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La Cina sta cambiando gli equilibri nelle zone artiche

Combustibili, rotte marittime, vantaggio strategico: come le politiche della Repubblica Popolare Cinese stanno cambiando gli equilibri nelle zone artiche

Negli ultimi anni il governo cinese ha dimostrato di non avere affatto intenzione di lasciare il tavolo di quella che in molti sembrano considerare una delle partite più importanti del prossimo secolo. Anzi, sembra più che deciso a intensificare la quantità e la qualità della sua proiezione nelle terre dell’estremo nord.

Con il progressivo e a oggi inevitabile scioglimento dei ghiacci che ricoprono le lande artiche è cominciata quella che ormai si configura come una vera e propria Polar Rush, una nuova corsa all’oro, con il potenziale giusto per modificare profondamente gli equilibri dello scacchiere geopolitico mondiale negli anni a venire.

 

Infatti, quella che molti considerano una tragedia dall’enorme impatto etico ed ambientale per la Cina, ma non solo, rappresenta un’opportunità senza precedenti.

 

Secondo le stime di alcuni studi a conduzione russa ed americana, la zona artica racchiude il 30% di tutte le riserve naturali del pianeta, il 22% di tutte le riserve di gas e combustibili fossili ancora non scoperte, nonché miniere di metalli preziosi quali zinco, uranio, platino, oro e nickel per un valore pari, secondo lo US Government Accountability Office, a circa un triliardo di dollari americani. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacci dovuto al surriscaldamento globale renderebbe sempre più navigabile l’Oceano Artico, racchiuso in un’area grande quanto tutto il Mediterraneo, rivoluzionando le rotte marittime dei paesi interessati e rendendo possibile l’accesso alle enormi riserve ittiche nascoste nelle profondità dell’Oceano.

 

Sul piano militare, un buon posizionamento in quelle zone garantirebbe diversi vantaggi.

 

In termini strategici un aumento considerevole della capacità di deterrenza nucleare, in termini tattici, un uso più accurato delle tecnologie satellitari da cui deriverebbe un sensibile miglioramento della qualità delle telecomunicazioni, a sua volta utile al dispiegamento delle truppe. Gli interessi cinesi abbracciano tutte le possibilità che lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico ha da offrire: a livello politico la Cina soffre ancora molto la sua dipendenza energetica dal gas russo e dal petrolio saudita e a livello alimentare ha necessità di implementare il suo programma di sicurezza nazionale; ma soprattutto, a livello militare e commerciale, ha urgente bisogno di poter dispiegare in modo sicuro la propria potenza marittima, eludendo le limitazioni e i controlli imposti dai passaggi obbligati attraverso lo stretto di Malacca e il Canale di Suez, su cui vigilano attentamente le forze statunitensi.

 

Il governo di Pechino ha portato avanti in modo lento ma costante la prima fase della corsa alle risorse artiche, cercando di attirare il meno possibile l’attenzione della comunità internazionale.

 

Ciononostante, gli sforzi cinesi hanno condotto a discreti risultati: nel 2013 infatti la Cina è entrata a far parte del Concilio Artico in qualità di osservatrice. L’anno successivo il presidente Xi Jinping, in occasione di un convegno tenutosi a Hobart, Australia, rilasciava un’intervista ormai famosa, esplicitando per la prima volta l’intenzione della Cina di divenire in breve tempo, in virtù della sua auto-proclamata natura di near arctic state, una vera e propria grande potenza polarecome la Russia e gli Stati Uniti.

Da allora, l’impegno del governo comunista rispetto agli interessi artici è aumentato esponenzialmente, conducendo nel gennaio del 2018 alla pubblicazione del primo libro bianco sulle politiche artiche, ormai pienamente comprese all’interno del mastodontico progetto della nuova via della seta, attraverso quella che è stata ribattezzata Operazione Drago dei Ghiacci.

Il libro bianco non ha altra finalità che ribadire a chiare lettere i capi saldi della politica cinese già sperimentati in materia di politica estera e relazioni internazionali: la Cina si riserva di esplorare, nel rispetto delle leggi internazionali e in modo cooperativo e pacifico, le opportunità scientifiche, commerciali e di qualsiasi altro tipo che le nuove condizioni climatiche renderanno disponibili nelle regioni artiche.

Uno statement in apparenza chiaro, che sembra però glissare sull’importanza capitale che le regioni polari potrebbero assumere nel corso dei prossimi anni all’interno dello scacchiere asiatico. Infatti, pur toccando una vasta gamma di interessi strategici nazionali, oggi gli sforzi della politica artica cinese si focalizzano principalmente su un fattore ben preciso: l’aumento delle capacità di dispiegamento della propria forza marittima.

