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“La Fila”, aspettando una nuova primavera

“La Fila” è l’opera debutto di Basma Abdel Aziz, il romanzo che l’ha fatta conoscere al pubblico internazionale. Un racconto distopico che spiega il vuoto silenzioso che oggi regna su Piazza Tahrir

Il mio amore, una città
vestita e triste,
in ogni strada una difficoltà
e in ogni decorazione dei palazzi si legge:
è proibito svegliarsi
con il tuo amore, o dormire con esso.
Proibito il dibattito
proibito il silenzio
e ogni giorno col tuo amore
che cresce perché interdetto
e ogni giorno ti amo
ancora più di prima.

 

(Proibito di Ahmed Fouad Negm, poeta e attivista egiziano)

 

L’Egitto di oggi è stato definito spesso «una prigione a cielo aperto». E sono passati appena 8 anni dai fatti di piazza Tahrir. Di quel movimento, degli accampamenti, delle assemblee non rimane che qualche ricordo. Da evocare magari persino sottovoce. La stessa piazza simbolo delle proteste è vuota e silenziosa. È come se il cuore pulsante della capitale egiziana fosse stato strappato e sostituito da uno slargo sorvegliatissimo e senza vita. Quasi non ci si crede che da lì siano partite tutte le rivoluzioni dell’Egitto moderno. E tra queste anche l’ultima, nel 2011 appunto, quando verso Tahrir guardava l’intero mondo arabo come fosse una sorta di nuova Qibla. Purtroppo però dopo le primavere arabe è arrivato l’autunno e adesso anche l’inverno col suo silenzio mortifero e irreale. Il regime poliziesco di Abdelfattah Al Sisi sorveglia persino spazi deserti come la piazza principale del Cairo. Ma nonostante le migliaia di arresti, la chiusura di blog e dei giornali e le centinaia di persone torturate o uccise, quella egiziana rimane una delle società più giovani e politicamente dinamiche del mondo. Del resto da secoli gli egiziani sopravvivono a rivoluzioni tentate, fallite e alla conseguente repressione quasi come le braci che continuano a bruciare sotto le ceneri di un incendio.

 

«Devono necessariamente esserci misure di sicurezza severe. Voi isolate le questioni e le affrontate solo dal punto di vista dei diritti umani. Ma noi siamo responsabili per il popolo egiziano, che considero la mia famiglia. Come potrei sentirmi a mio agio sapendo che potrebbe esserci anche solo una violazione dei diritti umani proprio contro di loro?»

(Abdelfattah Al Sisi alla CNN il 21 settembre 2016)

 

Tra questi tizzoni ancora ardenti c’è una giovane scrittrice, attivista e psichiatra: Basma Abdel Aziz. Basma è stata più volte incarcerata e più volte liberata, considerata nel 2018 tra le top influencer del mondo arabo, continua a raccontare la società egiziana con lo stesso spirito che aveva durante la rivoluzione del 2011. Purtroppo per lei oggi Al-Sisi e il suo regime sono tenuti in grande considerazione dai governi in Europa e Occidente. Così Realpolitik e interessi economici hanno disvelato l’ipocrita entusiasmo con cui gran parte della governance “democratica” aveva salutato le primavere arabe. E del resto su questo basti citare la vicenda di Giulio Regeni, ricercatore vittima dei servizi di sicurezza del regime ma soprattutto giovane abbandonato da un governo, quello italiano, che ha in fretta e furia barattato la richiesta di giustizia con accordi commerciali bilaterali col Cairo. E Al-Sisi, ormai dal 2013, ha consolidato il suo potere proprio grazie a questo cinismo. In questo modo le speranze e la forza della generazione di piazza Tahrir, dopo essere stata spezzate e violentate da militari e polizie, sembrano condannate alla rimozione e all’oblio. Per fugare questo rischio servono lavori preziosi come quello di Basma Abdel Aziz: perché resistono al silenzio e alla paura riuscendo a bucare la cortina mediatica del regime e l’ipocrisia dei media occidentali, raccontando la realtà di cui siamo complici. Da scrittrice lo fa usando gli strumenti della narrativa in un modo talmente raffinato da essere stata, giovanissima, più volte premiata per il valore artistico dei suoi scritti prima ancora che per il suo impegno civile. La sua opera si inserisce a pieno titolo in quella “generazione” di scrittori e scrittrici di lingua araba che sempre più spesso fanno capolino dagli scaffali delle nostre librerie con opere notevoli. Una generazione che, attraverso romanzi, graphic novel e poesie, lancia messaggi nella bottiglia da quel mondo arabo troppo spesso banalizzato a uso e consumo di governi e multinazionali occidentali. Autori ormai sempre più affermati come il tunisino Kamel al-Riahi o la libanese Emily Nasrallah. Tra loro, in particolare, i racconti di Basma Abdel Aziz arricchiscono questa new wave mediorientale con lo sguardo di una donna di Piazza Tahrir sulla più popolosa e giovane società araba, oppressa da uno dei regimi più autoritari del mondo.

