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NELLE STORIE

9 ottobre 1967: Hasta siempre, comandante Che Guevara!

In occasione del cinquantesimo anniversario dell’assassinio del Che in Bolivia, alcune riflessioni sull’attualità e la potenza del suo esempio e delle sue parole che non smettono di risuonare nell’educazione sentimentale dei rivoluzionari e delle rivoluzionarie in tutto il mondo. “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario”

Oggi più che mai di fronte alla violenza e alla controrivoluzione neoliberale “bisogna saper sentire l’ingiustizia commessa contro chiunque nel profondo di noi stessi” e riuscire, nella durezza della vita e della lotta, a “non perdere mai la tenerezza”. Di fronte all’orrore del presente, al crescente dispiegarsi di violenza razzista, sessista e classista, alla competizione individuale come logica che informa la qualità delle relazioni sociali, pensare la trasformazione rivoluzionaria significa porsi ancora una volta il problema di difendere il valore della vita contro lo sfruttamento, creare e socializzare un desiderio svincolato dall’accumulazione capitalistica, inventare nuove vie di fuga e resistenza.

Il problema della soggettività che il Che ha elaborato con le riflessioni sull’ “uomo nuovo” assume nella crisi neoliberale un ruolo centrale: come segnala Diego Sztulwark pensare oggi il comunismo e la prassi rivoluzionaria a partire dalla rottura della relazione tra legge del valore ed obbedienza, come passaggio fondamentale per pensare una nuova umanità, ci permette di interrogarci sull’attualità della pratica politica e della passione rivoluzionaria del Che. Secondo il rivoluzionario argentino, per costruire il comunismo risulta imprescindibile la costruzione di una umanità nuova, assieme alla creazione delle condizioni materiali dell’emancipazione nella lotta rivoluzionaria per una società senza alienazione e sfruttamento.

 

Come possiamo pensare questa suggestione nel contesto attuale? In un mondo profondamente trasformato da quello in cui il Che ha vissuto e lottato, cosa possiamo ancora oggi pensare a partire dalla sua “querida presencia”?

 

Sono profondamente mutati sia lo scenario politico che l’orizzonte delle lotte, sia le forma della militanza che l’immaginario del cambiamento sociale. Eppure, la sua figura continua ad appassionare e ci permette di riflettere sulla coerenza, l’uguaglianza, la lottta contro l’individualismo, la critica dell’economicismo, l’utopia concreta di una umanità differente, il ripensamento del marxismo a partire da un contesto non eurocentrico, le strategie di lotta e la solidarietà. Cosa può dirci ancora il Che? Possiamo ripensare la prassi rivoluzionaria come combinazione di molteplici pratiche del comune capaci di creare spazi per resistere, reinventare e trasformare il presente, a partire dalle modalità, dalle qualità e dalle forme del nostro essere umani?

Se intendiamo la solidarietà, quella che il Che aveva definito “tenerezza dei popoli”, come una grande qualità rivoluzionaria, e come una urgenza di fronte all’orrore del presente, di fronte alla pedagogia della crudeltà (come direbbe Rita Segato) che promuove l’odio e la paura dell’altro e del diverso, possiamo ripartire dalla capacità di organizzare l’empatia e connessione tra soggettività, dalla creazione di una nuova umanità che comincia nella reinvenzione della solidarietà nella vita quotidiana, dal mutualismo come pratica di resistenza, dalla lotta per il comune come modo di vita e prassi anticapitalista. Allora queste parole scritte oltre cinquant’anni fa dal Che avranno ancora un grande valore per ripensare l’attualità del comunismo come forma di vita, pratica e processo di lotta.

 

Questo significa, fuori da ogni retorica, moltiplicare il suo esempio.

 

Ancora oggi ed ancora una volta, confrontandoci con le parole e le passioni del Che, siamo spinti a dare il meglio di noi stessi, a fare i conti con le contraddizioni, a chiederci sperimentando nella pratica, giorno dopo giorno, cosa significa trasformare la nostra umanità in una nuova ad eterogenea composizione di soggettività capaci di sperimentare nella pratica politica una trasformazione rivoluzionaria dell’esistente.

Come possiamo oggi, in un mondo e un contesto differente, recuperare questo suo insegnamento, e ripensare la rivoluzione a partire dalla necessità di ripensare quel che il Che chiamò l’uomo nuovo, interrogandoci sulle qualità di una etica rivoluzionaria che sappia trasformare assieme la coscienza e la vita materiale, l’unità economica e le relazioni sociali, nell’ambito di una battaglia culturale imprescindibile per vincere quella politica ed economica, è una sfida e una domanda aperta a cui solo i molteplici processi collettivi di lotta sapranno rispoendere. Ricordiamoci ancora, come disse il Che, che lottiamo contro la miseria ma anche contro l’alienazione.

