La lunga notte del cemento

Il delirio di cemento non si è abbattuto come previsto e voluto da Alemanno, ma la vera lezione di piano arriva dallo Tsunamitour.

È stata la scansione del countdown a salutare Alemanno.

Gli ultimi dieci secondi, prima delle 24 di ieri 10 aprile in Campidoglio, sono stati urlati da attivisti sociali, comitati, cittadini presenti in forza nell’aula Giulio Cesare e, alle 24 precise, è partito un lungo applauso liberatorio.

Solo undici minuti prima, infatti, un consigliere di Fratelli d’Italia chiedeva la votazione della madre di tutte le delibere cementizie proposte dal Sindaco: l’adozione del masterplan di Tor Bella Monaca ovvero: la demolizione dell’edilizia pubblica esistente e lo spalmare quelle cubature, appesantite da molte altre, inutili dal punto di vista urbanistico ma necessarie per le solite operazioni di rendita, all’intorno del territorio oggi ancora agricolo.

Con la mancata approvazione della quasi totalità del pacchetto urbanistico di Alemanno, è scampato dunque il pericolo? È stato solo contenuto.

Gli esiti, ieri stoppati, rimandano infatti solo la realizzazione di quei devastanti progetti edilizi. Quegli interventi saranno certo ripresentati al nuovo Consiglio. Non sarà male ricordare come alcuni di loro siano stati pensati ed istruiti con Veltroni Sindaco. Nuove eredità, dunque, che si sommano alle tante ancora da incassare.

Una continuità evidente. Per Veltroni ieri, oggi per Alemanno, tutto il territorio è merce.

La città diffusa, questa è oggi Roma dove le case si affastellano le une alle altre senza essere città, è il modello: per assicurare ancora la rendita ai pochi deve essere espropriato l’abitare dei molti.

La città è fatta da abitato e comunità . Chi non ha titolo di proprietà non ha diritto alla parola.

Le delibere di Alemanno sono state costruite (leggi l’inchiesta di Dinamo Press) proprio per rispondere alla richiesta del potere finanziario e immobiliarista: cancellare le lotte, i diritti, le conquiste, il lavoro collettivo fatto dai cittadini che non ci sono più e ancora ci sono e mettere giù nuove forme di governo per impedire che si formino nuovi cittadini. Eliminare il conflitto.

La seduta finale di Alemanno ha comunque, ed è bene non dimenticarlo, assicurato alcune delle tante promesse che seguono proprio questo diktat: i pesantissimi 170 mila metri cubi, esclusivamente residenziali, sulla cui legittimità addirittura più che un dubbio è stato espresso dal Consiglio di Stato, nella zona dell’agro ad ovest – via di Brava. L’aver saldato piccoli ma importanti debiti (uno stock di nuove chiese all’Opera romana per la Preservazione della Fede attraverso la cessione gratuita di aree pubbliche); compensazioni edilizie qua e là (Casal Brunori, Lunghezza) tanto per tenersi pronti per l’immediato futuro; la chiusura della lunga stagione dei toponimi (una storia nata ai tempi di Petroselli) a ribadire il primato urbanistico della diffusione edilizia incontrollata.

Dalla nottata, esemplarmente seguita e controllata da attivisti e cittadini, insieme ad un (per ora) sospiro di sollievo, arriva unitamente alla dimostrazione della fragilità della disciplina urbanistica che, schiacciata dalla città della rendita, ha rinunciato e non riesce ad indagare le forme del conflitto sociale che attraversandole ridisegnano la città, un significativo segnale di irrequietezza a cui, ma questa non è una delibera di Alemanno, non è certo estranea la lezione di piano dello Tsunamitour la cui onda musicale sta attraversando Roma.