MONDO

La crisi pandemica e la condizione dei migranti in Mesoamerica

Quando gli Stati hanno chiuso le loro porte ai viaggi non essenziali, i migranti che si dirigevano verso nord, dall’America Centrale agli Stati Uniti, sono rimasti intrappolati nei lockdown di diversi paesi, vedendosi spesso obbligati a trascorrere la quarantena in una nazione che avevano solo pensato di attraversare

Le chiusure provocate dalla Covid-19 hanno creato una situazione complessa nelle zone di confine del Mesoamerica, soprattutto alla frontiera tra Guatemala e Messico, il confine che tutti i centroamericani diretti verso nord devono, di norma, oltrepassare.

La situazione in cui si trovano i migranti in piena crisi da coronavirus aumenta le tensioni esistenti nel contesto di militarizzazione al confine tra Guatemala e Messico. I migranti sono oggetto di retate e vengono poi trasferiti nelle carceri per migranti delle zone di confine, dove le pessime condizioni rendono impossibile il rispetto del distanziamento fisico e delle norme igienico-sanitarie.

Nonostante la reclusione dei migranti non sia una pratica nuova e sia ancora presente nei campi al confine tra Stati Uniti e Messico, i rapporti del Movimiento Migrante Mesoamericano (MMM) mostrano come nelle carceri messicane la paura sia aumentata tra i migranti, i quali si sentono più vulnerabili al contagio. A fine marzo, questa paura legittima si è manifestata sotto forma di scioperi della fame, come a Tapachula, mentre nella città di confine di Tenosique è stato appiccato un incendio in una delle carceri per protestare contro le condizioni drammatiche e il sovraffollamento.

Il Movimento Migrante Mesoamericano, di importanza capitale per documentare le vite dei migranti sia prima che durante la pandemia, accompagna da anni i migranti che viaggiano attraverso l’America Centrale e il Messico, facendo eco agli insegnamenti sociali cattolici. Il gruppo registra in maniera dettagliata il cambiamento delle condizioni della rotta migratoria, svelando gli abusi degli apparati di sicurezza transnazionali, dei corpi di polizia e delle pattuglie militari, che rendono la migrazione un’alternativa sempre più pericolosa. Il movimento, inoltre, sostiene le caravane delle madri che cercano di rintracciare i figli desaparecidos in una regione che l’attivista Rubén Figueroa ha definito «triangolo delle Bermuda dei migranti».

Il MMM è diventato, così, un importante bastione per la difesa dei diritti umani dei migranti, che aiuta le famiglie a recuperare le tracce delle persone scomparse durante la migrazione. Con il loro lavoro, gli attivisti sono in grado di fare chiarezza in contesti dove, al momento, non esistono meccanismi istituzionali di giustizia che possano dare garanzie alla migrazione transnazionale.

 

Il fatto che oggi in Messico siano i militari a far rispettare gli ordini di “restare a casa” fa sì che i migranti non possano continuare a viaggiare verso nord né rientrare in Guatemala, dove l’arrivo di persone positive alla Covid-19, provenienti da Messico e Stati Uniti ha scatenato un’ondata di discriminazione nei confronti dei migranti nel loro stesso paese di origine.

 

Questa situazione, a cui si aggiungono gli obiettivi globali del controllo dei flussi migratori in mano agli Stati Uniti, a sua volta ha influenzato enormemente la vita nelle zone di confine. I migranti sono stati abbandonati fuori dai loro paesi di origine e gli abusi sono passati sempre più in sordina. Secondo i rapporti del MMM, questo cambiamento di clima ha creato uno stato di cose in cui i migranti si ritrovano intrappolati tra paesi e l’impossibilità di accedere alla terra natale causa loro un forte stress emotivo e psicologico. Questa condizione, che io chiamo “apolidia pandemica”, consiste nel non poter rientrare nel proprio paese dove, in modo tacito, la nazionalità sembra essere stata temporaneamente sospesa. Obbligati a sopportare i capricci della politica, gli iter amministrativi e i maltrattamenti in un paese di transito, i migranti sono soggetti a politiche statali che ignorano i loro diritti, la loro salute e il loro benessere.

