Interregno europeo

“Cosa significa, allora, pensare al processo costituente europeo, oltre e contro l’Europa neoliberale della catastrofe?”

Dopo le giornate francofortesi di Blockupy e la mobilitazione europea dello scorso week-end ad Atene, una riflessione in 7 punti a partire da Europa tedesca di Ulrich Beck.

Dopo il successo delle mobilitazioni francofortesi e di ritorno dai Dialoghi di Trani, quest’anno dedicati a “L’Europa dopo l’Europa”, mi sono imbattuto nella lettura dell’ultimo lavoro del sociologo tedesco Ulrich Beck, Europa tedesca. Alcune riflessioni sul testo sono utili a rilanciare l’immaginazione costituente, risorsa decisiva per prendere congedo dalla catastrofe in cui siamo immersi. Procedo per punti.

1. Il testo di Beck aiuta a ribadire una verità che in Italia, ahimè, è agitata, oltre che dai movimenti, dal solo Berlusconi, a volte da Grillo. L’Europa reale, non quella desiderata da Spinelli, è segnata da una Costituente neoliberale che ha per epicentro la Germania della Bundesbank e della Cdu. Non esistono in Italia politici e intellettuali socialdemocratici, perché Beck è un convinto socialdemocratico, capaci di affermare con forza questa verità e di essere, nella prassi, ad essa conseguenti. Quando Berlusconi chiede di battere i pugni sui tavoli europei della trattativa (il Consiglio di fine giugno), lo fa semplicemente per rafforzare il suo consenso, dell’Europa non si è mai curato troppo. Ma la risposta di Epifani e Letta rivela un servilismo e una miopia senza precedenti. Rispondere alla crisi con più Europa significa mettere all’angolo la Merkel e Weidmann. I movimenti che lo scorso 31 maggio hanno bloccato per una giornata intera la sede della Bce e in generale la city francofortese conoscono bene questa necessità; altrettanto, a leggere Beck, gli esponenti più illuminati del dibattito socialdemocratico tedesco. La fine ingloriosa della sinistra politica italiana si misura, in primo luogo, sull’incapacità di affrontare l’Europa reale per quella che è.

2. Nel definire i tratti distintivi della mossa neocoloniale tedesca, Beck insiste sull’esitazione della Merkel. La Cancelliera, ribattezzata (ingiustamente per Machiavelli) «Merkiavelli», usa l’esitazione, il rinvio delle decisioni che contano (aiuti finanziari, Unione Bancaria, eurobonds ecc.), per domare i Piigs e, soprattutto, per sottometterli e qualificare una nuova geografia del potere in Europa. Nel mio Rivolta o barbarie ho descritto questa pratica governamentale come un “dispositivo kafkiano”. Proprio nelle pagine del Processo che più prefigurano, sottolinea Deleuze nel suo famoso Poscritto, il passaggio dalle società disciplinari a quelle del controllo, emergono in primo piano le figure dell’«assoluzione apparente» e del «rinvio». Ripercorrendo il dialogo inquieto tra il pittore Titorelli e Joseph K., infatti, si ha davvero la sensazione di afferrare la verità dei vertici europei, della loro cronica inconcludenza. Il «differimento illimitato» agevola l’uso neoliberale della leva del debito: le cicale indebitate del Sud non possono far altro, per evitare l’uscita dall’euro, che comprimere salari e redditi, svendere public utilities e demolire il welfare. Intanto, e a distanza di 3 anni comincia a chiarirlo anche il Fmi, mentre il saccheggio prende corso, si usa il tempo per mettere in salvo i capitali della Deutsche Bank (e non solo).

3. Merito di Beck è raccontare con onestà quello che è accaduto nell’ultimo decennio nel mercato del lavoro tedesco, a maggior ragione nel momento in cui la Germania si vanta di esser vicina alla piena occupazione. Chi ha frequentato la Germania e i movimenti tedeschi, o semplicemente ha letto con attenzione Vita da freelance di Sergio Bologna e Dario Banfi o La fabbrica dell’uomo indebitato di Maurizio Lazzarato, non apprende nulla di nuovo. Ma è buona cosa che siano le parole di Beck a raccontare la verità del governo rosso-verde di Schröder: con Hartz IV (ex responsabile delle risorse umane di Volkswagen, Peter Hartz fu ministro del Lavoro del governo Schröder) la Germania ha precarizzato selvaggiamente il mercato del lavoro, passando, almeno per i giovanissimi, da un sistema di welfare assai solido ad uno, spietato, di workfare. Espansione e deregolamentazione del lavoro interinale, minijobs, concessione dei sussidi di disoccupazione solo in cambio di un controllo invadente e della disponibilità ad accettare lavori sottopagati (la media salariale è di 6 euro lordi l’ora). Si tratta di 6,5 milioni di tedeschi, il 20% della forza-lavoro.

