ROMA

Quando lə studentə fanno scuola. Voci dal liceo Kant occupato di Roma

Il liceo Kant è la prima scuola superiore a essere stata occupata a Roma. Abbiamo intervistato tre studentə per farci spiegare le motivazioni di questa mobilitazione

Roma, il Kant è la prima scuola occupata in tempo di Covid. Lə studentə, dopo diverse giornate di mobilitazione nel piazzale antistante l’istituto, sabato mattina hanno dato il via all’occupazione, resistendo all’attacco violento delle forze dell’ordine.

Arriviamo a scuola nel primo pomeriggio di domenica, piove e l’apparente immobilità del tempo, si rompe nel liceo occupato dove tutto è in movimento: persone, idee, lotte ed emozioni. All’entrata c’è ovviamente un gruppo di ragazzə che fa il turno di accoglienza. Tuttə indossano la mascherina e misurano la temperatura a chiunque entri nell’edificio, pratica che – come scopriremo poi – non è invece prevista nei giorni ordinari di frequenza scolastica. Ogni persona è quindi invitata a disinfettarsi le mani, utilizzando un dispenser messo a disposizione dalle occupantə proprio accanto al portone d’ingresso. Queste piccole accortezze, che potrebbero sembrare delle banalità, fanno parte di una gestione pensata e coordinata collettivamente che, con grande responsabilità, si pone il problema della messa in sicurezza di chiunque attraversi gli spazi occupati della scuola.

Incontriamo Zoe, Andrea e Lorenzo. Fanno tuttə parte del collettivo del Kant. Cerchiamo un’aula vuota per ritagliarci uno spazio di silenzio, mentre in giro per la scuola ci si prepara all’incontro pomeridiano con Militant A degli Assalti Frontali. Abbiamo rivolto loro delle domande ampie, per dare voce a chi sta animando questa mobilitazione in prima persona.

 

Prima di iniziare, per farci capire meglio da dove parte quest’occupazione, Zoe ci racconta qualcosa sul collettivo e in che modo ha attraversato questi mesi di pandemia

Zoe: quello del Kant è sempre stato un collettivo autorganizzato. Negli anni 2015/16 si faceva rete con le scuole del centro per l’organizzazione delle mobilitazioni. Negli anni in cui sono entrata io eravamo in coordinamento con le scuole di Roma Est, facendo soprattutto azioni sul quartiere di Centocelle. Due anni fa abbiamo organizzato il 25 aprile nel quartiere, anche con la rete antifascista di Roma est. Il collettivo era principalmente gestito dallə ragazze di quarto e quinto, e quando è iniziata la pandemia si è un po’ persa l’organizzazione perché è stato impossibile vedersi. Poi, con la fine dello scorso anno scolastico, lə ragazzə del quinto se ne sono andati. Quindi dopo l’estate abbiamo cercato di riorganizzarci, ci siamo candidatə come rappresentanti d’istituto, perché la voglia di fare c’era, ma mancava un punto centrale da cui ripartire. Abbiamo anche cercato di allargare la partecipazione, infatti il collettivo è attraversato anche da studentə che fanno parte di realtà più organizzate – come la Rete degli Studenti e Osa. Con le scuole del centro abbiamo riallacciato i contatti quest’anno nell’organizzazione delle mobilitazioni per un rientro a scuola in sicurezza e adesso stiamo cercando di ricostruire la rete territoriale dei collettivi con le altre scuole nel quartiere.

 

E quali sono state, invece, le mobilitazioni e le proteste che vi hanno portato a occupare?

Lorenzo: ci siamo mobilitati fin dall’inizio dell’anno scolastico a settembre ma da gennaio le mobilitazioni sono più forti partecipate perché è stato chiaro da subito che non saremmo potuti tornare a scuola con tranquillità. A settembre il rientro è fallito e non si capisce perché non dovrebbe rifallire anche adesso, dato che non è cambiato nulla. I mezzi di trasporto che Regione e Comune dicono di aver incrementato non si vedono molto, quindi non sono abbastanza. Si era detto che ci sarebbero dovuti essere degli steward davanti alle scuole per agevolare l’entrata e l’uscita; così come sugli autobus per mantenere una capienza al 50%, ma queste figure non si sono mai viste. Sul fronte dei mezzi, che è forse il fronte più critico per il rientro, non si è fatto abbastanza sia a livello locale che nazionale. Un rientro in queste condizioni, oltre a non garantire la sicurezza sanitaria perché ci saranno di nuovo le quarantene, i ritardi nei tamponi, dato che non ci sono tamponi prioritari per le scuole, aggrava anche l’aspetto della didattica. Perché se un insegnante risulta positivo vengono messe in quarantena più classi, la quarantena dura per almeno 15 giorni, in base a quanto tempo ci mette la Asl a fare i vari tamponi, e tutto questo pesa sulla didattica.

