ITALIA

Il tempo della piazza. A Taranto si riapre la partita sull’ex-Ilva

La città ridiscute l’accordo di programma. Il 31 luglio la decisione sul futuro dello stabilimento: la piazza punta a ribaltare il piano del governo. La battaglia approda in Consiglio comunale. In arrivo lo snodo decisivo dell’AIA

Dentro il rovente luglio di Taranto: la contesa è aperta.

Una crepa nel copione

Il tempo, in politica, è una risorsa decisiva. Può essere mobilitata con le finalità più disparate. Nelle politiche ambientali, il rinvio è una tecnica collaudata per non intervenire davanti all’avanzare della crisi climatica. A Taranto, in questo momento, il tempo gioca un ruolo del tutto differente. Il rinvio al 31 luglio della decisione sull’accordo di programma in tema di ex-Ilva non ha una mera dimensione procedurale: è un’apertura politica. Indica uno spazio di possibilità.

Per i movimenti e per quella parte di città che immagina un futuro radicalmente diverso dalle macerie del presente è una buona notizia.

Un primo prodotto della mobilitazione collettiva che può permettere di allargare lo scenario e sperimentare nuove alleanze. In questa direzione, la mobilitazione convocata per il giorno precedente ha avuto un ruolo di primo piano.

Il 14 luglio, la piazza ha fatto irruzione nella partita. Davanti a Palazzo di Città, il presidio convocato da Giustizia per Taranto ha portato in strada una composizione larga, plurale, arrabbiata. Generazioni, contesti, storie diverse. Soprattutto: un’atmosfera elettrica, come non si respirava da tempo. Le parole d’ordine si alternano: c’è chi urla “chiusura!”, chi evoca le barricate, chi se la prende con lə protagonistə istituzionali della vicenda – Michele Emiliano è il più citato. Ma la postura della piazza è chiara: rigettare l’accordo così come prospettato dal governo. Riaprire una partita che sembrava chiusa. Costruire – qui e ora –  una discontinuità radicale.

Il giorno dopo, nessuna firma è stata apposta. È stata accolta la richiesta del sindaco Bitetti di sottoporre la decisione al Consiglio comunale, convocato per il 30 luglio. Nel verbale si individua anche una commissione tecnica, incaricata di valutare le opzioni progettuali. Per la città è una boccata d’ossigeno. Il tempo guadagnato è molto prezioso. Può consentire di cambiare i termini della discussione.

Cos’è l’accordo di programma e cosa prevede

L’accordo di programma è lo strumento con cui le pubbliche amministrazioni disegnano il futuro dell’ex-Ilva e della città. Il suo impatto giuridico diretto è limitato: sono altri gli atti – a cominciare dall’Autorizzazione Integrata Ambientale – che definiscono concretamente la cornice operativa dell’impianto. Ma l’accordo ha una funzione politica fondamentale: cristallizza i rapporti di forza del presente e prova a renderli orizzonte di governo. Dentro ci sono scelte produttive, traiettorie tecnologiche, margini di compromesso ambientale e occupazionale.

Il contenuto dell’accordo è variato più volte. La versione attuale prefigura la cosiddetta decarbonizzazione dell’impianto, con la realizzazione di forni elettrici. La fonte di alimentazione – e quindi il ruolo della nave rigassificatrice da collocare nel porto – è parte fondamentale della contesa. Gli scenari tecnici sono cambiati più volte, ma rimangono allarmanti secondo associazioni ambientaliste ed espertə. Nella forma attuale – per quanto migliorata rispetto al “prendere o lasciare” presentato dal governo solo poche settimane fa – il piano non disegna una transizione complessiva fondata sulla giustizia ambientale e sociale.

La variabilità dell’accordo, modificato in corsa sotto pressione, ne svela la natura flessibile. È un campo negoziale, non un esito obbligato. Anche per questo il rinvio al 31 è significativo: mostra che l’accordo può essere ancora ridiscusso. È il segno che la piazza può incidere.

Le ragioni del conflitto

Nella percezione comune in città, l’ex Ilva è un dispositivo tossico. Non solo per l’ambiente, ma anche per la vita politica, economica e culturale della città. La proposta di accordo attualmente in discussione non viene percepita come un’occasione di rottura sostanziale col passato.

I problemi sono due, distinti ma in dialogo. Il primo riguarda la configurazione produttiva disegnata. L’accordo è visto come un tentativo di normalizzare la presenza dell’ex-Ilva, in una congiuntura in cui la chiusura dello stabilimento – sotto il fuoco incrociato di crisi ambientale, produttiva, finanziaria – appare per la prima volta concretamente possibile. Il secondo riguarda gli impatti specifici del piano proposto: la decarbonizzazione ipotizzata comporterebbe nuovi e differenti rischi ambientali.

A rendere più complessa la partita, c’è il nodo dell’AIA – l’Autorizzazione Integrata Ambientale – in discussione nella Conferenza dei Servizi del 17 luglio: è in assoluto il passaggio decisionale più importante dal punto di vista degli effetti che può produrre. È il provvedimento che autorizza il funzionamento dell’impianto e si esprime sull’attuale assetto produttivo. L’AIA di cui si discute continua a basarsi sul carbone. Il rischio è che venga approvata in fretta, rendendo cogente la continuità industriale e chiudendo ogni spazio di transizione reale. Con l’AIA approvata, l’accordo di programma sarebbe, di fatto, subordinato al suo contenuto.

