Il patto Bersani-Monti: basterà?

Il segreto di pulcinella della campagna elettorale e la prospettiva dell’ingovernabilità.

Facite ammuina e ammuina la fecero. Bersani e Monti, dunque, dopo aver corso su e giù per la nave per dar spettacolo di efficienza gli occhi del pubblico, si sono assettati e riprendono un dialogo, interrotto da Monti per sottrarre voti a Casini, messo in sordina da Bersani per impedire a Vendola di perdere la faccia troppo in fretta. Adesso il dialogo lo vogliono i mercati e lo vuole l’Europa, lo impone la rincorsa minacciosa di Berlusconi. Bruxelles preme su Monti, Berlino su Bersani.

In termini alti c’è la spiega storico-epocale: C. Galli afferma che il Pd «deve essere parte, per poi costruire un nuovo insieme», all’insegna dell’emergenza, di «una politica responsabile che tiene insieme un pezzo di destra e di sinistra ed esclude la politica irresponsabile a diverso titolo». Ok, poi chi pensa che la storia sia la marcia del denaro, non del Dio hegeliano, sulla terra potrebbe rilevare, con basso quoziente di sorpresa, il favore di Della Valle, Guzzetti e Bazoli per l’accordo Monti-Bersani, soprattutto nei tempi calamitosi della crisi internazionale e del fallimento Mps. Chi, infine, ragiona raso terra potrebbe malignare che è saltata la scommessa calcolata su un piccolo consolidamento di Berlusconi, sufficiente a motivare un accordo fra Monti e Bersani tale da rendere Vendola non condizionante ma senza correre il rischio di un ritorno del Caimano: In quel caso si poteva continuare a simulare una competizione aspra per raccattare voti rispettivamente a destra e sinistra delle coalizioni e, all’interno delle stesse, per emarginare gli alleati minori (Sel e Casini). Adesso, però, con la rincorsa del Cav. e le inquietudini europee bisogna anticipare quanto si sarebbe detto a urne chiuse e ammettere formalmente un’alleanza che prima era stata enunciata in termini di principio da parte di Bersani (anche se avessi il 51% mi comporterei come se avessi il 49% –linea di ascendenza berlingueriana più che churchilliana) e negata da uno spavaldo Monti, che pretendeva addirittura di puntare alla maggioranza relativa. Adesso si è arrivati al dunque e trionfa la logica implicita del Porcellum: una coalizione spuria per evitare una grande coalizione che comprenda anche Berlusconi. Senza che Monti escluda di appoggiarlo, nel caso piuttosto improbabile che il Cav. ottenesse il premio di maggioranza alla Camera. Anzi, in caso di ingovernabilità Fini non ha neppure nascosto l’intenzione di un accordo dei tre poli su riforme costituzionali e misure economiche emergenziali.

Non sarà un’operazione indolore, come sogna Gad Lerner: «Monti è destinato alla convivenza con Vendola, Fassina e Camusso, per il bene dell’Italia». Su Fassina e Camusso non so, i conti possono essere regolati all’interno del Pd (meno della Cgil), ma su Vendola –che non ha proprio dimostrato un’astuzia diabolica– non ci metterei la mano sul fuoco. Si porterà a casa un pacchetto di parlamentari, ma subalternità ed esclusione dal potere saranno innegabili. Monti rinuncerà volentieri a un’improbabile premiership in cambio della testa di Vendola e quest’ultimo si sarà giocato a sua volta una possibile leadership della sinistra. Il leader di una Sel ormai ben al di sotto del 4% dichiara di fidarsi del suo partner. È che altro può fare, si difende –concede pietoso Franceschini. Per questo giro, una Syriza italiana non ci sarà. E sui diritti civili, sia Monti o Casini l’interlocutore, stendiamo un velo pietoso.

Ma i problemi per l’alleanza Bersani-Monti, che tutti i sondaggi indicano inaggirabile, non sono pochi. Tutto da vedere, intanto, se al Senato i numeri saranno sufficienti e il Pdl non conservi un potere di veto. Poi verrà il tempo della manovra di primavera e di una nuova ondata di tasse e sacrifici (le favole le stanno raccontando anche loro, solo che sono meno colorate). Le strette di mano di Bersani con Schäuble prendono atto che in Germania ci sarà una grosse Koalition, non una vittoria smagliante dei socialdemocratici (comunque assai moderati e poco keynesiani) e che anche Hollande avrà le sua gatte da pelare con Cee e speculazione dei mercati, per non parlare di quella cosuccia in Mali. Tutto lascia pensare che le votazioni non saranno risolutive e che nel giro di alcuni mesi si profili una seconda scadenza elettorale, magari con un Porcellum rabberciato eliminando la regionalizzazione del premio di maggioranza al Senato. L’infame legge è troppo comoda per escludere i partiti minori e per controllare i candidati, nessuno infatti ne ha inserito l’abolizione nelle molto strombazzate agende del primo Consiglio dei ministri. Quanto agli interventi programmatici, il rifiuto pieddino di toccare la riforma Fornero dell’art. 18 e delle pensioni e il decentramento contrattuale non creerà certo problemi con Monti, ma con l’insofferenza popolare e l’andamento della crisi sì. Fiscal compact e pareggio di bilancio, idem. Su tutto il resto, le buone (non sempre) intenzioni saranno contrastate dalla mancanza di finanziamenti discendente dalle scelte finanziarie di fondo di cui sopra. Si scoverà immancabilmente un “buco nero” nei conti, prevedibile quanto gli alti lai di Berlusconi sui “brogli elettorali” per spiegare il mancato sorpasso.

In conclusione, la campagna elettorale è pervenuta a una svolta brutale che anticipa la fase post-elettorale e il suo probabile carattere di intermezzo rispetto a ulteriori chiarificazioni. Non dimentichiamo che in quell’intermezzo cadrà anche l’elezione del Presidente della Repubblica…