MONDO

La guerra conduce alla guerra. Una lettera da Baghdad

Da piazza Tahrir, occupata da mesi dai manifestanti, un messaggio «agli amici e alle amiche in tutto il mondo, ai/alle manifestanti contro le guerre, ai sostenitori e alle sostenitrici della pace, della democrazia e della giustizia»

Anni fa i leader mondiali dichiararono che con la guerra si sarebbe ottenuta una pace stabile e la sicurezza globale, portando democrazia e libertà al popolo iracheno. Le società civili di tutto il mondo si unirono in difesa della pace, respingendo la guerra in Iraq con manifestazioni storiche che si svolsero in molte città del pianeta. Quelle proteste avevano chiaramente messo in guardia sulle ripercussioni della guerra e sulle sue conseguenze catastrofiche e rivendicavano il diritto del popolo iracheno a determinare il proprio destino senza interventi militari esterni esemplificate nello slogan “No alla guerra, no alla dittatura”.

Naturalmente, e come sempre, i leader mondiali ignorarono quelle proteste, spalancando, nel 2003, le porte dell’inferno che, diversamente da come è stato spesso raccontato, ha minato la possibilità stessa di costruire una pace duratura per il mondo, dando vita a un brutale intervento militare su larga scala in Iraq. Da quel momento i popoli del Medio Oriente sono caduti in un continuo ciclo di violenze, che ha reso insicuro il mondo intero: quella guerra ha generato un’escalation che ha favorito la nascita e l’espansione dell’estremismo violento.

Oggi in Iraq, mentre vi scriviamo questa lettera, viviamo giorni rivoluzionari.

Le mobilitazioni sono iniziate a ottobre e ancora – nonostante le uccisioni, la violenza brutale e autoritaria – la nostra rivoluzione continua. Non è un fenomeno isolato dalla storia né da quanto accaduto 17 anni fa: è piuttosto l’inevitabile risultato di un accumulo di rabbia e dolore causato da un regime, sorto dopo il 2003, la cui spina dorsale sono stati il settarismo e la corruzione, che hanno rubato alla nostra generazione il presente e il futuro.

Il popolo iracheno si sta ribellando per rivendicare il diritto a una patria che rispetti i diritti umani, in cui le persone possano vivere in pace e in sicurezza. Un paese in cui ci sia libertà, democrazia, giustizia e diritti, in cui il popolo possa decidere del proprio destino senza ingerenze esterne. Tutte le ingerenze esterne: tanto quella statunitense quanto quella iraniana.

Il popolo iracheno, che ha vissuto sulla sua pelle crudeli interventi militari, si schiera contro la guerra e per l’umanità. Si schiera in solidarietà del suo vicino e fratello, il popolo iraniano.

Siamo fermamente convinti/e che questa guerra sia solo uno strumento di polarizzazione politica, usato con l’obiettivo di allontanare l’opinione pubblica mondiale dalla realtà di un movimento rivoluzionario che sta facendo sentire la sua voce in Iraq, Iran, Libano e nel resto del mondo.

È chiaro il tentativo di distogliere l’opinione pubblica da quei movimenti, formati da persone che rivendicano il diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza, alla libertà, alla democrazia e alla giustizia sociale. Sì, sono queste le nostre richieste. Lo sono dall’inizio, anche se i vostri occhi sono stati portati altrove proprio attraverso la minaccia di nuove guerre.

Se dovesse tornare una nuova guerra, rischiamo di perdere tutto quello che è stato conquistato dal grande movimento di massa che è sceso in lotta qui in Iraq e nei paesi limitrofi della regione. Verrebbe minata alla radice l’unità popolare. La guerra sarà usata come scusa per eludere le richieste delle masse, causando gravi violazioni dei diritti umani e mettendo ancora più a rischio la vita dei difensori e delle difensore di quei diritti, la cui vita è già oggi sotto minaccia.

Sostenere i popoli rivoluzionari del mondo e rimanere solidali con loro e le loro rivendicazioni significa tenere aperta una finestra verso un futuro libero dalla guerra. Un futuro più sicuro e pacifico, più democratico e, soprattutto, più giusto.

Baghdad, Piazza Tahrir, 25 gennaio 2020

La foto di copertina è di Arianna Pagani

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