Nelle prossime settimane si gioca una partita decisiva come poche nella storia recente della città. Dal punto di vista delle piazze, non si tratta di sommare sigle o ricostruire fronti organizzativi tradizionali. La posta in gioco è più ampia: come consolidare un “noi” plurale – sufficientemente largo da includere tutte le soggettività disposte a mobilitarsi per la giustizia ambientale? Quali parole d’ordine possono avere un impatto espansivo? Come evitare che distinguo e protagonismi indeboliscano una dinamica che, per ora, appare promettente? Il passaggio in Consiglio comunale del 30 luglio potrebbe innescare nuove convergenze.

L’investitura del Consiglio comunale, chiamato a discutere dei contenuti dell’accordo di programma, ha una valenza politica simbolica e materiale. Non si tratta solo di un passaggio formale, ma della possibilità concreta di rimettere al centro della vita istituzionale i destini della città. L’iniziativa dellə consiglierə che hanno chiesto al sindaco di non firmare l’ultima versione dell’accordo ha giocato un ruolo cruciale nella riapertura della partita: ha segnalato che esiste uno scarto tra la linea governativa e una parte della rappresentanza territoriale, attenta alla pressione esercitata dalla mobilitazione.

Anche se, com’è evidente, il Consiglio comunale non è un’istituzione di partecipazione diretta, può diventare, in questa fase, un luogo in cui si esercita una forma di democrazia sostanziale. Questo può avvenire se non si limiterà a ratificare decisioni prese altrove, ma svilupperà una discussione aperta, profonda, sulle alternative possibili per la città. Perché questo accada, è utile immaginare forme creative di connessione tra piazza e aula consiliare: confronti pubblici, audizioni, assemblee informali, strumenti che rendano permeabile e aperto un processo che non può richiudersi nel recinto della tecnica.

Cosa insegna Taranto alle lotte ambientali

Come spesso accade, la partita che si gioca a Taranto supera i confini della città. Non è in discussione solo un impianto industriale inquinante, ma la possibilità di affermare una politica dell’ambientalismo capace di radicarsi anche in contesti e conflitti apparentemente distanti. A Taranto, oggi, la giustizia ambientale non si limita a una critica esterna, etica o testimoniale. Entra nel merito della contesa, rivendica spazio decisionale, ambisce a determinare l’esito del confronto.

Il punto di forza della mobilitazione è la capacità di tenere insieme una direzione strategica chiara – la chiusura delle fonti inquinanti – con parole d’ordine flessibili, capaci di tradursi in obiettivi intermedi, che prefigurano e anticipano l’obiettivo finale.

Il rifiuto dell’attuale accordo di programma può rappresentare una di queste: una piattaforma in grado di tenere dentro posizioni diverse, anche parziali, accomunate dalla volontà di superare l’attuale modello produttivo. È una postura che non si limita a commentare dall’esterno. Segnala un metodo di intervento politico. La piazza dimostra che le decisioni non sono blindate neanche quando sono presentate come tali. Che gli atti istituzionali sono contendibili. Che la mobilitazione può modificare il corso delle cose.

La contesa è aperta

Il 14 luglio, per la città, è uno snodo carico di tensione simbolica. Evocare la presa della Bastiglia fa sorridere, per ora. Ma Taranto, città di tumulti profondi, ha più volte mostrato che la storia può riaprirsi anche quando sembra bloccata. Anche stavolta, la faglia è netta: da un lato chi difende la continuità produttiva; dall’altro chi prova a praticare una discontinuità sociale e politica ad ampio spettro.

Un dettaglio racconta bene il momento. Ogni sera, dal Castello Aragonese, l’inno nazionale viene diffuso dagli altoparlanti. Il 14 luglio, per un attimo, ha coperto le voci della piazza. L’effetto è straniante. Ma poi la piazza ha ripreso ritmo e voce. È l’immagine plastica dello scontro in corso: da una parte il dispositivo nazionale – governo, ministeri, apparati – impegnato a garantire la continuità produttiva a ogni costo. Dall’altra, una città che non accetta l’accordo e prova a riscrivere le condizioni del presente.

L’accordo di programma, se osservato dal cuore della piazza non è un mostro intoccabile. Non è nemmeno un elemento dato. È una tigre di carta: il contenuto è cambiato più volte. Può ancora essere ribaltato. I prossimi giorni saranno decisivi. Il 17 luglio si discutere l’AIA: è uno snodo decisivo. Il 16 e il 21 luglio sono convocati nuovi appuntamenti pubblici. Il 30 si riunisce il Consiglio comunale. La contesa è aperta. E si può vincere.

Immaginare l’accordo come una tavolozza bianca, più che come un testo da emendare, è un utile esercizio collettivo. Significa non limitarsi a migliorare ciò che propone il governo, ma pretendere di definire nel complesso le condizioni, la cornice, il futuro della città. Lo scenario della chiusura delle fonti inquinanti – per la prima volta – è percepito come una possibilità concreta. È un’immagine che suggestiona. Può essere allo stesso tempo affascinante e drammatica. Può ridefinire il futuro di Taranto su coordinate radicalmente diverse. Ma non accadrà senza l’energia che è tornata in circolo. Il tempo – almeno per ora – lo ha conquistato la piazza. Ora si tratta di usarlo con intelligenza collettiva e coraggio.


L’immagine di copertina è di DimiTalen, da wikicommon

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