Per quanto riguarda la nostra scuola, il gruppo classe entra al 50%, una metà rimane a casa perché le aule che abbiamo sono piccole. La scuola però non ha una connessione adeguata per gestire la Dad in questo modo. La preside ha anche richiesto la fibra, ma i tempi previsti non sono brevi.

 

Dall’inizio della pandemia è stato spesso sottolineato come la Covid abbia di fatto esacerbato condizioni di diseguaglianza e ingiustizia sociale che erano però già presenti nella società. In che modo tutto questo ha riguardato il mondo della scuola?

Andrea: oggi lə studente hanno accumulato rabbia, e siamo arrivati a un limite. La situazione in cui ora siamo, dato la Covid-19 e date una serie di altre cose, ha fatto solo emergere quello che avviene da troppo tempo nel mondo dell’istruzione. Le problematiche nella scuola erano preesistenti a Covid-19, ad esempio gli edifici. Gli edifici sono molto vecchi, e non sono più al passo con i tempi, ma non per una questione di moda o di estetica. Questa ad esempio è una scuola molto vecchia, prima mi pare fosse un istituto comprensivo di materna e elementari. Le aule quindi sono molto piccole e noi non possiamo stare con l’intero gruppo classe nell’aula. Questa scuola, dagli anni ’80 a oggi, è sempre rimasta uguale. Non sono mai stati eseguiti lavori sull’edificio.

 

 

Fotogalleria di Ilaria Turini

 

Inoltre la Dad ha accentuato la a-democraticità dell’istruzione, un’istruzione che così è solo per i privilegiati. Ognuno ha le proprie situazioni personali, e non hai sempre la possibilità di seguire. Magari in famiglia ci sono delle difficoltà e non tutti così possono arrivare a raggiungere gli stessi obiettivi di formazione. In più sono stati distribuiti dei device dalla scuola, ma non sono stati sufficienti.

Una delle nostre proposte è che, se dovessimo tornare in una situazione di lockdown e dunque completamente in Dad, lə studentə con situazioni gravose possano venire a scuola con un’autocertificazione straordinaria, per collegarsi e seguire le lezioni, così come possono fare i docenti.

 

Proprio rispetto al rientro a scuola in sicurezza, quali altre proposte state immaginando durante queste giornate di mobilitazione?

Andrea: abbiamo fatto molte proposte, tra cui quelle di utilizzare gli spazi aperti. Prima di occupare ci siamo mobilitati per una settimana utilizzando gli spazi antistanti la scuola, facendo momenti assembleari, facendo venire degli ospiti. Il nostro obiettivo era far vedere che a noi interessa la nostra realtà e la scuola, noi vogliamo formarci come cittadini del mondo. Anche perché ancora di più questa scuola ci prepara a diventare un numero all’interno di un gran meccanismo: hai un voto, hai la didattica a distanza che è un surrogato, ma alla fine dei giochi non ci stanno aiutando a formarci davvero, a costruire degli strumenti critici.

 

Dall’inizio della pandemia, il discorso istituzionale rivolto allə ragazzə della vostra età è stato per lo più assente e caratterizzato da toni per lo più moralisti. Sembra come se un’intera generazione sia stata invisibilizzata dalle stesse istituzioni che se ne dovrebbero occupare. Voi come la vivete?

Andrea: noi siamo abbastanza dimenticati, e forse lo siamo da tanto. Siamo un pezzo di questa società ma non siamo considerati come persone. La nostra socialità, ad esempio, non è mai stata presa in considerazione. Una persona che cresce sola non costruisce gli strumenti che gli serviranno per vivere insieme. Come dicevano i filosofi antichi, siamo degli animali politici e abbiamo bisogno degli altri e della città. E noi adolescenti ne abbiamo ancora più bisogno, siamo sempre più spenti nella nostra individualità. I social, i telefoni e altre piccole forme di dipendenza che possiamo sviluppare per essi, ci portano a stare soli e a uscire dal mondo ‘reale’, creandocene uno nuovo, che porta un’illusione. La pandemia ha solo incrementato quest’illusione che avevamo, il chiudersi in noi stessi senza una relazione con la realtà, senza uno specchio che è il mondo per noi e ha causato tanti problemi, anche psicologici, così come riportato dagli ultimi articoli di giornali sull’aumento dei tentanti suicidi tra gli adolescenti.