 

«…La fila era una calamita: attirava la gente e la imprigionava in circoli chiusi, spogliandola di ogni specificità. Anche Nagi ne aveva risentito, e se avesse avuto in quel momento l’animo ribelle che aveva avuto in passato avrebbe incitato la folla ad avanzare di un passo, e già quel solo passo sarebbe stato sufficiente… a spezzare quell’immobilità. Ma una calamita teneva anche lui in trappola…»

 

Un esempio di questa «cronaca dal notevole valore artistico» o di questa «fiction dall’importante tratto di inchiesta» è La Fila, editato da NOT nel 2018. La Fila è stata l’opera di debutto di Basma Abdel Aziz, il romanzo che l’ha fatta conoscere al pubblico internazionale. Il racconto è stato scritto tra il 2012 e il 2013, cioè tra la normalizzazione della rivoluzione di piazza Tahrir e la restaurazione del regime militare con Al-Sisi. A prima vista sembrerebbe uno dei tanti romanzi distopici, così in voga oggi, caratterizzato dall’anomala cornice mediorientale. Leggendolo se ne apprezzano tuttavia altre e più importanti peculiarità rispetto al genere. La resa stessa del contesto è talmente tanto allegorica e così focalizzata sull’umanità che più che di distopia potremmo parlare di mimetismo di un racconto realista. Nel racconto Abdel Aziz scrive che in una città mediorientale senza nome, all’indomani di una rivolta fallita, che la storiografia chiama “tragici eventi”, un’autorità, la Porta, è salita al potere. I cittadini devono ottenere il permesso dalla Porta anche per il più elementare dei loro affari quotidiani, eppure l’edificio del potere che rilascia le autorizzazioni non si apre mai e la coda di fronte cresce sempre giorno dopo giorno.

Questa coda è la “Fila” cui fa riferimento il titolo. E la Fila, che col passare delle settimane diventa lunga kilometri, assorbe la vita dei diversi personaggi, fino a inglobare l’intera società. Il regime della Porta non è basato sul controllo e la manipolazione come quello di 1984 di Orwell e neanche sull’isolamento senza senso e la burocratizzazione labirintica kafkiana. Ovviamente ci sono entrambi questi elementi ma a questi il potere raccontato da Abdel Aziz aggiunge una violenza fisica e psicologica che rimanda spesso a Huxley. Una ferocia bestiale che diffonde un terrore cupo, narcotizzando la coscienza e agendo come una gabbia. Un terrore primitivo, sul corpo, sugli affetti più intimi che può essere superato solo con la rimozione, con lo scendere a patti con la realtà e con il raccontarsi verità persino contorte e autoconsolatorie, mettendosi sempre e comunque silenziosamente in Fila, appunto, aspettando la messianica apertura della Porta. Tra righe dallo stile asciutto e denso della Fila, la moltitudine che si adegua e aspetta ci viene restituita come una vasta gamma di relazioni con gli altri e con sé stessi. Tutte tradiscono la disillusione del mondo arabo contemporaneo dopo la fine delle primavere e la restaurazione di vecchi/nuovi regimi. Ciò che rimane è un oscuro caleidoscopio che ondeggia sempre tra accettazione, omissione, bugie e improvvisi lampi di resistenza, verità e rabbia contro l’arbitrario potere della Porta. E tra le storie dei singoli che ingrossano la Fila, come di quelli che la osservano dai bordi, e via via fino a tutta la società intorno, malgrado dolori, paure e diffidenze emerge spesso un’umanità solidale, calda e quasi familiare.

