MONDO

In India non si ferma lo sciopero agricolo contro Modi

Dalla notte del 25 novembre i contadini e le contadine indiane sono in sciopero permanente. Lo sciopero è stato proclamato dal Bharat Kisan Union – BKM – e vi hanno aderito più di 400 sindacati. Un blocco sociale che si prepara a sostenere la propria battaglia contro il Governo guidato dal primo ministro Narendra Modi e dal Bharatyia Janata Party – BJP – fino al ritiro delle nuove leggi sul mercato agricolo. Le parole rivolte da un contadino alle telecamere della NDTV «this is a revolution, sir» stanno prendendo forma nelle maree umane in sciopero

Dall’alba del 26 novembre il settore agricolo indiano è in sciopero. Contadini e piccoli proprietari terrieri si sono riappropriati dello spazio pubblico per ottenere l’eliminazione delle nuove leggi sul mercato agricolo approvate dal Governo indiano guidato dal Bharatyia Janata Party – BJP – di Narendra Modi nel mese di settembre.

Il testo legislativo elimina il sistema di determinazione dei prezzi dei prodotti agricoli, istituito a metà anni ’70 in seguito alle mobilitazioni del settore agricolo, e smantella il sistema d’intermediazione commerciale tra produttori ed acquirenti statali e privati. Il progetto di liberalizzazione distrugge il sistema economico informale consolidatosi tra contadini e mediatori, aprendo le porte alla grande distribuzione e alla svendita delle terre agli oligopoli industriali. La forza-lavoro è per lo più composta da lavoratori informali, i quali rischiano di perdere le condizioni minime di sostentamento garantite dal lavoro della terra. Per questo, il settore agricolo ha chiamato a raccolta le forze produttive del paese per il Bharat Bandh – sciopero generale.

 

Già a settembre, contadini e piccoli proprietari degli Stati settentrionali del Punjab e dell’Haryana fecero sentire la propria voce organizzando sciopero spontanei. Nell’Haryana la sollevazione ha prodotto numerosi blocchi stradali, repressi con immediata violenza dalle bastonate della polizia.

 

Dopo questa prima fase, le sigle sindacali unite sotto il Bharat Kisan Union – BKU – hanno dichiarato sciopero generale nazionale per il 26 novembre con le parole d’ordine Delhi Chalo – Andiamo a Delhi. Alla chiamata hanno risposto più di 400 sindacati. Tra gli assenti si registra la significativa defezione del sindacato Bharatyia Mazdoor Sangh – BMS – affiliato al BJP.

Lo sciopero è emerso come un fiume umano alle prime luci del 26 novembre. Decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori del comparto agricolo hanno abbandonato il lavoro per mettersi in marcia verso Delhi a piedi e con i trattori. La situazione si è fatta incandescente negli Stati del Punjab e dell’Haryana. Il primo ministro dell’Haryana ML Khattar – in quota BJP – ha disposto la chiusura dei confini dello Stato per evitare gli spostamenti dal Punjab all’Haryana, ingaggiando un braccio di ferro mediatico col suo corrispettivo Amarinder Singh – primo ministro del Punjab, espressione del partito del Congresso.

 

Nelle strade i contadini hanno affrontato con fermezza i blocchi stradali della polizia, divelto le transenne sui ponti, tagliato i fili spinati e resistito ai getti degli idranti. Circa un centinaio di sindacalisti sono stati arrestati con le accuse di assembramento illegale, tentato omicidio e violenze contro la polizia.

 

Tra questi spicca il nome di Navdeep Singh, il ragazzo che saltò sul blindato della polizia per fermare il cannone ad acqua «perché stava facendo del male ai propri compagni». Ora Singh rischia l’ergastolo.

Quelle del Punjab e dell’Haryana sono state solo delle parti dello sciopero nazionale. A Kolkata, nel West Bengal, lo sciopero ha raccolto centinaia di migliaia di adesioni durante le manifestazioni ed è riuscito a bloccare il trasporto ferroviario statale; in Kerala e Tripura i sindacati comunisti della Centre of India Trade Union – CITU – dichiarano la riuscita dello sciopero totale; nel Tamil Nadu, l’intero comparto dei guidatori di risciò si aggrega allo sciopero. Nel Karnataka e nel Tamil Nadu si registrano più di 500 sindacalisti arrestati. Ad Hyderband – nel Telengana – la polizia ha registrato i discorsi dei sindacalisti per arrestare chiunque abbia incitato alla violenza; nell’Uttar Pradesh la polizia minaccia di arrestare tutti i sindacalisti che hanno aderito allo sciopero.

La frammentarietà geografica dello sciopero, dovuta alla pandemia Covid-19, lascia disorientati per quantità numerica e qualità politica. I numeri diffusi dalle sigle sindacali parlano di oltre 250 milioni di partecipanti, replicando così il risultato dell’ultimo sciopero generale dell’8 gennaio 2020. Nelle piazze emerge una composizione spuria. L’eterogeneità è il comune denominatore delle piazze in lotta nel subcontinente: tech-workers, impiegati del comparto bancario, dipendenti pubblici, autisti e ferrovieri si fanno trovare compatti nelle rivendicazioni di piazza.

Durante la giornata del 26, i toni si fanno incandescenti in conseguenza alla negazione del permesso di entrata a Delhi dagli Stati circostanti. La polizia minaccia di adibire nove stadi della città a prigioni a cielo aperto per chiunque avesse valicato il confine.

 

È qui che la marea di contadini ammassata ai confini della città-Stato blindata ha mostrato la propria genuina ostinazione: c’è chi dichiara che è un problema loro, che lo sciopero bloccherà le arterie della capitale fino a quando non si ritireranno le leggi e c’è chi dichiara alle telecamere «non è una manifestazione, questa è una rivoluzione».

 

La consapevolezza della potenza del blocco delle forze produttive si materializza nella calma disarmante dei contadini che dichiarano “abbiamo provviste per sei mesi. Quando finiranno non avremo problemi a procurarcene altre». Il contraltare è rappresentato nervosismo diffuso della polizia di New Delhi che si affretta a individuare gli attivisti in piazza per porli in stato d’arresto preventivo dove lo sciopero ha preso vita nelle piazze della città. Arvind Kerjriwal – primo ministro di Delhi – conscio dell’insostenibilità della linea dura dei confini chiusi, concede ai manifestanti di entrare nella capitale il 27 novembre.

Lo sciopero eccede lo spazio e il tempo che si vuole ritualizzato. La mobilitazione continua a oltranza a Delhi, animata dal fare conviviale dei manifestanti e dalla gioia dei canti di lotta che scandiscono il passare delle ore. Il Governo è impotente nel marginalizzare la sollevazione e quindi ricorre all’apertura di un tavolo di contrattazione per il giorno 3 dicembre, nella speranza che si calmino gli animi.

I calcoli del Governo sono però sbagliati. I sindacalisti agiscono il doppio livello della mobilitazione restando nelle piazze e portando la propria fermezza nei palazzi del potere. Non è possibile nessuna deroga alle loro richieste. Non si mangia nemmeno il cibo offerto dal Governo: «il Governo ci ha offerto il pranzo, ma abbiamo detto categoricamente ai ministri che mangeremo il cibo cucinato dalle nostre cucine di comunità». Il tavolo è solo uno strumento per dar forza alle lotte, non la chiusura della mobilitazione.

Lo spauracchio della repressione di Modi e camerati non intimorisce più chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene: lo sciopero non è che l’atto di ripresa delle sollevazioni contro il fascismo di Stato del BJP.