MONDO

Israele: nasce il governo dell’annessione

Israele ottiene un governo “emergenziale” che unisce i due principali contendenti, Gantz e Netanyahu. Sullo sfondo uno squallido accordo per togliere terra alla popolazione palestinese e accrescerne lo sfruttamento.

Dopo tre tornate elettorali e 14 mesi di permanente campagna lo stato di Israele ha un nuovo governo. Anche le elezioni di marzo 2020 non avevano portato a una maggioranza solida, perché nessuna delle due possibili coalizioni aveva ottenuto i 61 seggi necessari per riuscire a governare. Da quel momento sono iniziate febbrili trattative, con un ruolo forte esercitato dal presidente della repubblica Rivlin, che non voleva incorrere in una quarta tornata elettorale.

Per qualche giorno, a marzo, si è pure ipotizzato l’impossibile, cioè un governo centrista capeggiato da Gantz che avrebbe avuto l’appoggio esterno della Joint Arab List, la lista che rappresenta i tre partiti palestinesi. Un fatto del genere (i partiti palestinesi che appoggiano il governo) accadde, nella storia di Israele, solo con l’ultimo governo Rabin prima del suo omicidio.

Nessuno saprà mai cosa sarebbe successo se l’accordo fosse stato raggiunto, se un fuoco fatuo di breve durata, incapace di colmare diversità abissali tra i partiti sostenitori, o se il primo governo costretto a considerare come parte integrante del paese la minoranza palestinese da sempre discriminata e segregata. Pochi giorni dopo, 3 deputati di centro hanno dichiarato che non avrebbero votato la fiducia a un governo appoggiato dai palestinesi, la maggioranza a quel punto non c’era più e si è tornati a trattare per costruire un governo.

Alla fine è avvenuto quello che i due rivali principali, Benny Gantz e Benjamin Netanyahu, avevano promesso solennemente di non fare, ossia una Grosse Koalition basata sull’alternanza nella carica di primo ministro ogni 18 mesi. Il primo sarà il falco Netanyahu, il successivo dovrebbe essere appunto Gantz, almeno sulla carta.

 

Entrambi i leader hanno deciso di definire questo governo “emergenziale” a causa dell’epidemia di coronavirus, ma è evidente che è solo un gioco retorico per un governo che gode di una ampia maggioranza (73 seggi) e che pertanto ha buone possibilità di rimanere in carica a lungo.

 

Questa decisione ha portato a una parziale rottura del partito Blu e Bianco di Gantz, alchimia elettorale nata sulle macerie di altri partiti centristi in partenza fieri oppositori di Netanyahu. Infatti, una piccola parte degli eletti si è dichiarata contraria all’accordo ed è uscita dal partito, unendosi così ai gruppi di opposizione, mentre il partito degli ultraortodossi Shas e il Labour  si sono uniti al governo di Netanyahu garantendo pertanto una salda maggioranza.

 

Emek HaYarden, Jordan Valley.

 

Un governo per annettere terre?

Una dei punti centrali dell’accordo tra Gantz e Netanyahu è la ormai celebre annessione di parti della Cisgiordania. La questione è stata ampiamente dibattuta a livello internazionale anche se non è stato presentato nessun piano scritto ma al momento ci sono centinaia di dichiarazioni di intenti intrise di violenta retorica coloniale da parte dei membri del nuovo governo.

 

L’annessione riguarderebbe vasti territori di Area C della Valle del Giordano. Area C sono l’insieme delle zone della West Bank che secondo gli accordi di Oslo rimangono sotto il controllo civile e militare degli israeliani. Sono zone rurali che compongono il 61% della Cisgiordania e includono ovviamente gli insediamenti, in cui vivono circa 400.000 coloni.

 

I palestinesi che vivono in Area C sono circa 300.000, per lo più piccoli agricoltori o pendolari verso le grandi città o lavoratori presso fabbriche e terreni occupati dai coloni. I palestinesi in Area C vivono in condizioni di apartheid esplicito: non possono comprare terre, non possono scavare pozzi d’acqua, non possono produrre energia, non possono costruire strade, non possono costruire o comprare case. I palestinesi in Area C non hanno scuole se non qualche primaria, né ospedali o infrastrutture a loro disposizione.

