Il sogno di San Lorenzo

Sembra un paese, lo dicono tutti. Eppure, a ben guardare, il ritmo del suo cambiamento fa impressione.

“Io non me ne ero accorto” ha detto l’ottico che ha chiuso in Via Tiburtina. “Stavo tutto il giorno al negozio, non mi sono reso conto di quanto è cambiata San Lorenzo finché non mi sono affacciato..”. L’ottico ha dovuto chiudere, smontare il negozio e dare la merce invenduta in beneficenza piuttosto che pagarci le tasse.

Al posto dell’ottico? Una sala scommesse. A due passi, la quasi storica sala giochi “Money Games”.

Al civico seguente è spuntato il Compro Oro, le insegne ben visibili, l’interno molto meno. Prima del sottopasso che porta alla Tiburtina fino a poco tempo fa campeggiava un maxi-cartellone che recitava “Bilancia? Ascendente Bufala! Evita le truffe, sceglia A Peso D’Oro”.

I compro oro, come le sale scommesse e i casinò, sono lo specchio della crisi. Le banche non concedono prestiti, e le famiglie si vendono i gioielli: nel 2012 quasi il 30% degli Italiani lo ha fatto (contro l’8,5% del 2011). Una crescita stimata intorno al 25% dal 2009 al 2012 su base nazionale, un settore molto poco regolamentato che si è quadruplicato negli ultimi due anni, a causa del bisogno di liquidità e per l’impennata del prezzo dell’oro. Le attività di “compro-oro”, spesso irregolarmente registrate, sono terreno facile per le infiltrazioni mafiose, funzionando come attività di copertura per il riciclaggio di proventi illeciti. Sul proliferare degli esercizi “compro-oro” e sul rischio usura come effetto della restrizione dell’accesso al prestito bancario, il rapporto Italia Eurispes 2012 lancia l’allarme.

Anche a San Lorenzo, tra i commercianti c’è chi conferma un significativo ritorno dei “cravattari”.

Via degli Equi: Videobuco, storica videoteca “bagaglio cinematografico che lo ha fatto diventare tempio di adorazione dei pellegrini cinefili”, come lo definisce Dario, il proprietario che dopo 17 anni ha ceduto la gestione per trasferirsi a Berlino. Perchè? “Ho visto sparire tanti piccoli centri culturali, botteghe artigianali, negozi storici a gestione familiare e alcuni posti a cui ero particolarmente legato (ad es. Disfunzioni Musicali). Sostituiti prevalentemente da posti dove mangiare un panino veloce o comprare una birra da bere poi in strada. Insomma hanno cominciato a mancarmi i punti di riferimento e il senso di appartenenza. Quello che vedo più in generale è che Roma cambia ma non in meglio. Si tiene il suo antico patrimonio storico e culturale che inevitabilmente richiama e continuerà sempre a richiamare i turisti. Ma ai cittadini cosa offre? Dove sono le novità? Dove le proposte culturali originali e valide? Il mio rispetto e stima a chi ci prova, io però intanto sono emigrato a Berlino.”

Non a caso, c’è chi parla di “desertificazione urbana”. Secondo il rapporto Confesercenti dal 2002 al 2012 il numero medio di esercizi al dettaglio è crollato del 24,3 per cento.

Interessante a questo proposito il commento del Censis: “Il problema non è solo economico, ma anche culturale: tornare indietro non sarà possibile, le città – ma anche i commercianti – dovranno inventarsi qualcos’altro per dare ai quartieri una nuova rete sociale e di salvaguardia del territorio”.

Non va sicuramente in questa direzione il progetto di Grandi Stazioni (controllata al 60% da Ferrovie dello Stato e al 40% da Eurostazioni Spa di cui fanno parte il gruppo Benetton, il gruppo Caltagirone, il gruppo Pirelli e la Société Nationale des Chemins de Fer, che ha vinto l’appalto, insieme a Rf ) per la Stazione Tiburtina, dove si vorrebbe realizzare un mega-centro commerciale con il raddoppiamento dell’area commerciale di 10mila metri, con nuove volumetrie delle zone commerciali già assegnate e non a caso ancora ferme. Così Marcucci sul progetto: “Grandi Stazioni avrebbe presentato un progetto alle Rfi, mi domando quali sono gli interlocutori se né il Municipio né l’assessorato all’Urbanistica ne sa nulla. Questa è un’ipotesi spaventosa che finirebbe per arrecare ulteriore danno ai negozi intorno alla stazione”. Il progetto originale per la Stazione Tiburtina prevede inoltre la destinazione di mille metri quadri al Comune, da dividere tra Municipio III e Municipio V; mille metri quadri che allo stato attuale dei lavori non si sa dove siano andati a finire. Quello che sarebbe dovuto diventare un centro importante di servizi per i cittadini si sta trasformando nell’ennesimo centro commerciale, a due passi da San Lorenzo.

Nel quartiere, sono ben dodici i progetti di speculazione edilizia che si vorrebbero realizzare trasformando vari edifici storici in palazzine residenziali, come il progetto di demolizione e ricostruzione del palazzo dell’ex Fonderia Bastianelli al cui posto è prevista una nuova costruzione di venti metri con tre piani sotterranei.

