ROMA
La Giunta Raggi risponde con uno sgombero ai 10.000 in corteo per i beni comuni urbani

Sabato scorso il grande corteo. Ieri, il nuovo sgombero del Rialto.
• La Giunta Raggi sgombera di nuovo il Rialto
Era solo sabato scorso – sabato 6 maggio – quando più di 10mila persone sono scese di nuovo in piazza a gridare con forza che Roma Non Si Vende. La città solidale si è mobilitata con la stessa parola d’ordine che l’anno passato animò un corteo contro il commissariamento della politica e la chiusura di ogni spazio democratico e di mediazione con la città, imponendo una ricetta di rigore e austerity destinata a mutarne il volto.
Si era allora nella fase iniziale e più acuta dell’emergenza sgomberi: centinaia di spazi autogestiti e associazioni ricevevano le lettere di sgombero e la richiesta di cifre esorbitanti e ingiustificate per affitti arretrati.
Oggi abbiamo, ormai da un anno, un sindaco eletto democraticamente; la Corte dei Conti, il cui procuratore Patti aveva esercitato una illegittima pressione per la riacquisizione e la messa a profitto del patrimonio capitolino, è costretta a fare dietrofront e ad ammettere che l’uso sociale è l’unico uso legittimo per il patrimonio indisponibile e che gli sgomberi sarebbero un grave danno, sociale ed economico, per la città.
Questi passaggi basterebbero in se stessi a definire le condizioni politiche per una svolta decisiva nella, purtroppo ancora attualissima, “emergenza sgomberi”. Ma, al contrario, non hanno sollecitato alcun atto concreto da parte della giunta Raggi. Trincerata dietro poche e confuse parole-feticcio – la trasparenza e la legalità, in primis – ne ha definitivamente cancellate altre: partecipazione, democrazia, prima di tutto.
Stamattina, martedi 9 maggio, il Comune di Roma risponde alla mobilitazione RomaNonSiVende con l’ennesimo sgombero del Rialto Sant’Ambrogio, sede del Comitato Romano Acqua Pubblica. Ma c’è di più: fa precedere lo sgombero, giusto di qualche ora, dalla frettolosa indizione di un bando pubblico di assegnazione di uno spazio per progetti sui beni comuni e l’acqua come risorsa primaria. È forte il sospetto che dietro questa operazione ci sia il disperato tentativo di riparare a un danno per la città che ogni sgombero porta con sé. Ma forse c’è di più: non si tratta di sola riparazione di una irreparabile lacerazione nel rapporto di fiducia tra amministratori e amministrati; non di improbabile composizione tra una presunta “ragion di stato” e gli impegni presi con chi abitava uno spazio che si è visto togliere nuovamente con la forza. Ci sembra infatti che ci sia di più: la volontà di imporre la strada del bando come unica opzione possibile – questione da sempre al centro dello scontro tra Giunta e città solidale – passando non per la battaglia politica e l’assunzione di responsabilità istituzionale, ma per atti ricattatori e coercitivi. L’operazione grottesca sul Rialto posta in essere nelle ultime 24 ore sembra prefigurare un laboratorio, un modello da applicare nel futuro: solo la maggioranza politica, trincerata dietro gli automatismi amministrativi, decide autoritariamente chi può stare dove, e come, e perché. Alla faccia della partecipazione, dell’autogoverno, dei beni comuni.
Proprio oggi pomeriggio, fatalmente, era convocata un’Assemblea Capitolina straordinaria, al cui ordine del giorno c’era proprio il tema del patrimonio pubblico. La narrazione posta in essere dall’Assessore Mazzillo e dalla maggioranza a 5 stelle è parsa di nuovo la narrazione del mondo dei sogni, in cui tutto va bene e non può andare altrimenti. A chi nell’Aula Giulio Cesare, dal pubblico, benché privato del diritto di parola, oggi ha provato – a partire dalla questione del Rialto – a smascherare quell’ipocrisia, non c’è stata risposta, ma solo la manifestazione di un potere sempre più arrogante nelle sue ottuse convinzioni. Di più: i consiglieri di maggioranza continuano a vantarsi della presunta trasparenza e della ostentata partecipazione di questo processo di scrittura del Regolamento che però, in realtà, innegabilmente, avviene nel più stretto riserbo delle segrete stanze dei dipartimenti e degli assessorati. I casi sono due: o i consiglieri del Movimento 5 Stelle stanno disperatamente provando ad autoconvincersi del falso; oppure davvero ritengono che tutte le 10mila persone scese in piazza sabato scorso, proprio su questo tema, siano idioti o – peggio – corrotti. Oggi l’Assemblea ha votato un ordine del giorno che impegna la Giunta a valutare la possibilità che i provvedimenti ancora pendenti a carico degli spazi sociali e delle associazioni, alla luce delle recenti e positive sentenze della Corte dei Conti, possano essere in qualche modo messi in discussione. Un atto di incredibile debolezza: a fronte di quanto la magistratura ha affermato, infatti, il ritiro in autotutela di quei provvedimenti è un atto assolutamente dovuto ed urgente, su cui non è più possibile rimandare, valutare, nicchiare. Basta scuse, non c’è più tempo.
Era solo sabato scorso, quando più di 10 mila persone scendevano in piazza contro l’immobilismo e la chiusura della giunta Raggi alle istanze della città solidale: il blocco immediato degli sgomberi e l’introduzione dei beni comuni urbani come riconoscimento sostanziale delle pratiche di autogoverno e mutualismo; ma non solo, un audit pubblico del debito che ne cancelli la parte illegittima e liberi risorse dai vincoli del piano di rientro, la ripubblicizzazione dell’acqua, diritti ai lavoratori e l’accesso per tutti ai servizi. Quelle persone sono ora nei quartieri e nei municipi di tutta la città, sono l’opposizione sociale a una politica che li espropria di risorse, di spazio pubblico, di decisione pienamente democratica. Sono la ricchezza di Roma di cui la Sindaca evidentemente ha scelto di non tenere conto. Le parole che scegliamo per scendere in piazza non sono uno slogan ma una pratica politica: Roma cambia se decide la città.
Decide Roma – Decide la città