Il Lambretta rioccupa!

Un nuovo ciclo di occupazioni a Milano si scontra con il modello Pisapia e il ridisegno della città per l’Expo 2015

Sabato 24 il Lambretta ha rioccupato le 4 villette in piazza Ferravilla 11 che erano state sgomberate circa un mese fa. Questa la fredda cronaca degli avvenimenti. Ma la rioccupazione del Lambretta non è solo la liberazione di uno spazio pubblico abbandonato e lasciato in balia dello spaccio d’eroina, è soprattutto una risposta alla “”politica dei bandi” della giunta Pisapia, al modello di sviluppo della città che l’Expo 2015 sta imponendo.

Il comune di Milano ha sbandierato ovunque la prossima messa a bando di oltre mille spazi di sua proprietà per associazioni, privati, artigiani, aziende, gruppi di cittadini ecc ecc, proponendo la partecipazione agli stessi ad alcune realtà sotto sgombero o sgomberate (come fatto dal Sindaco al l’assemblea in piazza dopo lo sgombero di Macao).

<<>>Proviamo a sgombrare il campo da equivoci: i bandi comunali sono altro dagli spazi autogestiti non sono uno strumento per farli uscire dalla precarietà ed in generale non sono un qualcosa che parla di loro e della loro storia. Questa giunta non ha ancora mostrato alcuna reale volontà di dialogo con le realtà occupate cittadine.Come dicevo i bandi sono altro, un altro probabilmente (per esprimere un giudizio complessivo sulla vicenda bisognerà attendere la pubblicazione dei testi) anche utile ed interessante, un altro aspettato da tempo ma altro.>

In questo scenario è bene ribadire come l’occupazione sia una pratica non solo legittima ma anche necessaria sia per quel che riguarda l’ottenimento di spazi fisici sia per quel che riguarda la denuncia pubblica di affari lontani dall’utilità comune. In una città che si sta preparando ad ospitare Expo 2015, con tutte le trasformazioni speculative del territorio che si accompagneranno ad esso , la pratica dell’occupazione è una forma radicale di rivendicazione di diritto e di denuncia pubblica che non può essere dismessa affinchè le politiche di governo del territorio e le speculazioni su e intorno ad esso non passino sotto silenzio.

Nelle scorse settimane il capoluogo lombardo non ha visto solo la caduta di Formigoni ma ha visto anche entrare in scena la gestione dell’ordine pubblico del nuovo questore Savina. Gestione scellerata che ha portato diversi feriti tra lo sgombero di una casa a San Siro e la mattanza al rave di Cusago Milano e che ha portato ad una prova di forza nei confronti della giunta Pisapia accelerando i tempi dello sgombero del Lambretta 1.0.Si potrà ben capire che la La rioccupazione del Lambretta mette a nudo alcuni punti scoperti della governance di Milano: tra la grande partecipazione dal basso e il pugno di ferro nella gestione dei conflitti

Il Lambretta, Macao e Piano Terra aprono un ciclo di nuove occupazioni nella metropoli che da un lato trasforma l’idea di centro sociale (così come gli avevamo conosciuti fino alla seconda metà degli anni ’90), dall’altra mette in discussione le mani sulla città delle solite cricche di potere economico-politico, e sviluppa una dialettica conflittuale con il governo della città (intesa come metropoli e non solo come Milano e i suoi confini geografici) e del territorio annesso.

In una sorta di continuità queste nuove realtà si collocano, in maniera certamente differenziata da caso a caso, all’interno del variegato movimento milanese riuscendo anche a diventare tredunion con altre soggettività attive nel territorio (associazioni, comitati inquilini, gas, ecc ecc ecc). Questa ricchezza si scontra con la pavidità della giunta Pisapia, ed in alcuni casi recupera al protagonismo politico parte di quella società civile che poco meno di due anni fa si attivò per lanciare la corsa all’attuale sindaco della città. La voglia di partecipazione è alta, è il governo della città che la mortifica.

Mi permetto di puntualizzare un’ultima cosa ricordando che l’elezione di Pisapia ha certamente aperto una nuova fase politica a Milano, fase che però non ha aperto un dialogo bi-direzionale governo della città – movimento/cittadini/comitati ecc ecc ma al limite uno sterile dialogo mono-direzionale dal basso verso l’alto. Dialoghi viziati dalla pavidità di una giunta che non prende posizione netta quasi su nulla e s’incastra in un pindarico tentativo super partes che fa si che venga promossa pubblicamente la politica del bando, tanto per usare nuovamente quest’esempio, come strumento orizzontale d’assegnazione di contributi e spazi, tenendo sotto silenzio i rari casi d’assegnazione diretta che in quest’anno e mezza di governo sono stati realizzati.

L’assegnazione diretta è una forma di riconoscimento pubblico da parte del governo della città del valore di una data esperienza, è quindi chiaramente anche una presa di posizione. La metropoli milanese dal basso, dei movimenti e della partecipazione (quella vera) è viva e la sua vita è assolutamente autonoma ed indipendente dalle istituzioni che sempre più dimostrano, a qualsiasi livello, la loro distanza da desideri e bisogni dei cittadini e la loro subalternità ai poteri forti.