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Il cuore meticcio dell’OM

Il racconto di una trasferta sugli spalti de l’Olympique de Marseille.

L’appuntamento con Damien è al boulevard Michelet, fuori il Velodrome, lo stadio bomboniera di Marsiglia, a pochi chilometri a sud del porto vecchio. E’ lui il nostro gancio per entrare nel cuore del tifo dell’Olympique Marsiglia. Damien ci aspetta nei pressi di un punto ristoro improvvisato che sforna salsicce e spilla birre a volontà. Sta chiacchierando insieme a un gruppo di tifosi che sembra uscito da una scena di Hooligans: quasi tutti maschi, bianchi, tra i 30 e i 40 anni. Molti indossano Levis’s corti e scarpe Adidas, ma anche cappelli e toppe della nota marca di street wear Stone Island, il cui simbolo – la rosa dei venti – negli ultimi anni ha contaminato le curve di tutta Europa. Tatuaggi di un certo lignaggio spuntano da camice, felpe e giubbotti molto casual e poco appariscenti. Molti di loro fanno parte del Commando Ultrà 1984, storico gruppo ultras antifascista e antirazzista della curva Sud, gemellati con i Sampdoriani, livornesi e greci dell’AEK di Atene. Il loro slogan di battaglia è “Partout et toujours, seuls contre tous”.

Noi siamo in cinque: quattro semi-turisti da Roma e la nostra amica italiana, trasferitasi da due anni a Marsiglia. Damien ci riconosce, ci saluta cortesemente e, in un buon italiano, va subito al sodo: “Ho saputo che alcuni di voi tifano Lazio”. Ovviamente, ce lo aspettavamo. Nel giro di pochi minuti, gli spieghiamo che, dalle nostre parti, questa anomalia (laziali e “di sinistra”) è diventata un po’ meno rara di quanto si immagini. Gli adesivi dei “laziali antifascisti” che gli doniamo sciolgono definitivamente le residue riserve.

La fermata della metro, a ridosso dello stadio, rovescia centinaia di tifosi pronti alla sfida. Bande di giovanissimi bianchi, magrebini e meticci, bambini e famiglie, tutti acchittati di biancoceleste o arancione, secondo colore del club. C’è un’aria di festa e di rilassatezza ben distante dalla militarizzazione e il clima plumbeo che si respira ogni domenica attorno agli stadi italiani. Dipenderà anche dalla partita non di cartello contro i giallorossi del Lens (quint’ultimi in classifica) o dal fatto che non esiste un’altra squadra rivale in città, ma la gestione dell’ordine pubblico sembra molto discreta, senza alcuna esibizione muscolare.

Al primo ingresso dobbiamo esibire gli abbonamenti (offerti con generosità dal gruppo); al secondo troviamo i tornelli, simili a quelli della metropolitana romana, ben diversi dalla gabbia di metallo presente all’Olimpico. Subito dietro, gli addetti ai controlli personali, steward di entrambi i sessi. Di polizia nemmeno l’ombra.

L’ingresso in curva è emozionante, un po’ per il campo a ridosso degli spalti, un po’ per il calore che si respira tra i tifosi. Ci avviciniamo a un banchetto che vende sciarpe, magliette e felpe, su cui spicca l’effige del “Che”. Si tratta dei South Winners 1987, il gruppo ultras che occupa la parte alta della curva Sud, segnata dall’utilizzo di “pezze” con il colore arancione predominante. Come bambini al luna park, ci prepariamo al più feroce consumismo compulsivo. Incrociamo però lo sguardo di Damien, che in modo cortese ci fa presente la posizione contraria del Commando alla vendita commerciale dei materiali ultras. Dietrofront, fedeli alla linea di chi ci ospita.

Da li a poco intuiamo una certa distanza tra i due gruppi, una differenza spiegata non da strette ragioni ideologiche (l’antirazzismo e l’antifascismo fanno parte dell’aria che si respira), ma da una sotterranea ma ben presente differenza di stile e “composizione sociale”: nella parte bassa, a ridosso del campo, il Commando, con il suo approccio anni 80, fatto di tamburi, bandiere antiche e lise, un “gruppo dirigente” maturo e una composizione maggioritaria bianca; in alto, i South Winners, giovani e giovanissimi, per la maggior parte francesi di seconda e terza generazione (ma anche ragazzini bianchi), abitanti delle banlieue della periferia nord di Marsiglia, che esprimono con forza il carattere meticcio della città. Durante tutta la partita espongono al centro della curva una piccola bandiera della nazionale algerina.

