EUROPA

Grecia, migranti sopravvissuti a un naufragio: “La Guardia Costiera non ci ha soccorso”

La Guardia Costiera sapeva di un naufragio di migranti al largo dell’isola di Agathonisi in Grecia ma non è intervenuta. In mare sono morte sedici persone, i sopravvissuti accusano: “Sapevano ma non ci hanno soccorso”. Le prove e le testimonianze raccolte dal settimanale tedesco Der Spiegel.

Il 17 marzo una barca si rovescia durante un naufragio al largo delle coste dell’isola greca di Agathonisi. Sedici persone muoiono, tra loro anche bambini. Solo tre riescono a raggiungere la terraferma. Ora i sopravvissuti accusano la Guardia Costiera: sapevano del disastro che stava avvenendo ma non hanno fatto niente.

Le prove diffuse dal giornale tedesco Der Spiegel sembrano dimostrare in modo fondato che la Guardia Costiera era stata allertata con numerose telefonate e non ha agito in alcun modo, se non quando tre sopravvissuti sono stati trovati sulle coste dell’isola, 24 ore dopo la prima chiamata d’emergenza. Inoltre, i sopravvissuti affermano di aver visto una barca sostare non lontano dal luogo del naufragio, senza intervenire, probabilmente osservando i naufraghi annegare uno dopo l’altro.

I superstiti ora accusano le autorità greche e chiedono al Ministero competente che sia fatta giustizia.

Il 17 marzo, mentre ad Atene erano in corso i preparativi per la manifestazione internazionale antirazzista, giunge la notizia dell’ennesimo naufragio al largo delle coste greche: 16 persone sono morte nei pressi dell’isola di Agathonisi. A bordo della barca, due famiglie dell’Afghanistan e dell’Iraq, molti bambini e adolescenti, compreso un neonato di pochi mesi. Ventuno persone, di cui soltanto tre sono sopravvissute raggiungendo a nuoto la costa dell’isola.

Alcuni rifugiati afghani che si trovavano sulla barca erano in diretto contatto con dei parenti residenti da mesi in un campo sull’isola di Samo. Così li hanno contattati al momento della partenza dalle coste della Turchia. Quando la barca ha cominciato a naufragare inviano ai parenti alcuni messaggi via WhatsApp: «La barca affonda. Aiuto». Uno dei familiari sulla terraferma contatta immediatamente la Guardia Costiera. Telefona a varie persona ad Atene e a Samo, invia messaggi e parla direttamente con la polizia locale del campo in cui risiede. Tutti lo rassicurano : «La tua famiglia è salva». L’uomo però non si fida e continua a telefonare.

Cos’abbiano fatto nel frattempo le autorità, se abbiano fatto qualcosa, non è chiaro.

È chiaro, invece, che l’unica operazione di salvataggio su larga scala annunciata dalla Guardia Costiera non è iniziata prima di domenica, ben 24 ore dopo la prima chiamata di emergenza. Un residente dell’isola di Agathonisi aveva nel frattempo trovato i superstiti e allertato la Guardia costiera che solo allora si è messa in moto partita con 13 navi, 2 elicotteri e un aeroplano. L’unica cosa rimasta da fare a quel punto, però, era trovare i cadaveri e portare i sopravvissuti all’ospedale.

Survivors are making serious allegations against the Coast GuardA refugee boat sinks in front of a greek island. 16…

Pubblicato da Aegean Boat Report su lunedì 26 marzo 2018

I superstiti affermano che non soltanto la Guardia Costiera era stata allertata telefonicamente, ma una nave, di cui non è tuttavia chiara l’origine, era stata sul luogo per ore, a vista. Soltanto quando quasi tutti erano annegati la barca si era girata e se n’era andata.

Il nuovo ministro dell’immigrazione greco, Dimitris Vitsas ha visitato i superstiti all’ospedale. Due giorni dopo anche il ministro «della marina e delle isole» ha voluto parlare con i superstiti, dopo aver chiesto delucidazioni alla Guardia Costiera.

La Guardia Costiera ha di fatto ammesso di aver ricevuto una chiamata venerdì ma dice anche di non aver avuto più modo di contattare chi lo aveva chiamato. Lo  Spiegel, tuttavia, sostiene di possedere le prove di molteplici contatti tra il familiare dei naufraghi e la Guardia Costiera nel corso della giornata di venerdì, dalla mattina presto fino al pomeriggio. L’uomo afferma inoltre di essersi personalmente recato a vari uffici di polizia chiedendo di cercare la propria famiglia.

I sopravvissuti chiedono al Ministero di individuare i responsabili. Hanno guardato i propri figli morire e oggi denunciano che sarebbero potuti essere salvati.

La responsabilità delle autorità greche è evidente. Pur non essendo ancora del tutto chiari i contorni di quanto avvenuto, le prove fornite dai superstiti all’indagine dello Spiegel sono incontestabili. Anche qualora il mancato soccorso non fosse stato intenzionale ma frutto di negligenza, la morte di 16 persone che potevano essere salvate resta responsabilità della Guardia Costiera greca. Come hanno inoltre affermato i manifestanti durante il corteo tenutosi il giorno del naufragio, ugualmente responsabili sono le Nazioni Unite, «un’organizzazione criminale», hanno urlato, che ostacolando la libertà di movimento mette quotidianamente a rischio migliaia di vite. L’accordo firmato due anni fa tra Ue e Turchia ha reso ancora più pericolosa la tratta marittima verso le isole greche, oltre ad aver trasformato queste ultime in vere e proprie prigioni a cielo aperto, luoghi di detenzione a tempo indeterminato.