ITALIA

La gestione dell’immigrazione uccide: cosa è successo a Gradisca

Dopo i tagli ai servizi nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca e il suicidio di un suo ospite, a un mese dell’apertura del Centro di permanenza per il rimpatrio si conta già un decesso tra i detenuti. «Lo hanno ucciso di botte», affermano le altre persone recluse

Lungo la strada regionale 305 che collega Udine a Monfalcone, tra un centro commerciale e una distesa di campi, c’è il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo, negli stabili dell’ex caserma Polonio. Gli stessi spazi dal 2006 hanno ospitato il Centro di permanenza temporanea, poi Centro di identificazione ed espulsione, chiuso nel 2013 dopo violente proteste al suo interno durante le quali morì Majid El Kodra, un uomo di 35 anni di nazionalità marocchina.

Di fianco al Cara, i cui edifici dal 2017 sono nascosti da un alto muro perimetrale, il 17 dicembre 2019 ha aperto anche il nuovo Centro di permanenza per il rimpatrio. Il Cpr può contenere fino a 150 persone in attesa di lasciare l’Italia, anche se per ora i detenuti sono 50. Tra di loro c’era anche Vakhtang Enukidze, un georgiano di 38 anni (secondo il Piccolo di Trieste), in attesa di essere espulso perché senza documenti. Vakthtang è morto in ospedale il 18 gennaio, quattro giorni dopo avere riportato numerose ferite nel Cpr. Secondo le testimonianze di altri detenuti – e un video circolato in rete – il 14 gennaio avrebbe subito un pestaggio da parte di poliziotti in assetto anti-sommossa, intervenuti per sedare una rissa. È stata aperta un’indagine per omicidio. Prima di questa tragedia, e a solo un mese dall’apertura del Cpr, undici persone hanno tentato di fuggire e una ha tentato il suicidio.

