ROMA

Il cielo sopra l’Horus

Dieci anni fa, venivano rotti i lucchetti di un palazzo dietro piazza Sempione, a Roma. Nasceva Horus.

Un soffio di vento e sono passati dieci anni. La rincorsa per rompere quel lucchetto in corso Sempione la prendiamo tra via Capraia e il mondo, tra la fine della rappresentanza (che non finisce mai) e le nuove domande di autogoverno, tra le May Day milanesi e l’impellenza di uscire dal carro allegorico, tra le nuove occupazioni di frontiera e il desiderio di conquistare alla quotidianità l’alba mozzafiato di una cassa che batte.

Ricostruire il comune dalla pluralità delle biografie, dalla consapevolezza che la precarietà sia condizione trasversale e fondativa, cognitiva ma fatta di carne e ossa, immateriale quanto faticosissima, che non ci sono scorciatoie facili da prendere in prestito dal secolo scorso. Sulle ceneri della scomposizione di classe, una nuova ricomposizione biopolitica, fatta di giovani precari, studentesse assediate dalle “riforme”, ceto medio impoverito, migranti, nuovi proletari delle periferie, artisti apolidi. Per generalizzare lo sciopero. Blocco dei flussi e della città. “Sciopero Sociale”.

La Rete come soggettività politica anomala all’altezza del contemporaneo, sempre in bilico e in tensione. Il femminismo come cultura politica fondante, strategica, su cui sbattere la faccia tante volte, tra condivisioni, anticipazioni, incomprensioni, scazzi, avanzamenti, squarci di felicità, separazioni, nuovi incontri.

Dalle allusioni dei santi precari, all’ipotesi di una organizzazione sindacale metropolitana, dei precari. Esperienza inedita che tiene insieme funzioni e obiettivi da sempre separati, forme di vita e nuovi rapporti di forza dentro e fuori il lavoro. E poi la nostra, troppa, ingenuità, davanti a chi riduce questa ricchezza nell’angolo del già visto, stampella di qualche “centralità”, cartoline di un futuro che non torna più.

A pensarci bene, niente è andato perso, dopo lo sgombero del 19 novembre 2009. Le domande collettive, le improvvisazioni jazz sulla terrazza panoramica, le linee di basso che riempivano l’aria della notte, i cortei in trasferta senza un’ora di sonno, i picchetti all’alba, gli amori senza rete, gli affetti scombinati, le affinità elettive, le aperture su un presente troppo reale da sopportare, gli scontri e gli addii, tutto questo ha seminato in campo aperto, tracciato nuovi sentieri tutti da attraversare. Un’attitudine che fa i conti con se stessa senza sconti o note consolanti. Ognuno sa, in cuor suo, se ancora battono forte quei bpm che vogliono cambiare il mondo.