Questo nella città capitale delle case vuote, preda dei palazzinari e della cementificazione selvaggia, in cui gli affitti sono diventati insostenibili non soltanto per gli studenti e per i lavoratori precari, i primi a fare le spese della speculazione e dei tagli al welfare.

Nel quartiere c’è chi resiste: le attività commerciali indipendenti, le librerie, i bar, il Bar Marani, ancora un saldo punto di riferimento per la socialità sanlorenzina, il macellaio, qualche enoteca e vineria di qualità, lo storico locale Rive Gauche sebbene dimezzato, i negozi di alimentari, i casalinghi, i molti artisti, la bottega della ciclofficina lungo le mura per citarne alcuni. Quando chiuderanno le attività storiche di San Lorenzo, quelle che non sopravvivranno alla generazione degli attuali proprietari, quale volto avrà il nuovo? Ancora anonime paninoteche, take away e fast food? Mi colpisce ogni volta l’etichetta sulla porta a vetri del take-away sulla Tiburtina: “Don’t cook, just eat”.

Non-luoghi di transizione e di passaggio, da cui prendere soltanto, prendere e portare via, altrove, luoghi adattati al un modello della socialità della movida notturna, quella che invade il quartiere ma non lo vive.

E ancora, tra quelli che resistono, le associazioni, il Grande Cocomero, la palestra popolare, gli spazi occupati sottratti alla speculazione, laboratori di sperimentazione e di produzione culturale dal basso, luoghi di socialità e di confronto, di dibattito e di crescita politica collettiva. La San Lorenzo creativa, la San Lorenzo dei cittadini, dei residenti, la San Lorenzo del Cinema Palazzo, che non solo sopravvive, esiste e resiste, ma che nella contingenza e nella ferita del presente continuamente trova la spinta creativa, re-inventa la città, gli spazi, le pratiche culturali e le lotte sul territorio, una dimensione che si fa costituente, interroga il diritto, creando lo scenario di un cambiamento cercato e condiviso, contro una trasformazione urbana imposta dalla prepotenza dei poteri forti.

Esperimenti e pratiche sul territorio che nulla hanno a che vedere con la vuota conservazione del passato come ideale identitario, ma che anzi sono immerse nel presente e partecipi nella costruzione del futuro. Esperienze territoriali che hanno tutto da insegnare alle vuote promesse e alle false soluzioni attuate dalle amministrazioni cittadine con un indirizzo di non-intervento piegato agli interessi economici di pochi contro quelli di molti. Non si risolvono i problemi del quartiere con le camionette della polizia, con i centri commerciali, con progetti invasivi di speculazione edilizia, con le sale scommesse o i “compro-oro”: piuttosto bisogna partire da un’analisi più profonda, per determinare le scelte amministrative verso la creazione un modello di città basato sulla partecipazione, attraverso nuovi strumenti di democrazia diretta, per la riqualificazione culturale, sociale ed economica del territorio.

Il Nuovo Cinema Palazzo per parlare del futuro del quartiere di San Lorenzo, di autogoverno e costruzione del Comune ha convocato un’assemblea per sabato 16 dal titolo eloquente: “Verso la Libera Repubblica di San Lorenzo”

Il 26 febbraio alcuni cittadini di San Lorenzo hanno proclamato l’intenzione di dichiararsi indipendenti, dando così vita alla “Libera Repubblica di San Lorenzo”

Una Provocazione? Una Follia? Forse tutto questo ma anche tanto altro, proviamo a costruirla nell’unico modo possibile… TUTTI INSIEME.

La Libera Repubblica di San Lorenzo

“Che bravi voi, cittadini che lottate contro i progetti di speculazione del quartiere!”

“Che forti voi che create spazi di democrazia diretta!”

“Che bravi che siete voi che avete occupato il Cinema Palazzo!”

“Bravi, però ora ci pensa la Politica”

Questa volta non ci caschiamo!

Le cose migliori che sono avvenute in questo quartiere le ha decise e praticate la cittadinanza. Non possiamo permetterci di perdere un altro giro, non possiamo permetterci di accettare ancora false promesse. San Lorenzo non le merita. San Lorenzo ha una storia, un tessuto sociale che parla di autorganizzazione, di solidarietà e partecipazione.

In questi giorni vediamo come si stanno muovendo tutti i partiti (nuovi e vecchi) alla ricerca di consensi; dovremmo avere la capacità di rispondere:

Questa volta decidiamo noi

Attraversiamo queste elezioni per superarle. Siamo noi cittadini i veri protagonisti dei legami che ci uniscono, siamo noi a tessere le relazioni essenziali alla comunità. L’impegno dei cittadini in questo territorio è continuo: non è limitato al voto. Possiamo, semmai, utilizzare il voto come dispositivo, mai come fine.

Dobbiamo avere la capacità di tessere legami tra le battaglie: da quella sulla cultura a quella sugli spazi pubblici, da quella sull’ambiente a quelle sulla sanità e a quelle su un’economia territoriale messa a dura prova dalla crisi. Dobbiamo creare il nostro progetto di autogoverno.

Costruiamo insieme la Libera Repubblica di San Lorenzo partendo da quello che siamo. Creando strumenti che governino il territorio, che abbiano capacità di decisione e di veto sulle scelte dell’amministrazione municipale. Che siano strumenti veri di democrazia diretta.