 

 

Mentre scrivo dalla terra natale del Che, migliaia di attivisti di tante e diverse nazionalità e popoli indigeni si stanno incontrando a Vallegrande in Bolivia per rendergli omaggio, a pochi chilometri dal villaggio La Higuera, dove il Che cinquantanni fa come oggi fu catturato ed assassinato. Reinventando il marxismo da un punto di vista latinoamericano – come parte fondamentale di una larga e ricchissima tradizione di pensiero eterodosso, marxista e rivoluzionario – il Che fu ferocemente critico di ogni economicismo e burocratismo (da socialismo statal-nazionale), e non smise mai di opporre a questi ultimi la potenza del pensiero e di una teoria politica profondamente legata alla prassi, all’azione, alla passione per la solidarietà, all’internazionalismo, alla coerenza.

Con uno sguardo capace di sentire e reiventare nel presente l’urgenza di una lotta anticoloniale e libertaria, possiamo pensare ancora una volta l’attualità del Che e della sua potenza, della sua umanità e della sua inflessibilità, a partire dalle pratiche di lotta di ogni giorno, nella sfida continua, singolare e collettiva, di coniugare teoria e pratica, di continuare a commettere quell’imperdonabile peccato che, riprendendo le parole di Eduardo Galeano, mai fu perdonato al Che, ovvero di fare ciò che si dice e di dire ciò che si pensa, di far incontrare la parola e l’azione. E’ questa, una delle qualità più belle di un rivoluzionario e di una rivoluzionaria.

Un anniversario che forse non avremmo potuto celebrare in un contesto politico peggiore per quanto riguarda la situazione di ingiustizia sociale e delle prospettive delle lotte per l’emancipazione, in un contesto segnato da una intensificazione senza precedenti della guerra, del razzismo, dello sfruttamento, della violenza capitalistica. Poco meno di un anno fa, quando se ne è andato Fidel Castro, pubblicammo un bellissimo articolo di Mario Santucho che nel ricordalo scrisse: “Con Fidel era in gioco qualcosa di strano. Qualcosa che non avremmo mai voluto finisse, anche se ormai era ovvio facesse parte del passato. Confesso di aver avuto la sensazione della sua immortalità, anche se magari solo nei sogni. […] Oggi occorre ricominciare. Una stagione di una grande marcia anticapitalista è arrivata al termine. L’immortalità non esiste e i rivoluzionari non hanno mai avuto un Papa. E’ ora di immaginare nuovi argomenti per l’emancipazione.”

Nonostante un contesto talmente difficile per le rivoluzioni oggi nuovi processi di lotta e liberazione disegnano cammini possibili per immaginare nuovi argomenti, pratiche e forme per reinventare il comunismo: trame potenti di lotte per l’emancipazione nelle metropoli globali e nelle terre indigene dell’America Latina, maree globali femministe, guerriglia rivoluzionaria e confederalismo democratico in Kurdistan, eterogenee resistenze al razzismo e all’austerity, la costruzione di una economia dei lavoratori, la sperimentazione di forme di vita e di lotta contro il capitalismo e lo sfruttamento. Ancora oggi, come lo fu nel decennio lungo del sessantotto e nel successivo decennio rivoluzionario nel mondo, l’esempio del Che ha molto da insegnarci ed ancora una volta risulta una fonte continua di ispirazione per rinnovare e reinventare la pratica rivoluzionaria. Dopo le sconfitte storiche, non arrendersi significa ricostruire la possibilità di un agire rivoluzionario di cui oggi abbiamo ancora più bisogno, urgenza, necessità.

 

 

Ripercorrendo quel percorso di apprendimento continuo che conosciamo per le innumerevoli letture che per tanti e tante costituiscono ancora oggi una educazione sentimentale straordinariamente intensa, ci muoviamo lungo quella traiettoria iniziata con un lungo viaggio dell’allora giovane medico argentino Ernesto Guevara su una moto per le infinite strade dell’America latina con l’amico Alberto Granado, alla scoperta della diseguaglianza, dell’ingiustizia e della richezza straordinaria di culture e popoli dell’America Latina. Poi il Messico dove avvenne lo storico incontro con Raul e Fidel Castro e i rivouzionari cubani, da li il viaggio sulla Granma per arrivare a Cuba, la guerriglia, la battaglia di Santa Clara, la vittoria della rivoluzione, l’entrata a L’Avana con Fidel e Camilo Cienfuegos. Il suo ruolo istituzionale, la politica economica, i suoi scritti, la decisione di riprendere la lotta guerrigliera per il socialismo e i movimenti di liberazione nazionale, in Africa e in America Latina. Fino alla morte, cinquant’anni fa come oggi.

