ITALIA

Illegittimità di frontiera

Da Taranto all’isola greca di Samos, da Lampedusa a Messina, a Pozzallo, da Malpensa a Fiumicino, così si viola il diritto d’asilo. Le violazioni documentate dal lavoro di Asgi lungo lo spazio giuridico mediterraneo: le espulsioni illegali nelle aree portuali ed aeroportuali e i trattenimenti oltre misura e contra legem negli hotspot, sulle navi, in altri luoghi ritenuti “idonei”.

L’incendio avvenuto qualche giorno fa all’interno dell’hotspot di Moria sull’isola greca di Lesbo e nel cui rogo sono morte due persone non solo ripropone questa tragedia come l’esito diretto delle politiche dell’Unione Europea, che nel 2016 firmando un accordo con la Turchia ha previsto il blocco dei flussi migratori verso l’Europa e dunque il sostanziale confinamento dei richiedenti asilo nelle isole greche dove arrivano.

Ma, allo stesso tempo, quest’ultima tragedia riporta al centro del dibattito il tema della frontiera come spazio a “geometria variabile”, come tale quindi modificabile secondo diversi modelli di legalità. In tale scacchiera i paesi periferici dell’Ue si affiancano ai paesi terzi vicini nel costituire un cordone securitario,  determinando strategie di “governance” delle migrazioni costantemente fluide e mobili. A partire da una categoria, quella di hotspot come dispositivo mediterraneo, inteso qui, seguendo la riflessione foucaultiana, come un insieme, tra le altre cose, di «istituzioni, misure amministrative, strutture architettoniche, discorsi, leggi, decisioni regolative».

Il dispositivo, dunque, è proprio la rete, la connessione che si stabilisce tra questi elementi. Tutti peraltro presenti all’interno dell’approccio hotspot. Per mediterraneo, invece, si intende, qui, lo spazio politico-geografico all’interno del quale se ne svolgono gli esiti, tuttora parziali, di un progetto di ricerca comparato condotto lungo la linea di frontiera dell’Europa meridionale e orientale, tra Italia e Grecia, con uno sguardo, però, anche a quanto accade lungo il Mediterraneo allargato.

Il metodo è quello dell’Asgi. L’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che, specie negli ultimi anni, dopo aver dato vita alla scuola di alta formazione per operatori legali, sviluppando sinergie con realtà come Action Aid e associazioni come Spazi Circolari, ha attuato diversi progetti di monitoraggio delle frontiere dell’Unione con un approccio multidisciplinare, nella convinzione non solo «che il diritto appare uno strumento necessario ma non sufficiente per comprendere a pieno le trasformazioni in corso», ma che è necessario utilizzare, accanto agli strumenti strettamente giuridici, linguaggi e saperi che abbiano a che fare con l’antropologia, la sociologia, l’etnopsichiatria». Anche se nel frattempo accade, spiegano ancora dall’organizzazione, che «la rappresentazione mediatica contenga un taglio prevalentemente umanitario, con i temi che hanno a che fare con il diritto e con le sue violazioni che vengono invece marginalizzati».

 

Il progetto di monitoraggio e ricerca si chiama In Limine, ed è proprio l’analisi del modello hotspot contenuta nei diversi report fin qui prodotti che dimostra quanto le categorie giuridiche da sole non bastino, visto che le prassi applicate concretamente, infatti, eccedono continuamente quanto previsto dalla normativa, in una direzione complessivamente peggiorativa.

 

In altri termini: la differenziazione arbitraria tra richiedenti asilo e migranti economici, insieme all’aumento delle pratiche di trattenimento extra legem, dimostrano plasticamente tanto in Italia quanto in Grecia che le prassi arbitrarie orientano il comportamento della polizia nell’escludere intere nazionalità (tunisini, marocchini) dalle misure dell’asilo, ciò al di fuori di ogni previsione legale. Non solo.  Da oggi, promette il Ministro Di Maio presentando il testo del “decreto sui rimpatri” sarà possibile anche rimpatriare velocemente le persone che provengono da Marocco e Tunisia, oltre che da altri 11 paesi considerati sicuri, cioè, Algeria, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina.

 

Una ulteriore stretta sull’asilo, dunque, al tempo del governo giallo-rosso. Tornando alle prassi, invece, le misure amministrative, ad esempio, definiscono regimi di trattenimento al di là della stessa normativa vigente.

