DIRITTI

I tagli alla sanità che aprono la strada ai privati

Oggi in aula si discute su manovre di spending review: 2,3 mld di euro annui in meno nella Sanità per i prossimi 3 anni. “Non vi preoccupate non sono tagli lineari, sono razionalizzazioni!” questo il mantra giustificatorio.

Va da sé che per essere una razionalizzazione i soldi risparmiati debbano essere reinvestiti nel SSN e non per pagare debiti, né per abbassare le tasse. E così, stando alle parole di Gutgeld (il commissario alla revisione della spesa pubblica), non è. Dunque chiariamo subito che non si tratta di una razionalizzazione, bensì di ulteriori tagli. Analizziamo dunque la situazione del sistema sanitario nazionale: Dal 2011 ad oggi sono stati tagliati 24 miliardi, con questi si arriverebbe a più di 30! La percentuale del PIL spesa per la sanità è il 7%. Negli USA (quelli di John Q e della sanità solo a chi può permettersela) è all’8,5% dopo le manovre di Obama (Medicare, Medicaid, etc.)

I LEA sono i livelli essenziali di assistenza sono quei servizi dichiarati base dal nostro ministero, sono quei servizi a cui tutti dovrebbero avere accesso gratuitamente. Questi servizi sono garantiti solo in alcune regioni. Nel 2014 il 9,5% della popolazione ha rinunciato alle cure mediche per motivi economici. Entriamo nel merito di questa manovra: i campi da cui dovrebbero saltar fuori questi soldi sono soprattutto il taglio delle prestazioni specialistiche, del 15%, a breve verrà stilata una lista delle situazioni e delle patologie dove analisi e approfondimenti sono necessari, altrimenti si pagherà di tasca propria. Verranno tagliati gli stipendi ai medici che prescrivono esami “inutili”.

Si potrebbe commentare che molto difficilmente riusciranno a stilare protocolli così ampi in così poco tempo che abbiano validità scientifica. Si potrebbe commentare che se si riesce a studiare protocolli che facciano rientrare tutte le situazioni possibili, perchè spendiamo così tanti soldi nella formazione di nuovi medici? basterebbe un software che applica i protocolli prestabiliti. L’evidenza è che questo punto sia palesemente un nuovo superticket che farà ricadere sul paziente un ulteriore parte dei servizi che ora il SSN eroga. Altri soldi verranno risparmiati sul controllo delle strutture in rosso, il taglio della rete ospedaliera: 5% di beni e servizi (dunque strutture e personale in meno), la riduzione della degenza media e del tasso di ospedalizzazione. Solita solfa.

Stante quello che è trapelato su questa manovra non ci sono dubbi nell’affermare che si tratti di un ulteriore scellerato taglio su un sistema al collasso che non riesce più a sopperire ai bisogni della popolazione. E’ tra l’altro indubbio il bisogno che questo sistema ha di diventare più efficiente, ed è anche indubbia la strada che si dovrebbe intraprendere: basterebbe seguire il tragitto segnato dalle regioni più virtuose, come la Toscana e l’Emilia Romagna. Qui l’investimento è stato sulle case della salute, dunque piccoli centri sparsi sul territorio che lavorano sull’assistenza di base e la prevenzione, riducendo il tasso di ospedalizzazione a monte, non a valle.

E’ però vero che questo modello non risponde ai criteri richiesti, fare cassa e farla subito, sono politiche più a lungo corso, ma la tornata elettorale si avvicina e i diktat vanno rispettati, ecco perchè si opta per queste “scorciatoie”. La prospettiva è dunque un progressivo smantellamento del mondo assistenziale pubblico a favore della sanità privata, campo in cui abbiamo una delle spese maggiori d’Europa.

Non si può dunque non pensare a quelle piccole sacche di resistenza sanitaria che stanno nascendo in giro per l’Italia: l’ambulatorio popolare napoletano tra le mura di Zero81, quello romano di Strike “Ambu Lanti” e quello milanese. Queste esperienze vedono la sanità come un bene comune, non dunque l’ennesimo salvadanaio per la spending review o il barone di turno, ma un bene gestito in comunione tra operatori della salute ed utenza, così come è stata difesa la struttura del Ce.F.I. Riuscendo a portare ai vari presidi sotto la regione non solo i lavoratori che avrebbero perso il lavoro, ma anche quelle famiglie che avrebbero dovuto fare 30 km 2 volte a settimana per lo stesso servizio, perchè a tale distanza era il più vicino centro di logopedia per bambini (leggi anche Il sindacalismo sociale vince a Roma) si è riusciti ad impedire la chiusura della struttura. Perchè se tagliano sulla sanità tagliano sulla salute di tutt*.