Vi è un tentativo organico di sottrarre le loro terre e allontanarli con i mezzi a disposizione che vanno dalle aggressioni a mano armata da parte dei coloni, come accade nella zona delle South Hebron Hills, a vari espedienti pseudo-legali. La Valle del Giordano, invece, è una lunga fertile vallata compresa tra le montagne della West Bank (dove ci sono tutte le principali città palestinesi) e il confine con la Giordania,ed è una zona geografica rurale quasi interamente in Area C, tranne l’unica città di medie dimensioni: Jerico.

 

Per dimensioni, è un’area che è pari al 30% dei territori occupati da Israele. È una zona al di sotto del livello del mare, che gode tutto l’anno di un clima semitropicale, un fattore che le permette di essere una inesauribile e costante fonte di frutta e verdura per la popolazione palestinese.

 

Lungo il Giordano vi sono decine di insediamenti di israeliani che hanno la caratteristica di non essere città densamente urbanizzate come le colonie che circondano Betlemme, Nablus o Hebron, ma di essere invece piccoli centri espansi territorialmente per finalità agricole. Infatti i coloni hanno preso possesso di ampi terreni e vi hanno costruito aziende che permettono a Israele di produrre frutta tropicale per 12 mesi all’anno, un tipo di raccolto che sarebbe impossibile lungo le rive del Mediterraneo.

Proprio per questa caratteristica, nelle colonie della Valle del Giordano si producono gli avocado, gli ananas, i manghi e i pompelmi che sono stati spesso target delle campagne di boicottaggio internazionale da parte del BDS movement. Si stima che nella Valle vivano 11.000 coloni israeliani e 65.000 palestinesi, per lo più contadini che hanno sviluppato negli anni importanti reti di solidarietà, vista la loro esistenza precaria.

 

Foto di Paolo Cuttitta. “Gerusalemme. Il muro”, 2009.

 

Cosa implicherebbe l’annessione?

Alcuni commentatori hanno fatto notare che la vita della popolazione palestinese in area C è già estremamente misera e priva di diritti umani fondamentali e la situazione nel quotidiano non cambierebbe molto. La Cisgiordania è un territorio che può già considerarsi de facto annesso a Israele. Paradossalmente l’annessione a Israele potrebbe permettere alcune libertà, ad esempio la possibilità di muoversi anche in territorio israeliano o quella di richiedere diritti sul lavoro per chi è bracciante presso le aziende agricole israeliane.

Si immagina infatti che lo status di questi cittadini possa essere simile a quello degli abitanti di Gerusalemme Est, che sono “permanent resident” di Israele, possono muoversi sul territorio e pure in West Bank ma non godono di nessun diritto di cittadinanza, quasi degli apolidi, e pertanto sono fortemente discriminati oltre che vittime di abusi e controlli. Ad esempio, per loro, atterrare al Ben Gurion Airport è spesso un incubo.

Per qualche analista l’annessione della Valle del Giordano potrebbe dare vigore a una lotta per i diritti civili per tutt* coloro che vivono tra Giordania e Mediterraneo, perché farebbe cadere le ultime illusioni in uno stato palestinese (o farebbe cadere in disgrazia chi ancora oggi lo sostiene) e mostrerebbe in modo evidente la strada dello stato democratico per tutt* come unica via di liberazione possibile.

Potrebbe essere pure una mossa che mette in crisi l’attuale status quo politico tra Israele e Palestina, vigente ormai dalla fine della seconda intifada, che rende l’occupazione “normalizzata” e in qualche modo pure anestetizzata e limita fortemente qualunque trasformazione della realtà.

 

Se ci sono questi rischi, ci si potrebbe chiedere perché Netanyahu voglia perseguire questa strada con tanta determinazione. Il Primo Ministro è un politico sufficientemente furbo da compiere azioni solo quando ha ben misurato il loro effetto. Nello specifico l’annessione permetterebbe al governo una certa compattezza interna data dalla mossa compiuta.