 

È quello che accade lungo la frontiera mediterranea da quando l’approccio hotspot è stato istituito dalla Commissione Europea a partire da maggio 2015. A ogni modo: «Abbiamo finora documentato diverse vicende caratterizzate da violazioni gravissime. Come quella che ha riguardato le persone che sono sbarcate il 29 giugno scorso a Lampedusa dopo essere state trattenute in mare per 17 giorni a bordo della nave Sea Watch, le quali sono rimasti ulteriormente trattenuti per 12 giorni, illegalmente, nei locali dei centri hotspot di Lampedusa e Messina», racconta una delle operatrici legali del progetto In Limine Adelaide Massimi. E ancora: «Perché proprio questa vicenda rende urgente interrogarsi su quello che avviene dopo gli sbarchi, quando nelle regioni del sud Italia, dove viene applicato l’approccio hotspot, spesso, vengono violati i diritti fondamentali dei cittadini stranieri, a cominciare dal diritto alla libertà personale e dal diritto di asilo, entrambi di rilievo costituzionale».

Continua Massimi: «Emblematico in questo senso è ciò accade a Lampedusa, dove se i cittadini stranieri chiedono alle forze di polizia e ai militari di poter uscire dal cancello, gli viene chiaramente risposto che l’uscita non è possibile». E poi prosegue così: «Siamo di fronte a forme di trattenimento illegale, nei fatti accertate e accettate da tutti o quasi gli attori – pubblici e privati – che sono inquadrati all’interno del governo delle migrazioni, all’interno di quei luoghi simbolici e anche fisici dove le autorità di polizia, gli operatori degli enti di tutela, i funzionari delle agenzie europee contribuiscono a produrre e riprodurre vere prassi di detenzione».

A tutto ciò si aggiunge che con la legge 132/2018 è stata prevista la possibilità di trattenere i richiedenti asilo negli hotspot per finalità di identificazione e verifica della nazionalità e dell’identità e, di fatto, secondo la stessa  legge in pratica «ogni luogo in Italia potrebbe diventare un carcere per  migranti considerati irregolari», come aveva lamentato qualche mese fa il Garante nazionale detenuti.

 

Mauro Palma, infatti, aveva avvertito che «si sta introducendo un nuovo modello di trattenimento per gruppi sociali, che rischia di violare le garanzie di tutela della libertà personale, perché non vi sono contenute in primo luogo garanzie sui contatti delle persone con gli enti di tutela, i familiari, i legali».

 

«Ed è proprio ciò che accade, spesso, nelle zone di transito dei maggiori scali aeroportuali del nostro Paese», dice l’operatrice legale di Asgi Annapaola Ammirati, anche lei impegnata nell’ambito delle attività del progetto In Limine, che ha la base a Catania, nella stessa città che ospita Frontex, la polizia europea che presidia le frontiere esterne dell’Unione. Ammirati ci racconta una storia che appare emblematica rispetto a una lesione effettiva del diritto d’ingresso dei cittadini stranieri.

«Alla fine dell’estate un cittadino straniero che rientrava in Italia dopo aver passato alcuni mesi nel suo paese di origine è stato trattenuto nell’area di transito dell’aeroporto di Roma Fiumicino, dopo che all’ingresso in territorio italiano aveva esibito il suo permesso di soggiorno per lavoro subordinato e la ricevuta attestante la richiesta di rinnovo dello stesso». Nei fatti, racconta Annapaola Ammirati: «è accaduto che la polizia di frontiera lo ha trattenuto nell’area di transito per una notte e un giorno, dopo avergli notificato la decisione con la quale il Questore della sua città di residenza rifiutava il rinnovo del permesso di soggiorno e, successivamente, in pratica contestualmente, un decreto di respingimento diretto emesso dalla polizia di frontiera motivato dall’assenza di documentazione valida per l’ingresso in territorio italiano». Il cittadino è stato respinto, dunque, rimpatriato immediatamente senza aver avuto nemmeno la possibilità di incontrare un avvocato e senza che la limitazione della libertà personale fosse stata mai convalidata dall’autorità giudiziaria.

Eppure, ricorda ancora Ammirati, «in un caso analogo, accaduto, però, all’aeroporto di Milano-Malpensa, la corte d’Appello di Milano aveva dichiarato illegittima tale prassi con la sentenza n. 1292/2018, ricordando come il cedolino di rinnovo, unitamente al permesso di soggiorno scaduto, costituisse documento valido per l’ingresso nel territorio nazionale». Infine, lo stesso Garante nazionale per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale, attraverso la pubblicazione il 27 giugno scorso di un report relativo alle visite effettuate presso gli aeroporti di Fiumicino e Malpensa, aveva imposto di «interrompere da subito i respingimenti immediati dei cittadini stranieri che rientrano in Italia con un titolo di soggiorno nazionale in corso di validità». Specificando, inoltre, che «in nessun caso le aree di transito possono essere considerate zone di sospensione dei diritti sotto il controllo esclusivo della Polizia». Più in generale – aggiungiamo noi –  in nessuna area di frontiera, di terra o di mare, possono essere sospesi i diritti.