Lorenzo: le giovani generazioni sono state sicuramente dimenticate. Hanno provato a fare finta che non fosse così, la ministra Azzolina è da settembre che dice che ci vuole far tornare in classe per garantirci la socialità, però è sempre un racconto superficiale, non c’è mai stata l’attenzione su noi studentə. E infatti lo dimostra questo rientro così raffazzonato. Non siamo stati messi al centro del dibattito al momento della riapertura delle scuole e anche docenti e presidi sono stati tenuti fuori da questo dibattito.

 

Il Kant è la prima scuola in occupazione a Roma durante quest’anno. Ma come funziona un’occupazione in tempi di Covid-19?

Andrea: beh intanto questo è solo il secondo giorno. La mattina facciamo una prima riunione di organizzazione, poi ci sono delle aule studio, dove lə studentə che magari sono più bravi aiutano le altrə se serve. Ci sono delle aule dove si possono svolgere dei corsi, magari di qualcosa di cui uno è appassionato: musica o altre attività artistiche. Inoltre ci sono delle assemblee generali, come questa mattina sulla storia dei movimenti studenteschi, o quella di questo pomeriggio con Luca degli Assalti Frontali. Riusciamo a sfruttare gli spazi all’aperto, che prima non venivano usati, mantenendo sempre le distanze e indossando le mascherine. Così possiamo fare delle attività insieme, con l’intento di sviluppare una coscienza collettiva che ci renda cittadinə del mondo.

Lorenzo: una sfida che ci siamo proposti è quella di dimostrare che noi studentə siamo in grado di garantire le sicurezze di cui abbiamo bisogno in questo periodo di pandemia, noi siamo in grado di farlo, e sotto certi aspetti facciamo anche di più di quello che viene fatto in un’ordinaria giornata scolastica. Normalmente si entra tuttə in massa, non ci sono i termoscanner, mentre noi misuriamo la temperatura a chiunque entra. Ovviamente siamo meno che nei giorni ordinari, ma stiamo creando un modello, mettendoci in prima linea e con un po’ di creatività.

 

Sulla base della vostra esperienza, fatta sia prima dell’avvento di Covid-19 che durante questi mesi, secondo voi che ruolo dovrebbe svolgere la scuola per voi e all’interno della società?

Lorenzo: al di là di questo momento, sarebbe bello se ogni scuola fosse aperta tutto il giorno, lasciando degli spazi per lə studentə, diventando il centro del quartiere. Invece di essere un parcheggio della mattina. Luoghi di studio ma anche spazi per l’incontro, lo scambio e il divertimento. Insomma, un luogo aperto.

Zoe: la scuola è rimasta sempre uguale, a volta esco dalle lezioni e sento che non mi ha lasciato nulla, mi sembrano delle giornate nulle. Noi passiamo tanto tempo in questo spazio, ed è importante che sia uno spazio di confronto, un posto aperto, dove andare il pomeriggio, non solo per lo studio ma anche per la socialità. Per me il collettivo, oltre alla parte politica, mi ha dato tanto anche a livello di socialità, soprattutto in questo periodo in cui è difficile incontrarsi. E questo manca nelle scuole, anche una cosa banale come non poter uscire dalla classe a ricreazione, capisco il non poterlo fare tutti insieme, ma si potrebbe pensare a una turnazione. Così come lasciare a disposizione delle classi per poter studiare il pomeriggio. Noi vorremo dimostrare che può esistere una scuola con noi al centro, non un insieme di nozioni da dover imparare a memoria, ma uno spazio di crescita, di confronto e di formazione.

 

La chiacchierata finisce e si torna al turbinio di cose da fare in questo secondo giorno di occupazione. Nel mentre, è arrivato Militant A e nel cortile interno sono state già posizionate le sedie – tutte a debita distanza le une dalle altre – e ci si inizia a sedere per partecipare al dibatto. La sensazione che ci attraversa, mentre salutiamo le ragazzə e finalmente un po’ di sole illumina il cortile, è che mai come adesso occupare scuola rappresenta una pratica collettiva piena di coraggio e responsabilità condivise. Un atto di cura rivoluzionaria in un presente complesso. Un gesto di autodeterminazione prezioso, che ci riguarda tuttə.

 

Immagine di copertina di Ilaria Turini