Come racconta anche Anne Marie Brady in un recente libro dedicato alle politiche artiche cinesi, China as Polar Great Power, «In the past twenty years, China has become a global economic power dependent on the Sea for much of its commerce. China now has the world’s third-largest merchant marine, exceeded only by Panama and Liberia, most of whose boats are simply flying flags of convenience».

 

Dal 2010 la Cina è divenuta la più grande costruttrice di mezzi navali del pianeta, utilizzando gli spostamenti via mare come nodo centrale per gran parte del suo commercio.

 

 

Tuttavia ben l’85% di tutti i traffici marittimi cinesi risulta transitare attraverso lo stretto di Malacca, che funge da naturale separazione fra il mare del Sud Cinese e l’Oceano Indiano, esponendo quindi le navi agli ingenti rischi costituiti dalla pirateria. In quest’ottica la sicurezza delle rotte, in virtù soprattutto dell’implementazioni delle stesse previste dal progetto della Polar Silk Road, hanno assunto per il governo di Pechino un interesse di non secondaria importanza. Con un controllo adeguato sulle nuove rotte artiche il governo cinese sarebbe in grado di ridurre di oltre 4000 miglia la distanza delle sue rotte commerciali, risparmiando così, come evidenzia Zhang Xia, direttore del Polar Research of China, tra i 533 e i 1274 miliardi di dollari.

La volontà espressa attraverso le parole dello State Council Office di «lavorare con tutte le parti interessante, in pieno spirito di collaborazione internazionale, per sviluppare le potenzialità delle nuove rotte marittime attraverso l’Oceano Artico»non fa che confermare la strategia portata  avanti dalla diplomazia cinese negli ultimi anni. In seguito a questo i contatti fra il governo di Pechino e diversi stati artici sono aumentati considerevolmente: la Groenlandia, ad esempio, ha stretto rapporti sempre più stretti con il gigante asiatico arrivando a firmare un accordo che dovrebbe portare la Cina ad investire sul territorio una cifra vicina ai 15 miliardi di dollari, attraverso l’apertura di diversi aeroporti e basi scientifiche, accordo che non ha mancato di suscitare le ire di Washington e degli alleati danesi.

Lostesso tipo d’intesa che sembra essere stata raggiunta parimenti con l’Islanda, testimoniata dalla firma di un accordo bilaterale di libero scambio, a oggi l’unico esistente fra la potenza asiatica e uno stato europeo.

 

Nonostante la forte pressione proveniente da Pechino rispetto agli equilibri geopolitici delle regioni artiche, la garanzia di successo non è però assicurata.

 

Gli Stati Uniti e soprattutto la Russia rimangono comunque avversarie importanti, ancora profondamente distanti in termini di presenza e potenzialità d’intervento rispetto alle forze cinesi. Gli Stati Uniti hanno dimostrato negli ultimi anni, anche a causa dell’enorme impegno costituito dai conflitti in Medio Oriente, un relativo disinteresse verso la questione artica: tuttavia appare evidente, soprattutto in virtù dei rapporti tesi che intercorrono fra Washington e Pechino, che un tentativo di egemonia cinese in un territorio strategico come l’Artico non verrebbe visto di buon occhio e provocherebbe una reazione difficile da prevedere da parte americana.

Dal canto suo la Russia di Vladimir Putin ha più volte rimarcato la volontà di mantenere il primato raggiunto già in epoca sovietica sulle terre del nord e di configurarsi come interlocutore primario rispetto alla gestione e alle progettualità legate a quell’area del mondo. I Russi, infatti, sin dall’epoca zarista mantengono una presenza fissa nei territori artici, considerandoli a tutti gli effetti l’equivalente russo del mare nostrum europeo. Le stesse traversate artiche avvengono finora unicamente sotto il controllo diretto dei rompighiacci nucleari messi a punto dal governo di Mosca, impedendo qualsiasi tipo di ingerenza a livello internazionale.

La sfida per il governo cinese nei prossimi anni sarà dunque quella di continuare ad affinare la propria diplomazia in campo internazionale, utilizzando il basso profilo che ha costituito il traitd’union della sua politica estera in questi anni, onde evitare di incappare in quella che, vista l’importanza della posta in gioco, ha tutte le carte in regola per tramutarsi rapidamente in uno scenario di crisi a livello mondiale.