ROMA

Il Volturno non è un fiume

C’è qualche cosa di terribile nelle foto scattate subito dopo la “liberazione “ del Volturno. Aperte quelle porte, in questi anni di occupazione mai chiuse alla città, ci si è accaniti con i martelli pneumatici .

Quali altrettanti armi di distruzione di massa sono entrati in azione per far saltare piastrelle e sanitari; fare a pezzi le “sedute” e gli arredi giunti fin sotto quelle volte dopo un felice e serrato confronto con docenti e studenti della facoltà di Architettura di Valle Giulia che hanno progettato e realizzato come “vivere quello spazio; per spanciare e mettere a terra tutto quello che pareva essere stato pensato e prodotto in questi anni di occupazione. Installazioni artistiche comprese.

Ci si è accaniti contro le mura perché chi lo ha fatto (e chi ha ordinato che lo facessero) non vuole che i muri possano essere abitati. I muri, tutti i muri, debbono servire per dividere, per segnare un confine, dare evidente consistenza materica di spazio a chi ha deciso cosa deve stare dentro e cosa fuori. Ovunque.

Quando le mura, si aprono alla città, questo diviene ancora più intollerabile.

Perché chi la città abita, è il più formidabile degli architetti ed il più sagace degli amministratori praticando l’arte di fare domande invece di balbettare risposte.

Uno spazio come il Volturno deve essere allora chiuso e tenuto nel frigorifero di chi lo ha acquistato da un fallimento per rafforzare in modo virtuale, così come i meccanismi finanziari richiedono, il proprio patrimonio con cui acquisire (è questo il caso della nuova proprietà di questo spazi) una squadra di calcio?

E’ una domanda che il Sindaco Marino e il Prefetto Pecoraro non si sono certo posti. Come se ciò non riguardasse la città. Come se fosse una questione “proprietaria” .

Né si sono posti, con tutta evidenza, il cercare di capire come quello che avveniva da tempo in quel luogo fosse proprio una risposta ad una città che anche come servizi culturali non offre nulla se non spettacoli gravati da impossibili e insostenibili pedaggi monetari.

Soprattutto per giovani, studenti, precari, disoccupati e, tariffe alla mano, non solo per questi.

Andare al Volturno come andare al Valle e in molti altri spazio occupati rappresenta una forma indiretta di reddito per chi ne è privato con tanta ferocia.

Un reddito riconquistato e reso possibile proprio da mura come queste, che tengono insieme conoscenze, competenze, saperi e sogni; i soli capaci di costruire anche l’immaginario di questa città al posto delle “cariche” delle “poltrone” dei “finanziamenti” degli “oboli” delle “elargizioni”…

Qualche giorno fa il Sindaco (?) Marino ha trovato parole di plauso per il nuovo Parco di Cinecittà, quello che, tra pochi giorni, aprirà sulla Pontina con “attrazioni per tutti i gusti”. Quello basato sulla “memoria e sulle scenografie” come ha ricordato il ministro Franceschini.

Marino ha inteso questa marmellata edilizia, spalmata su 23 ettari, con cui i padroni dell’industria cinematografica hanno deciso di sostituire il Cinema con il suo “feticcio”, come una risorsa.

Ancora una volta non ha fatto domande; si è accontentato delle risposte che si è trovato di fronte.

Forse è successo lo stesso quando, sentendo parlare, dal Comitato per l’Ordine Pubblico, del Volturno deve aver pensato, che si trattasse di affrontare problemi idrogeologici di quel fiume “garibaldino”.

Per Roma il Volturno non è un fiume ne può tornare ad essere l’indicazione toponomastica di un ex cinema.