 

Un atto del genere di aggressione ed espansione militare contro il diritto internazionale sarebbe molto utile per compattare le varie componenti della destra israeliana, visto che l’aggressione ai palestinesi è storicamente un elemento unificante. Permetterebbe inoltre al Likud di guadagnare consensi a destra, ed è stata la difficoltà di avere il totale controllo della destra e del voto dei coloni uno dei fattori che ha impedito a Netanyahu di costruire un governo in questo anno e mezzo. Inoltre ci sono ragioni prettamente economiche.

Grazie all’annessione della Valle del Giordano diventerà molto più facile espropriare terra ai palestinesi che vi vivono, un processo per noto agli abitanti di Gerusalemme Est che sono costantemente minacciati di espropri delle proprie case. La differenza sta nel fatto che in questo caso non sarebbero espropriate case e palazzi appigliandosi a un uso strumentale della legge come accade mensilmente nella cosiddetta “città santa”, ma terre fertili che permetterebbero alle aziende dei coloni di allargarsi in modo considerevole.

 

Inoltre si teme che non saranno pochi i palestinesi evacuati e il bilanciamento demografico sappiamo che è una delle preoccupazioni più grandi della destra israeliana, visto che a oggi tra Giordano e Mediterraneo vivono circa la stessa quantità di ebrei e palestinesi, ma questi ultimi sono in forte crescita.

 

I palestinesi che cercheranno di rimanere finiranno per lavorare come braccianti presso i coloni, come accade già oggi per molti di loro e saranno una manodopera molto meno costosa di filippini e thailandesi, che al momento costituiscono la maggioranza degli addetti all’agricoltura,  israeliana lungo il Mediterraneo.

 

Serte Ruiz: Al Khalil Hebron,

 

Il mondo rimane a guardare

L’operazione di annessione non sarebbe senza costi, almeno in apparenza. Abbas promette che con l’annessione si interromperà il programma di cooperazione tra ANP e Israele in questioni di sicurezza e giustizia. Questa collaborazione è molto importante per Israele che può controllare interamente i territori occupati per interposta persona e senza sporcarsi più di tanto le mani. In pochi però credono che un leader vecchio e delegittimato come Abbas farà davvero una mossa di questo tipo, anche perché è sempre ricattabile con i fondi delle tasse dirette che vengono amministrate interamente da Israele e vengono poi girate in parte e sotto condizioni alla ANP che le usa come sua fonte interna di sostentamento.

Più problematica potrebbe essere la reazione del Regno di Giordania, che minaccia di mettere fine agli accordi di pace storici nei confronti degli israeliani e che ha sicuramente paura di un afflusso di palestinesi all’interno dei propri confini come conseguenza dell’annessione. Bisognerà vedere se saprà passare dalle parole ai fatti.

 

Sempre a livello internazionale l’Europa ha minacciato ripercussioni, ma anche qui visto l’atteggiamento storico benevolo nei confronti di Israele si può dubitare che qualcosa accada, mentre Trump è convinto sostenitore dell’annessione e una delle ragioni per cui avverrà durante il 2020 è cogliere il periodo della presidenza attuale negli USA.

 

Di certo l’annessione renderà manifesto ancora una volta il violento laboratorio ultraliberista di sfruttamento, controllo e contenimento della popolazione che ha luogo in Israele e Palestina. Il governo riuscirà ancora una volta a trovare appigli tra il legale e il militare per sfruttare maggiormente terre, popolazione e risorse. In questo modo Tel Aviv potrà controllare, usare, discriminare e in parte espellere la popolazione non ebraica e permettere il dominio della propria élite composta da ex militari di alto grado, sull’economia e la società.

L’unica speranza risiede nel fatto che è una manovra spudorata e brutalmente contraria al diritto internazionale e potrebbe generare reazioni interne ed esterne. Queste, a loro volta potrebbero generale nuove sollevazioni, o percorsi di lotta innovativi come potrebbe essere una campagna transazionale per i diritti civili e la fine dell’Apartheid che più di qualche palestinese comincia a desiderare.

 

 

Foto di copertina, Palestina Gaza strip en 2015, Beit Hanoun. Foto Jordan Valley pubblicata da heatkernel su  Flick in Creative Commons. Foto del Muro di Gerusalemme di Paolo Cuttitta pubblicata su Flickr. La terza immagine nell’articolo è di Serte Ruiz, titolo: Al Khalil Hebron, pubblicata in Creative Commons, Attribution 3.0