Possiamo definirla “rivalità amichevole”, ad ogni modo si prova a tifare insieme per l’OM, tenendo la curva più unita possibile, grazie anche all’ausilio di un’amplificazione che copre tutto il settore.

La partita inizia con l’esposizione di uno striscione enorme da parte del Commando, fatto per l’occasione, che sprona i giocatori alla vittoria nonostante la sconfitta inaspettata della settimana precedente contro il Lione. “Nous sommes les marseillais et nous allons gagner!”, si grida al microfono. Vicino ai tamburi, un ragazzo sventola una bandiera sudafricana. Nell’altra curva, la Nord, si fanno apprezzare i gruppi dei Fanatics e dei Dodger’s, che corredano gli spalti di bandiere biancocelesti e diversi stendardi con i colori rosso-giallo-verdi. Al centro, anche li, una bandiera algerina.

In uno spicchio di stadio, i nostri Distinti, si fanno sentire i 500 tifosi del Lens, che fin dalla mattina abbiamo incontrato nelle strade del porto vecchio e nella maestosa cattedrale di Notre Dame de la Garde, che domina la città.

Dopo soli sette minuti di forcing, l’OM va in vantaggio con un tocco sotto porta dell’esterno di fascia N’Kolou, che riprende al volo un corner dalla destra deviato inavvertitamente da un difensore del Lens. La curva (virage) esulta, ma non troppo; o meglio, non come ci aspetteremmo. Sembra che il pubblico sia convinto del successo facile, dando per scontato un match che invece di chiudersi si riapre grazie alla reazione vigorosa del Lens. L’OM abbassa il baricentro, il pressing scema e al 31’ il giovanissimo belga Guillaume, classe ’95, punisce il bravissimo portiere Mandanda, chiamato “fenomeno” dai tifosi marsigliesi.

Lo speaker del Commando richiede a gran voce la carica dei tifosi, lancia i cori, sprona i pochi con le braccia conserte. “On lève les mains tous ensemble”, ripete come un ossesso, lanciando occhiate e gesti al referente della parte alta per coordinare qualche coro in comune.

Arriva l’intervallo, ci muoviamo velocemente verso il bar, ma scopriamo purtroppo che all’interno dello stadio è vietata la vendita di alcolici. Meno male che fra di noi, il più saggio e organizzato, ha portato dell’ottima vodka trasportata in una innocente bottiglietta di plastica. Festeggiamo con un brindisi e un ottimo cannone, rollato e fumato nella più totale complicità dei presenti.

Neanche il tempo di vedere la performance ballerina di un tifoso eccentrico dei South Winners, che inizia il secondo tempo. L’OM riprende in mano la partita, condotto da un grandissimo Andrè Ayew, 25enne trequartista della nazionale ghanese, sulle cui tracce si stanno muovendo Napoli e Milan. Puntuale arriva il gol di Florian Thauvin, classe 1993, centrocampista e Nazionale Under 21 della Francia, che di piatto destro trafigge Belon su sponda del numero 9 Gignac.

Il Lens non si scompone affatto e, complice l’espulsione del biancoceleste Romao, assedia l’OM fino al 93esimo. Nel frattempo, il direttore di gara viene preso di mira con un potente e prolungato “Arbitre enculè!”.

A dieci secondi, rischia di materializzarsi l’incubo: ripartenza velocissima del Lens, passaggio filtrante da metà campo per il taglio del numero 11, che si ritrova a tu per tu con il portiere. La curva trattiene il fiato, ma il fenomeno salva il risultato (e la nostra fama di potenziali jettatori), portando in trionfo il Velodrome.

L’urlo liberatorio dello stadio accompagna i giocatori che festeggiano in mezzo al campo. La Sud risponde con un inequivocabile “Paris-Paris-enculè”, rivolto ai rivali storici del Paris Saint Germain, la società rilevata e rilanciata dai miliardari del Qatar che vanta, ad oggi, una delle rose più forti e strapagate del calcio mondiale.

Usciamo soddisfatti, soprattutto per non aver assistito a un passo falso dell’OM che avrebbe precluso, per ovvie ragioni scaramantiche, un nostro prossimo ritorno in curva Sud. Damien ci invita a bere qualcosa alla sede del Commando, promettendo una sciarpa del gruppo come premio della nostra fresca fedeltà. Purtroppo non riusciremo a raggiungerlo, il giorno dopo si deve tornare a Roma e non possiamo fare tardi.

Poco dopo un sms illumina il telefono della nostra amica di Marsiglia. E’ Damien. Le chiede se può rimediargli altri adesivi antifa. Brindiamo (in tre) alla nostra piccola anomalia, che stasera parla anche un po’ francese.