L’amore prima, molto prima, dei book block

Educazione sentimentale dopo il maggio ’68 a Parigi. Un film di Olivier Assayas.

Su Qualcosa nell’aria di Olivier Assayas (Francia 2012).

La città è Parigi, l’anno il 1971. A ridosso del maggio 1968, dunque, e a cent’anni esatti dalla Comune. Frequenti l’ultimo anno di liceo e ti prepari ad entrare all’Accademia di Beux Arts. Sempre con una matita e un blocco di fogli a portata di mano, prendi appunti visivi: ritratti, paesaggi; tracci segni che, come fili, escono, ininterrottamente, dalla matita.

Quando scegli di dipingere lo fai marcando con stampi colorati linee che, sovrapponendosi, finiscono con il depositare corpi che si distendono quasi a misurare la larghezza dei fogli. Come se Pollock usasse, come base, una tela passata prima per le mani di Vespignani

.

Quando non sei a scuola, o impegnato in assemblee, ti rintani nella tua stanza-atelier all’interno di una struttura edilizia délabré. Non è un loft, ma una delle, infinite, piccole casette con giardino in uno dei quei “paesi” che, inseguendosi tra loro, formano la grande area metropolitana parigina.

Case ritagliate nelle frange della corona di foreste non ancora sezionata dal grande boulevard Périphérique, il grande anello di asfalto che, solo dopo qualche anno, borderà la città. E’ la Parigi prima dei grandi progetti di rigenerazione urbana e dei possenti interventi residenziali popolari nella cintura urbana di inizio anni settanta. La parola gentrification è sconosciuta e Les Halles sono ancora un mercato. Quando con i compagni del collettivo vi preparate per partecipare ad una manifestazione dite “andiamo a Parigi”.

La manifestazione sarà pesantemente repressa con modalità e brutalità “genovesi”. Ti sono addosso con le moto, sembra non esserci scampo, i gendarmi picchiano e picchiano duro, non hai modo di difenderti, sputati i gas che serrano la gola, lanciato qualche sasso, corri per ritrovarti con i compagni. Tornati decidete l’azione: questa notte stessa, scavalcati i cancelli del liceo, il fronte dell’edificio così simile ai vagoni di un treno, sta lì per essere riempito di scritte. Di tuo, inserirai lunghe strisce colorate, un segno continuo, a legare tra loro le parole contro la repressione, che invitano alla rivolta.

Pensate che tutto è possibile. Tu vuoi costruirti in questo tutto possibile come artista. Sai che “l’arte è solitudine”, che quando dipingi riesci a catturare quell’enorme moltitudine che trovi in te stesso. Questo sembra non essere così per tutti i tuoi amici per cui la “politica” è totalizzante.

Non è una questione di linea, di scazzi con la potente organizzazione sindacale o con i “trotzkisti”, di governabilità delle assemblee. Partecipi, prendi parola, elabori, non ti tiri indietro quando ti chiedono di appoggiare un’azione recuperando una macchina, ma pensi che tutto questo non deve mettere in discussione l’educazione di te stesso. A partire dalla cura per i tuoi sentimenti e le tue emozioni. Non vuoi rinunciarci neppure per la Rivoluzione che senti vicina, davvero prossima a venire. Vuoi accompagnarla, curarla, fare attenzione che dogmi vecchi e nuovi la soffochino.

La vuoi seguire e raccontare con nuovi mezzi; così segui una troupe di cineasti militanti diretti con un furgone in Italia; vuoi essere “innanzitutto a Firenze” dove, alle proiezioni popolari sulle lotte dell’eroico popolo laotiano, accompagni sedute di “disegni dal vero” di statue e opere artistiche. Un viaggio di formazione che prosegue solo con un amico – anche lui ama l’arte – fino a Pompei mettendo insieme nella visita agli scavi: i coniugi di Roberto Rossellini di Viaggio In Italia che si interrogano sull’amore, con il Grand Tour di formazione (1911) di Le Corbusier; la pratica del disegno per osservare e conoscere tappe fondamentali per costruire il nuovo.

Un viaggio d’educazione sentimentale dove capirai che l’amore è soprattutto complicità. Non solo verso chi si ama, ma anche con i tuoi amici.

Scoprirai che il loro partire per l’oriente non è tradire un progetto, ma andare a porsi delle domande che è cosa assai più complessa che trovare delle risposte. Per magari scoprire che a Kabul un’artista italiano (Alighiero Boetti) riesce a produrre un’opera collettiva commissionando, ad abili ricamatrici, tappeti che narrano il mondo, contraddicendo le certezze geopolitiche (lo stuolo di bandiere che coprono il planisfero) con il passare avanti e indietro incessante dell’ago e dei fili, dello scorrere degli arazzi.

Scoprirai, dopo aver fatto l’amore, che quella ragazza che gira naturalmente per la stanza in mutande bianche, sollevando con rispetto e attenzione le tue tante carte, è l’unica a cui chiedere un parere sul tuo lavoro; che anche questo è un atto d’amore: il rappresentarle di non aver paura del giudizio altrui, l’ossessione che attanaglia tutti i borghesi. Come tuo padre un autore televisivo imprigionato nel culto acritico di Simenon. Anche a costo di metterlo in scena con un attore impossibile, ma di cassetta.

Scoprirai che le persone che si amano non si posseggono; che quando si allontanano lasciandoti un testo (Gasoline, Gregory Corso) continuano a parlarti e ti invitano a fare altrettanto; che collettivo è un aggettivo meraviglioso perché, come capirai – quando collaborerai alla messa in scena di un film, costruzione dell’immaginario da parte di tanti per eccellenza e non dissimile dai tappeti di Boetti – che abitando nell’immaginazione, ti sarà permesso di non aprire quando la realtà verrà a bussare alla tua porta.

Scoprirai che quella lettura di Pascal, che hai seguito in aula incidendo un simbolo anarchico su di un banco, “tra noi e l’inferno, tra noi e il cielo, c’è solo la vita, che è la cosa più fragile del mondo” non parla, come sembra dire il professore, della tua, ora, condizione giovanile, ma parla proprio della necessità di saperla curare per conservare sempre questa capacità del farsi domande, del sapersi mettere in discussione, del sognare, dell’innamorarsi, del leggere libri scomodi, del costruire esperienze diverse, del mischiarsi, del riuscire a mettere in gioco tutti i sensi per cercare di afferrare, come ti capita ora, qualcosa che è nell’aria.

Un atto d’amore innanzitutto verso se stessi che i movimenti oggi, portando nelle piazze i libri scudo, sembrano aver raccolto. Per sfuggire dal deserto costruitogli intorno plasmato e cementato dalla precarietà più assoluta, alla scoperta di una nuova geografia emozionale.