4. Europa tedesca di Beck, ma ho sentito dire le stesse cose al filosofo francese Étienne Balibar (leggi qui) lo scorso 22 maggio alla Sapienza, propone il concetto gramsciano di «interregno» per descrivere la Costituente neoliberale a regia francofortese (e berlinese). Nel descrivere la crisi successiva alle Grande guerra, scrive Gramsci nei Quaderni:

“se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più “dirigente”, ma unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.”

La pura forza coercitiva, oggi, è quella della moneta e del debito; l’ideologia che smette di fare presa è l’utopia neoliberale (“arricchitevi!”, “siete tutti proprietari, imprenditori di voi stessi!”); ciò che ancora sembra non poter nascere, l’Europa democratica. Riferimento perspicuo dunque, utile a descrivere l’Europa della catastrofe.

5. Beck non ha dubbi, l’integrazione europea che manca è quella orizzontale, quella che solo i movimenti, dal basso, possono determinare. Una spinta costituente che, ottimisticamente, può e deve incontrare quella degli «architetti dell’Europa»: Draghi, Barroso, Van Rompuy, Dijsselboem. Contrapporre gli «architetti» europeisti alla Merkel e alla Bundesbank è un’operazione alquanto ambigua, oltre che poco verosimile. Eppure l’insistenza sul ruolo dei movimenti giovanili, dei precari come del ceto medio impoverito, segnala un’apertura che difficilmente è riscontrabile nell’intellettualità socialdemocratica italiana, che, quando raramente ha qualcosa da dire, preferisce ricordarci il valore della forma-partito, della legalità e del patriottismo costituzionale. La solita merda.

6. Proprio quando l’apertura politica di Beck si fa più coraggiosa, mettendo al centro della scena costituente i movimenti, la proposta scricchiola. Grattando la parola movimenti, si ritrova, inservibile, la nozione di individuo e, con essa, quella rousseauiana di contratto sociale. La bussola normativa del rischio (il crollo dell’euro) rilancia il percorso democratico-rappresentativo moderno, dislocandolo, semplicemente, sul terreno transnazionale. Senza le lenti del conflitto tra nuove forme del lavoro vivo e capitale (in particolare quello finanziario), il discorso socialdemocratico di Beck, come quello di Habermas d’altronde, slitta rapidamente nell’orizzonte politico liberale i cui attori fondamentali sono il cittadino e la società civile.

7. Cosa significa, allora, pensare al processo costituente europeo, oltre e contro l’Europa neoliberale della catastrofe? Mi convince fino in fondo l’espressione utilizzata da Sandro Mezzadra in risposta a Étienne Balibar e alla sua proposta di «rifondazione dell’Unione»: «campagna costituente». Una molteplicità di fatti costituenti capaci di riqualificare il nesso tra tumulti e democrazia, tra rotture e invenzioni istituzionali. Protagonisti di questa campagna non possono che essere i movimenti dei poveri, intendendo con la nozione di pauper il lavoro vivo al tempo della Costituente neoliberale. Nulla a che fare con l’individuo del contrattualismo moderno. Dalle lotte contro la privatizzazione dei sistemi formativi alle tante, seppur frammentate e fragili, resistenze precarie, dalle lotte dei migranti per la cittadinanza e contro la fortezza europea alla difesa dei beni comuni e dei territori: nella tessitura europea (meglio, euromediterranea) di questi fatti occorre far crescere, consapevoli che i tempi saranno tutt’altro che brevi, una campagna capace di rifondare l’Unione su basi nuove. Tornando a Gramsci, per concludere, vale la pena soffermarsi sulla tensione positiva che caratterizza la sua fugace riflessione sul concetto di interregno: «si può concludere che [nell’interregno] si formano le condizioni più favorevoli per un’espansione inaudita del materialismo storico». Gramsci insiste sulla necessità di una nuova egemonia culturale e ideologica, ma si sa che non c’è materialismo storico senza lotta di classe. L’Europa dopo l’Europa sarà esito di questa, rinnovata, lotta, o non sarà.

10/06/2013

Pubblicato su HuffingtonPost