MONDO

La costruzione della guerra civile mondiale

Dopo ogni attentato viene costruita una narrazione di paura. Perché? A cosa serve? E cosa possiamo fare noi?

Barcellona, 14 morti. La manifestazione allontana i gruppi fascisti. La Sindaca parla di pace e di accoglienza. Ma questo sembra non bastare. Quando si lancia il sasso della paura nel lago dei media mainstream, le onde concentriche che si formano continuano a ingrandirsi senza smettere. C’è chi, in questi giorni, sui social cerca di far riflettere, comparando i numeri dei morti per terrorismo in Europa con il resto del mondo. Basta fare questi conti per rendersi conto come in Europa facciano molte più vittime gli incidenti stradali, che il terrorismo. Ma questo non basta a fermare le onde concentriche della paura.

Questa è una guerra civile mondiale, avevo scritto dopo il Bataclan. Una guerra civile organizzata a livello mondiale, ma che si diffonde a livello nazionale, e si attua in maniera differenziata nelle diverse regioni del mondo. Una guerra civile che in prima istanza toglie qualsiasi umanità al nemico, o al sedicente tale. Una guerra civile che distrugge i diversi – donne, migranti, infedeli, minoranze.

Una guerra civile mondiale, dove gli ‘opposti estremismi’ sono i patrioti occidentali da un lato, e i fondamentalisti islamici dall’altro. Entrambi utilizzati, se non costruiti, dalle élite che sostengono l’ordine mondiale neoliberale. O forse dovremmo dire il dis/ordine mondiale neoliberale.

Dis/ordine mondiale perché dopo il 2008, il mondo post ’89 della libertà, della democrazia, e dello sviluppo capitalista senza confini e senza limiti per la ricchezza, scricchiola. Così come scricchiola il suo principale sostenitore: gli Stati Uniti. Come mantenere quindi la supremazia del progetto egemonico neoliberale sul mondo? Costruendo paura. Una paura che funzioni da eco egemonico e ci ricordi che siamo parte dell’Occidente e prima di tutto dobbiamo difendere la nostra casa, il nostro modo di vita, i nostri valori, il nostro sentito comune. Purtroppo, è proprio questa costruzione di paura che sta distruggendo il nostro modo di vita. È la nostra necessità di sicurezza che uccide la nostra libertà.

In Europa dopo ogni attentato viene costruita mediaticamente, culturalmente ed emozionalmente questa guerra civile mondiale. Non importa che i morti degli incidenti stradali siano in numero maggiore che negli attentati. Gli attentati costruiscono l’attuale collante del nostro vivere comune: la nostra comune paura collettiva, tramite cui si cerca di stabilizzare il dis/ordine mondiale. Questo dis/ordine si riproduce nella costruzione di piccole paure quotidiane, che esorcizziamo nel nostro agire pubblico: gli insulti ai negri sugli autobus, il complotto delle ONG su facebook, le offese urlate a Boldrini, il bullismo su snapchat, i video contro i gay su youtube. Se non ridi sei noioso e soprattutto non stai riproducendo meccanicamente la routine della paura. La produzione e riproduzione di un senso comune di paura che ci tiene insieme. Se non partecipi, stai distruggendo il nostro modo di stare insieme come comunità occidentale, il nostro modo comune di avere paura insieme.

Per rompere questa costruzione di paura non possiamo solo riportare i numeri dei fatti reali – che è comunque il primo passo – ma dobbiamo anche costruire un altro senso comune dello stare insieme.

Ogni giorno lasciamo annegare le persone nel Mediterraneo, o le rimpatriamo in paesi dove c’è la guerra, o le rinchiudiamo nei campi. Ogni giorno distruggiamo le speranze di centinaia di persone in fuga. Ed è qui che si attiva una sorta di legge della meccanica della sofferenza, questa non si distrugge, si trasforma, prima in odio, poi in terrore e infine in morte. E noi rispondiamo con la paura.

È qui che dobbiamo ricominciare a costruire un altro senso comune dello stare insieme, contro la paura. Diceva un rivoluzionario qualche decennio fa: ‘siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo’.

Dobbiamo sentire le ingiustizie, non la paura.