L’autrice di questo romanzo, definito da molti “weird”, ha più volte ammesso di aver attinto a piene mani dai racconti e dalle esperienze del suo lavoro di psichiatra e attivista in una fondazione che si prende cura delle vittime degli abusi del regime. Questo spiega come sia riuscita a disegnare personaggi dalla rara profondità e caratterizzazione con brevi e rapide pennellate. E proprio questa profondità psicologica esalta sia il contesto distopico sia lo sviluppo della storia. Il tutto poi è reso da una scrittura vorticosa e solo apparentemente confusionaria che quasi riproduce la sensazione di cupa agorafobia e spaesamento dentro la Fila. Proprio qui probabilmente ci sono suggestioni che maggiormente rimandano all’opera di Kafka o persino di Gogol’.

 

 

Di pagina in pagina la narrazione si dilata e si oscilla sempre più tra un potere monolitico “mistico” e autenticamente “fascista” e balbettii di resistenze, sempre vitali e molteplici. Vale a dire tra la disumanizzazione attraverso la burocratizzazione dell’esistenza e le psicologie, l’umanità dei subalterni. E la contraddizione tra un Uno, un potere autoritario che si staglia frontalmente, e una moltitudine che cambia a seconda della prospettiva da cui la si osserva, da dentro o da fuori la fila, emerge il paradosso, l’irrisolto, intorno cui ruota l’intera struttura narrativa: il ruolo della cura, tra solidarietà e disciplinamento, tra umanità e mostruosità. È una contraddizione che probabilmente la stessa autrice avrà vissuto come psichiatra nell’Egitto contemporaneo. Nel romanzo ritorna costantemente infatti il conflitto tra il ruolo etico della figura del medico e il controllo sociale del regime che arriva fin dentro gli ospedali, campo di battaglia continuo alla piazza e alle strade. Il revisionismo della Porta sulle rivolte si concentra per esempio nel rimuovere persino le cartelle cliniche dei feriti e gli ultimi rivoltosi vengono cercati corsia per corsia prima di sparire per sempre.

Mentre il controllo sulla stampa, sulle comunicazioni, sulle formazioni sociali e politiche e l’uso di polizie, spie e militari non differenzia la Porta da tutti i regimi, nella letteratura come nella realtà, la sua caratteristica specifica invece sembra essere l’ossessione per gli ospedali, per la cura, per i medici da piegare ai propri interessi, anche contro la propria etica. Una novità che riportata nella realtà dell’Egitto di Al-Sisi spiega anche la natura oscena delle sabbie mobili che hanno divorato la verità e la giustizia sull’omicidio di Giulio Regeni come quello di tante altre e tanti altri. In una torbida rete di poteri si distruggono prove, indizi e tracce persino nel letto di ospedale, in una collaborazione omertosa tra medici, strutture mediche, servizi e polizie. Se però vi sembra un potere distopico, una fiction lontana da noi, provate a ricordare la vicenda di Stefano Cucchi e la continuità tra sistema giudiziario, carabinieri e medici nell’uccidere e nascondere e depistare.

 

«…Per oltre dieci anni ho lavorato al Centro El Nadeem, che offre sostegno e riabilitazione psicologica a coloro che sono stati sottoposti a torture nelle stazioni di polizia e nei campi di detenzione. Ho visto con i miei occhi come un grande trauma psicologico possa cambiare le persone. Ho visto come la continua repressione e l’umiliazione possano spingerli a diventare solo le ombre di se stessi, non avventurandosi oltre le linee che il loro oppressore ha disegnato per loro…»

(Basma Abdel Aziz)

 

 

Concludendo: il romanzo debutto di Abdel Aziz, come anche le sue opere successive, sono una lettura contemporanea necessaria. Interroga innanzitutto noi, occidentali, la nostra relazione con l’ingiustizia e l’arbitrio, con la paura e la sconfitta presente. Così facendo poi getta dei ponti di empatia con chi vive in una società vicina, vicinissima, finalmente resa nella sua densa complessità. Una lettura quasi terapeutica per costruire, anche se da sconfitti e anzi partendo da una sconfitta, quei legami che nel 2011 permisero la propagazione di un’onda di speranza e rinnovamento che sfidava confini, polizie e status quo. La Fila spiega il vuoto silenzioso che oggi regna su Piazza Tahrir.

Un’opera che dal nostro punto di vista poi ha poi il merito di rendere ancora più impossibile derubricare la vicenda di Regeni per ragioni di Stato o Realpolitik con il regime egiziano; dopo la lettura de La Fila qualunque balbettio indulgente verso Al-Sisi non può che rimanere inchiodato come complice di un assassino, della Porta, una violenza continuata contro coloro che ancora oggi, in Fila guardano l’orizzonte progettando una nuova primavera.