Ricordando lo sbarco del Granma scrivemmo che sebbene il “mito di Cuba perse smalto in Europa come alternativa alla via sovietica, rimase intatto in Africa, per gli aiuti militari e medici ai paesi che avevano tentato la strada di una radicale decolonizzazione, e in America Latina, dove rappresentava la maggiore sfida all’imperialismo americano, con i suoi feroci servi locali, e una fonte di ispirazione e aiuto per i movimenti rivoluzionari. Il sacrificio del Che germogliò frutti inediti, decenni più tardi, in tutto il continente, a partire dalla Bolivia che aveva visto il suo martirio.”

 

Pochi anni dopo la vittoria della rivoluzione Ernesto Guevara decise di ripartire, spiazzare il fronte, rinnovare focolai di guerriglia di liberazione, rilanciare le lotte per il socialismo e contro l’imperialismo nel mondo.

 

Così Scrive una lunga lettera a Fidel Castro e al popolo cubano, che chiude con la celebre frase che oggi risuona in ogni angolo del mondo “hasta la victoria siempre”. Poi la partenza per il Congo e la Bolivia, dove due anni dopo il Che cadde a tradimento, all’età di trentanove anni (come Zapata e Sandino), in a una imboscata sulle Ande boliviane, con un piccolo gruppo di compagni dell’Esercito di Liberazione Nazionale, accerchiato da migliaia di soldati guidati dalla Cia.

A La Higuera, piccolo villaggio sulle Ande Boliviane, cinquantanni fa come oggi un militare vigliacco dava l’ordine di uccidere a freddo il Comandante Ernesto Che Guevara, medico e rivoluzionario, ferito in battaglia il pomeriggio del giorno prima, l’8 ottobre 1967, che oggi è celebrata in America Latina (la Nuestra America alla ricerca della seconda e definitiva indipendenza) come Giornata del Guerrigliero Eroico. Dopo l’esecuzione, i comandanti militari dell’infame operazione congiunta tra CIA ed esercito boliviano che pose fine alla vita del rivoluzionario argentino, diedero un ordine eloquente “Fatelo sparire”. Far sparire il corpo, per l’imperialismo e i suoi servi, rappresentatava un ennesimo (e fallimentare) tentativo di far sparire le idee rivoluzionarie, gli ideali di giustizia sociale, il desiderio della pratica e della lotta rivoluzionaria, l’esempio di un fuoco guerrigliero che divampò nel mondo delle lotte di liberazione, anticoloniali, contro il capitalismo e l’imperialismo. Seppur occultarono per oltre trent’anni il corpo del Che, che oggi riposa a Santa Clara, cittadina che porterà per sempre il ricordo della storica battaglia che aprì la strada ai rivoluzionari cubani, non sono riusciti, gretti reazionari e infami generali, imprenditori della paura e genocidi di varie provenienze politiche, a cancellare l’esempio, la potenza, il simbolo, il ricordo, la memoria. Ma soprattutto, non hanno fermato le lotte per un mondo diverso.

 

Così cinquant’anni dopo, in un mondo profondamente cambiato, continuiamo ad aver bisogno della potenza del pensiero e dell’azione del Che per reinventare un orizzonte di rivoluzioni.

 

E della capacità di coniugare pensiero e azione, teoria e pratica, sentimenti, corpo e vita nella prassi rivoluzionaria, essendo realisti esigendo l’impossibile. Quell’immagine infinitamente riprodotta su magliette, poster e muri continua ancora oggi ad ispirare uomini e donne di qualunque età e di qualunque parte del mondo nella lotta per la giustizia e la libertà e per questo, nelle tempeste del presente, ricordiamo e celebriamo quell’uomo, quel fratello che ci mostrava la sua stella preferita sul monte della guerriglia (parafrasando una bellissima poesia di Cortazar dedicata al Che) e che fino alla fine dedicò senza compromessi energie, corpo, parole e la vita stessa alla rivoluzione. Hasta la victoria siempre, comandante!