ROMA

L’ex maoista e la questione romana

La Capitale non è ancora al sicuro dal default, e intanto la senatrice Linda Lanzillotta prova a far entrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. Parliamo del provvedimento che porta il suo nome che imporrebbe a Roma privatizzazioni e tagli.

Non aveva certo bisogno della sua ultima “esternazione” in Commissione Bilancio del Senato, la senatrice Linda Lanzillotta, da sempre in politica: dall’Unione di Brandirali (remember?) a Scelta Civica di Mario Monti (ricordo, si ricordo), per dire la sua su Roma. La “sua” infatti è un’idea di Roma e non per Roma. La differenza tra le due preposizioni è importante. L’ ex maoista parla di rigore, perché regalare soldi ai romani? perché assicurare a Marino di salvare l’ultimo bilancio comunale (il suo primo) appoggiandosi a un decreto, il “salva Roma” appunto, che gli permetterebbe di contabilizzare i 485 milioni che non ha, spalmandone 320 nel bilancio appena chiuso del 2013 e 165 in quello imminente del 2014 ?

Se accadesse, vorrebbe dire, infatti, che queste cifre andrebbero a pesare sul debito complessivo del Campidoglio. Ancora soldi da restituire allo stato. Da aggiungere ai 200 milioni annui, come avviene dal 2008 l’anno in cui il “fantasioso” ministro Tremonti lanciò una ciambella di salvataggio al sindaco Alemanno ed invece di iniziare le pratiche di fallimento creò una specie di “bad company”, struttura governativa incaricata di accertare la reale entità del debito e programmare la sua estinzione per mezzo di finanziamenti statali. La gestione ordinaria dell’amministrazione capitolina sarebbe tornata, così, libera da vincoli, ma non da debiti.

Ma in cosa consiste realmente il debito di cui si parla? Dalla relazione ufficiale che il commissario Varazzani ha presentato al Parlamento sappiamo che il debito complessivo ammonta a 22,4 miliardi di euro a fronte di crediti per 5,7, cioè il “buco” è di 16,7 miliardi di euro, compresi gli oneri finanziari. Possiamo dire che il debito “vero” è di otto miliardi e mezzo e il suo ammortamento è garantito fino al 2017, dalla rata annuale di quei 200 milioni pagati dal comune di Roma. Perché allora si continua a parlare di default e commissariamento se non verrà approvato il decreto salva Roma?

Perché il debito ha continuato ad accumularsi, anche in quella che, una volta creata la bad company, sarebbe dovuta diventare una good company, cioè la gestione ordinaria dell’amministrazione. Oggi il sindaco Marino dichiara che il debito di questa good company è di 867 milioni. Il decreto salva Roma prevede di spostare 400 milioni del debito nella bad company e di stanziare risorse per la raccolta differenziata e il trasporto pubblico, evitando che l’amministrazione non riesca più neanche a pagare gli stipendi dei suoi dipendenti o come sta accadendo, tanto per fare un esempio, per i dipendenti delle farmacie comunali(FARMACAP).

Marino non ha altre alternative, dunque, che aumentare le tasse ma a lei, Linda Lanzillotta, questo non basta. La senatrice si fa sotto e intima al sindaco di non poter andare avanti così. Come lui, Marino, ha pensato. Non contesta al Campidoglio l’aver fatto tagli sul sociale, sulla cultura, sulla manutenzione urbana, l’aver impoverito l’abitare e il vivere di tutti noi. Lo bacchetta per il suo accanimento terapeutico, rappresentato da un esile soffio sul corpo, pressoché esanime, della morente città pubblica. E’tempo – non lo dice, ma nei fatti è così- di fare un passo in dietro: via Marino e commissariamento della città.

Non ci sono le condizioni per esaminare la richiesta romana con la dovuta attenzione ringhia l’ ex assessora di Rutelli – è stata anche questo, of course, anche se lei, da responsabile del bilancio si è trovata a far quadrare i conti con l’aiutino rappresentato dai soldi (tanti) del Giubileo dell’anno 2000- perché Roma “pone dei problemi”. Linda Lanzillotta ha capito che il lungo lavoro al fianco della città va completato. E’ ora del colpo di grazia.

Ci aveva già provato con un emendamento presentato al dibattito sul “mille proroghe” del Senato a fine dicembre per imporre a Roma di vendere le quote di maggioranza di Acea, alienare il patrimonio pubblico, bruciare posti di lavoro dismettere altrettante vite. Ancora, sempre quell’emendamento, richiedeva di: liquidare le aziende “che non erogano servizi pubblici”, privatizzare trasporti, rifiuti e pulizia delle strade; stirare i vincoli del patto di stabilità su assunzioni e acquisto di beni per tutte le partecipate del Comune. Tentativo fallito per la “resistenza” dei senatori romani, anche se una piccola soddisfazione era riuscita a portare casa inchiodando il sindaco, per tutto il 2014, a mantenere inalterata la quota Irpef e condannandolo alla graticola della possibilità di andare in “carenza di ossigeno”.

Ora ci riprova complice il passaggio di governo e l’ingolfamento dei vari decreti approvati a furia di voti di fiducia da convertire, che ha portato il Senato a un calendario complicato per la loro conversione in tempi utili pena la loro decadenza. Salva Roma è a rischio e questo ha fatto scattare l’allarme. Linda Lanzillotta porta a compimento il lungo lavoro iniziato con il Piano Regolatore di Rutelli, infiocchettato da Veltroni; fare del territorio della città un offerta al mercato. Un territorio che è stato necessario prima privare dei propri caratteri identitari, facendolo ridisegnare dalla rendita, per poi renderlo disponibile a trasformare i propri abitanti in merce. Condannati a pagare i simulacri di ciò di cui vengono e verranno spogliati e privati giorno dopo giorno. Condannati a pagare, finché saranno in grado di farlo, i servizi, il muoversi, la salute, il respirare, il sopravvivere.

Marino sembra non rendersi conto di quello che sta accadendo e fa avanti indietro con palazzo Madama per cercare, come dice lui, di salvare Roma, di tenere in piedi la sua giunta. Cerca soldi, inventa alleanze, muove le pedine, arranca, ascolta quello che riportano gli ambasciatori e i loro tentativi per cercare di trattare, un emendamento possibile con la senatrice di Sc. Niente da fare. Non resta che trovare i voti di chi, contrario in Parlamento al governo è al governo in città, come SEL, e quelli di chi, come Grillo, contrario al governo in Parlamento è, anche se nessuno se ne è fino ad oggi accorto, contrario al governo del Campidoglio. Come se nuove alleanze politiche potessero impedire l’espandersi di chi, con questa raffica di emendamenti a un decreto e con azioni concrete, intende cancellare lo spazio pubblico, riappropriarsi della ricchezza rappresentata dalle risorse comuni, attaccare le nostre stesse vite, fare territorio attraverso il progetto della finanza.

Intanto Marino di fronte ad un Tevere ingrossato ci promette di renderlo navigabile.