia solo morte, distruzione, spossessamento; ribadendo quindi che lottano per la pace, l’autogoverno e l’autonomia educativa, politica ed economica.

Ma ancora una volta il presidente Duque, invitato dai movimenti e dalle istituzioni indigene, non si è presentato, inviando al suo posto la ministra degli Interni a dialogare a Cali, per un incontro che non è stato accettato dalle organizzazioni che esigono un incontro con il presidente.

La sedia vuota con il nome del presidente, simbolo di un potere arrogante e di una democrazia assente, è tornata a riempire lo spazio della Minga, come già avvenuto lo scorso anno quando il presidente Duque affermò che non c’erano le condizioni di sicurezza per partecipare all’incontro con le autorità indigene. Per queste ragioni, ma anche per continuare a costruire spazi di mobilitazione, di incontro, di dibattito e di alleanze politiche, la Minga ha deciso di muoversi da Cali e dirigersi fino alla capitale. La scorsa notte la carovana si è mossa in direzione di Armenia, capitale del dipartimento di Quindio, la prima di un serie di tappe lungo il cammino che la porterà alla capitale Bogotá. Oltre quattromila persone stanno percorrendo il paese, fermandosi in diverse città per dormire, ma anche per organizzare attività, eventi culturali, politici e artistici con movimenti e organizzazioni popolari.

 

 

Nei prossimi giorni proseguiranno per Ibagué, Fusagasugá e Soacha, distretto popolare dell’area metropolitana sud della capitale colombiana, dove arriveranno, secondo le tappe previste ed annunciate dagli organizzatori, il prossimo 19 ottobre, dove saranno ospitati dall’Università Nazionale, così come avvenuto durante le giornate dello sciopero di fine novembre e inizio dicembre dello scorso anno. Mentre la Minga tornerà a esigere dal presidente di incontrare le comunità indigene e rispondere alle rivendicazioni popolari, pochi giorni dopo, il 21 ottobre, si terrà in tutto il paese la nuova giornata di mobilitazione del Paro Nacional, lo sciopero nazionale convocato da decine di organizzazioni sindacali, sociali e politiche contro le politiche neoliberiste del governo, le riforme delle pensioni e le manovre fiscali, la precarizzazione del lavoro e la violenza di Stato; quello stesso processo di lotta che undici mesi fa ha aperto una fase di conflittualità diffusa nel paese con un ciclo di mobilitazioni inedito e trasversale a settori sociali e territori inedita nella storia recente del paese. Un processo che si è interrotto per la pandemia e che oggi, nel pieno delle violenze di Stato e della crisi politica, economica e sanitaria, prova a rilanciare nuovamente spazi di conflitto politico, mobilitazione e resistenza nel paese.

 

Immagine di copertina: un indigeno del popolo Pijao del Tolima con lo scudo con i propri colori durante la carovana della Minga. Foto di Casa Fractal Cali.

Tutte le immagini dell’articolo e le gallerie fotografiche sono dei nostri collaboratori di Casa Fractal – Cali