 

Foto di Rubén Figueroa ​

 

L’immobilità causata dalla Covid-19 ha lasciato persone per strada, condannandole a cavarsela da sole in una società che, come nel resto del mondo, teme il contagio del virus. Questa realtà ha spezzato il flusso nella zona di confine tra Guatemala e Messico e ha aggravato le condizioni strutturali esistenti, già inasprite dai regimi giuridici e dall’adozione di misure disciplinari arbitrarie. Le circostanze della pandemia hanno reso i migranti sempre più indifesi, andando a peggiorare ancora la mancanza di protezione di chi vive tra paesi, di chi vive una vita in movimento. Per gli apolidi temporanei, la pandemia ha reso evidente che la loro presenza è di troppo sia nel paese di origine che in quello di transito. Dopo aver sperimentato l’espulsione, i migranti centroamericani sono costretti a sopportare il non ritorno, mentre i pochi che sono rientrati in Guatemala vengono denigrati e respinti dalle loro comunità di origine, dove l’ormai nota storia dei “migranti contagiati” (risultato delle deportazioni dagli Stati Uniti) continua a diffondersi tra la popolazione.

 

La questione della condizione apolide dei migranti durante l’emergenza sanitaria suscita una domanda: come sarà il Mesoamerica dopo la pandemia?

 

Se le crisi irrisolte e già presenti prima del coronapanico possono essere prese come punto di riferimento, i problemi strutturali che hanno già messo a dura prova i tessuti vitali della regione, aggravati dalla cattiva gestione di questa crisi, provocheranno altre ondate di persone in viaggio verso nord. La rotta migratoria sarà ancora una volta affollata di persone che sperano di trovare nuove opportunità, ricongiungersi con le proprie famiglie o guadagnare abbastanza da poterle aiutare a sopravvivere nei paesi di origine, dove vivono in condizioni economiche ancora più precarie come già dimostrato dalle bandiere bianche appese fuori dalle finestre in Guatemala e El Salvador per denunciare la mancanza di cibo.

A quali Stati Uniti potrebbero arrivare i futuri migranti? Al momento il confine è chiuso a qualsiasi flusso, una misura che il governo Trump spera di poter prolungare anche dopo la fine dell’emergenza formale. Come fanno notare gli esperti, gli Stati Uniti registreranno un aumento drammatico della disoccupazione e del numero dei senzatetto, che colpirà una popolazione traumatizzata dall’austerità economica e fomentata dalla supremazia bianca protezionista. Anche se lentamente, gli Stati Uniti si riprenderanno dagli effetti del coronavirus e dalle decisioni politiche razziste che hanno anteposto il profitto alle persone.

 

Per gli Stati Uniti, ma anche per le nazioni mesoamericane, quando si tratta di formulare politiche interstatali i migranti rappresentano una preoccupazione secondaria, il gradino più basso della gerarchia del merito.

 

L’apolidia pandemica è una condizione nuova e segna l’inizio di una serie di gravi problemi che non scompariranno con la fine della crisi sanitaria. Gruppi come il MMM hanno avuto un ruolo fondamentale nell’offrirci una visione reale dell’azione collettiva migrante tra i mondi di transito militarizzati, e il loro lavoro è essenziale per identificare i fattori di stress che colpiranno i migranti di oggi e di domani.

Siccome il flusso verso le economie del nord resta in qualche modo sospeso, causando la perdita di lavoro per i migranti che dagli Stati Uniti inviano rimesse verso l’estero, l’afflusso di denaro ai paesi di origine continuerà a diminuire, in un momento in cui le famiglie centroamericane si trovano nelle condizioni economiche più difficili. Il post-pandemia sarà duro per l’America Centrale, e la situazione attuale dei migranti offre numerosi indizi su quali saranno le difficoltà a venire.

 

Immagine di copertina e foto nell’articolo di Rubén Figueroa.

Pubblicato originalmente in spagnolo su Routed Magazine. Traduzione in italiano di Giulia di Filippo per DINAMOpress.

L’autore è ricercatore e docente salvadoregno, insegna studi latinoamericani al Dartmouth College negli Stati Uniti e puoi seguirlo su Twitter @infrapolitics