Il Mito del ’45

Una sapiente narrazione sugli anni gloriosi della ricostruzione britannica. Ma serve alle sinistre di oggi?

Proprio qualche giorno fa, il giovane leader laburista britannico Ed Milliband ha promesso che in caso di vittoria alle prossime elezioni congelerà le tariffe di luce e gas, dichiarando guerra alle sei big company che gestiscono i servizi energetici, accusate di voler “ingrassare i profitti”. Questo impegno si accompagna al progetto di confiscare le terre inutilizzate dai grandi proprietari per consentire alle amministrazioni locali di portare avanti i propri piani di edilizia popolare. E alle due mozioni, approvate al congresso del partito celebratosi a Brighton qualche giorno fa, che addirittura chiedono che poste e ferrovie tornino sotto il controllo statale.

Tutto ciò accade a pochi mesi dall’uscita di “Spirit of ’45” di Ken Loach. Proponendo filmati d’archivio e interviste a lavoratori e testimoni dell’epoca, Loach documenta la vittoria laburista alle elezioni del 1945, che consentì di far nascere il welfare britannico. Furono conquiste straordinarie che sancirono diritti sociali fondamentali: venne istituito il sistema sanitario nazionale, si procedette alla ricostruzione postbellica garantendo il diritto alla casa, si nazionalizzarono miniere e ferrovie. La pellicola scorre lungo tre capitoli immaginari, tre diversi movimenti che dividono i 90 minuti di racconto in parti quasi uguali.

Dapprima c’è l’Inghilterra tra le macerie. Il paese è stremato dalla Seconda guerra mondiale. Ma la povertà ha radici profonde: è dal primo confilitto, quello di trent’anni prima, che non ha mai smesso di aumentare. Il paese si prepara ad affontare quelle che John Maynard Keynes ha definito amaramente le conseguenze economiche della pace: i laburisti propongono di sostituire la spesa pubblica della guerra con gli investimenti dello stato sociale e della ricostruzione. Loach sottolinea come lo spirito del ’45 sia la prosecuzione con altri mezzi del sacrificio bellico, evidenzia una sorta di presa di coscienza degli uomini in divisa, marca la relazione tra la guerra al fascismo e quella alla povertà, tra le macerie dei bombardamenti della Lutwaffe e i ruderi dei quartieri popolari.

Eccoci arrivati al secondo movimento, in cui le parole commosse dei testimoni ripercorrono la nascita del compromesso fordista: lo stupore di una mamma per non dover pagare le visite mediche dei suoi bambini; la gioia di un operaio nel vedersi assegnata una casa degna; le contraddizioni dei minatori, costretti ad un lavoro infame anche quando il padrone è diventato lo Stato; l’efficienza del pubblico rispetto a privato nella gestione del traffico ferroviario. Pare una rivoluzione epocale. Eppure, la parabola del governo laburista è più rapida di quanto si pensi: il premier Clement Attlee si insedia al numero 10 di Downing Street sostenuto da una maggioranza di 145 seggi nel 1945. Cinque anni dopo il Labour ottiene solo cinque deputati in più dei Tories: uno scarto risicato che dodici mesi più tardi porterà la sinistra a soccombere. Dunque, lo spirito del ’45 produce la consapevolezza di diritti e l’orgoglio della ricostruzione ma non inaugura affatto un’epoca di sucessi per le sinistre: i laburisti sono confinati all’opposizione per altri quindici anni. Anche se il film non lo dice. Per usare le parole dello storico Steven Fielding sul Guardian “il film di Loach dovrebbe essere intitolato ‘Il mito del ’45’ perché spaccia fantasia, sebbene questa sia salutare di questi tempi, duri per le persone di sinistra”.

“Spirit of ’45” va letto in questa chiave, tutt’altro che riduttiva: è la sapiente costruzione di un mito che riesce a tenere insieme sentimento patriottico della ricostruzione e i diritti sociali. E che si sforza di far ritrovare l’orgoglio perduto alla sinistra britannica. Per rafforzare questa costruzione, Loach si serve del villain per eccellenza, dell’antagonista privilegiato. La terza ed ultima mezz’ora del film comincia con la vittoria di Margaret Thatcher, che sale al potere citando San Francesco d’Assisi e porta avanti la sua missione distruggendo lo stato sociale e privatizzando il privatizzabile. Riportando il paese ai livelli di povertà di questi anni.

Tutto questo accadeva nel 1979. Il salto temporale funziona dal punto di vista narrativo, nel senso che ci consente di invidivuare il nemico e di convogliare la nostra tensione emotiva, ma non non aiuta a capire come la controrivoluzione neoliberista abbia potuto travolgere diritti e garanzie. Per farlo davvero bisogna ricostruire velocemente cosa accade tra il secondo ed il terzo movimento del film: nel lasso di tempo che intercorre tra il 1945 di questo film e il 1979 della Lady di Ferro, che ha fatto da sfondo ad un vero e proprio filone cinematografico sulla sconfitta dei buoni della working class: a partire dal trittico composto da “Riff Raff”, “Piovono pietre” e “Ladybird Ladybird” fino a – citiamo tra i tanti – “Grazie signora Thatcher”, “Full Monthy”, “Billy Eliott”, “This is England”.

Il Partito conservatore per anni non osa contravvenire allo spirito del ’45. Ancora nel 1974, per di più, i laburisti si impegna a mettere in atto un “cambiamento fondamentale e irreversibile dell’equilibrio del potere e della distribuzione della ricchezza a favore dei lavoratori e delle loro famiglie”. Accade tutt’altro: di fronte all’esplosione del mosaico coloniale, l’impero in disfacimento si rifugia dietro le mura della City, la città londinese della borsa e del capitale finanziario: le politiche monetariste finiscono per devastare il bilancio pubblico e sancito de facto la restaurazione. Ciò accade prima della vittoria della Thatcher e mentre i laburisti cercano di governare, senza trovare il bandolo della matassa, l’epoca dei sacrifici. Nel 1976, a meno di 24 mesi dalla vittoria di Pirro elettorale dei progressisti, il primo ministro laburista Harold Wilson chiede un prestito al Fondo monetario internazionale, sottomettendosi all’accettazione di politiche di austerità che spalancano le porte all’era dei conservatori.

Questo bisogna trovare il modo di raccontare, gettando nel calderone cose che il buon Ken Loach non considera: il ruolo della finanza, le debolezze delle sinistre, lo scenario postcoloniale. Altrimenti ci troveremo ancora a stupirci per il fatto che, nonostante le premesse, Ed Milliband quando arriverà al governo farà la fine di Tony Blair.