Testimonianza – Ammazzato dalle guardie del CPR di Gradisca

Condividiamo la testimonianza di un recluso del CPR di Gradisca sulla morte di V., ci racconta di come è stato picchiato più volte negli ultimi giorni dalle guardie della struttura. Le voci sono modificate per tutela, sotto potete trovare la sbobina. [Si tratta del post pubblicato ieri dato che in molti ci segnalano che non si può più accedere alla pagina web]SBOBINACosa hai detto ? Suo telefono si è perso, lui non ricordava dove ha lasciato.Da li hanno cominciato a picchiarlo, loro volevano mandare tuta gente dentro le camera, lui insisteva nella ricerca del suo telefono, da li hanno cominciato a picchiare con il manganello aveva tutto il corpo rosso proprio di lividiokecco da li li hanno portato nel corridoio, quando arriva vicino al suo modulo per rientrare lui non voleva perchè era un ragazzo basso e robusto: aveva la forza. Da li lui ha di uno della guardia di finanza e non voleva e hanno cominciato a picchiarlo di nuovo gli hanno buttato dentro e lui con la rabbia ha preso un pezzo di ferro ha tagliato un po allo stomaco, non lo hanno portato all ospedale ,domani mattina quando lui sveglia ha cominciato a fare di nuovo casino perché sentiva male al corpo per quel manganello che le ha presa tutte quella sera li.Poi mattina le ferite le faceva male sida li sono entrati e hanno picchiato di nuovodi nuovodi nuovo dopo venuto direttore e portato in infermeria dopo neanche venti minuti ed è tornato ed è rimasto con noi un attimo e poi è andato a dormire poi quando ha svegliato siil giorno dopo mattina sono venuti e hanno detto per dire oggi deve partire in bus per andare via, lui prese tutte sue cose ed è andato via con lui tutta la giornata, la sera verso 8 lo hanno portato hanno detto che non ha voluto andare perché aveva tanti brividi e hanno avuto paura di mandarlo in quel modo li al paese suo sarebbe un casino lì , nessuno avrebbe accettato avrebbe voluto capire cosa era successo: lo hanno portato indietro. Rimasto per due giorni e lui sentiva male e chiavava “aiuto aiuto!” perché usciva sangue può darsi qualche vetri rimasto dentro lo stomaco non sappiamo , da li lui ha cominciato di nuovo a spaccare degli specchi davanti a loro, e lì ci stava un altro ragazzo da dietro, e la polizia hanno detto a quel ragazzo dietro di buttare un pezzo di ferro fuori, e quando lui si è girato ha visto che l’altro ragazzo stava buttando fuori i vetri che lui usava a spaccare e lì ha cominciato a litigare con lui. Da lì che la polizia hanno aperto la porta e sono entrati dentro. Quando sono entrati dentro hanno aperto la porta. lo hanno messo in mezzo, quanti erano.. 8 lui in mezzo circondato da 8 poliziotti. D’improvviso quando lo hanno attaccato al muro uno di loro gli è saltato addosso di forza e lui da lì la testa gli è caduta e ha sbattuto al muro (la testa è caduta ed ha battuto il muro) un muretto quello che ci sediamo si. …. tipo una scaletta-Noi posso testimoniare ovunque dovunque perché era uno di noi. Da li uno dei poliziotti ha messo i piedi al collo piedi sul colloun altro alla schiena da li lo hanno ammanettato e lo hanno portato via, circondato da loro. Noi non riuscivo a vedere bene da che parte il sangue usciva da li lo hanno portato via e fino ad oggi non lo hanno portato più indietro, abbiamo cercato di chiedere delle botte lui ci ha denuncia , “lui è stato denunciato” , “domani lo mandiamo al tribunale” , non lo so “andrà in galera” sono queste delle cose che loro dicevano a noi. Oggi all’improvviso uno di noi è andato in infermeria da lì stavano parlando e non lo hanno accorto di quello che li stava dietro e hanno detto che il ragazzo è morto questo qua è venuto da noi e ha detto che “il ragazzo è morto”. Noi abbiamo cominciato a chiamare loro per avere più informazioni nessuno è venuto da noi fino ad adesso a dire niente noi abbiamo chiamato poi al paese suo, a sua moglie ahh avete parlato con sua moglieeh si si perché ci abbiamo email e numero di sua moglie, perchè lui ce le aveva lasciate se volete possiamo parlare con il ragazzo vi da numero di sua moglie e parlate con famiglia sua . Avete più.. la famiglia sua sta chiamando qua e nessuno risponde. Hanno chiamato il 118 di Gorizia e nessuno risponde. Volete mandarci il numero della sua famiglia? Se volete certo qua non c’è una cosa da nascondere..qua c’è una cosa da salvare. Eh siPerché c’è un corpo umano che è dentro un frigorifero adesso eh.Oggi è toccato a lui, domani non sappiamo chi sarà.Siete riusciti a sentire un avvocato voi? Avete parlato con un avvocato? Qui dici avvocato? Sono tutti cadaveri qui! L’avvocato qui…non… Qui loro ci hanno dato l’elenco degli avvocati. Noi quando quando chiamiamo gli avvocati, appena gli dici che sei in questo centro, dice “un attimo sto guidando dopo ti chiamo” e non ti chiama più. Tu chiami e non rispondono. Ok Siamo Abbandonati a noi stessiMa aspetta, ma la sua famiglia lo sa già adesso? La sua moglie?Adesso abbiamo li abbiamo avvisati, li abbiamo chiamati. Adesso la sua moglie sa già. Sta aspettando da tre anni la dentro.. e anche se parli di.. è un dolore comunque.E adesso stanno qua le le.. Le polizie stanno qui davanti a noi. Davanti a noi. davanti a noi. ….Adesso stanno aspettando per chiudere fuori perché hanno saputo che stiamo parlando con voi. Qui davanti a noi. Ei, mandateci il numero.E ci menano anche a noi!Poi..su di noi, che cosa dobbiamo fare o voi cosa potete fare per noi?Siamo dimenticati da Dio!Qui dentro per sapere di lui,loro non ci hanno detto niente a noi, siamo riusciti a saperlo così, grazie a dio. Ma perché?Sono degli assassiniVeramente. È disumano, è disumano. Veramente. Se c’è qualcosa da fare son delle domande, un esempio è questo, vedi un uomo andarsene dalla vita per niente. Per niente. Aveva già accettato di essere estradato al paese suo. Non sono riusciti a mandarlo, lo hanno ammazzato e lo mandano morto adesso. E se lo manderanno perché non vogliono manco rispondere alla famiglia di là. Che voglio dire.Noi vi siamo vicini, non siete soli!Ok …speriamo. Resistete!Così noi vogliamo sapere di più da voi su cosa possiamo fare, anche con gli altri ragazzi.Noi non lo sappiamo.. però noi possiamo cercare di fare di tutto perché la storia che ci avete raccontato venga detta fuori. Perché fuori raccontano che voi vi siete picchiati tra di voi. Sui giornali c’è scritto che vi siete picchiati tra di voi detenuti e che lui è morto per questo.No, non è vero. Non è vero. Non è vero perché loro invece ci fanno uscire per esempio ci fanno uscire da soli e ci picchiano in cortile e ci portano dove vogliono loro, finché guarisci e siccome lui era grave, molto grave è morto e loro stanno cercando qualche scusa per farla franca.

Pubblicato da No Cpr e no frontiere – FVG su Domenica 19 gennaio 2020

A Gradisca durante l’estate ha fatto invece notizia la morte di Sajid Hussain, un richiedente asilo pachistano, che il 14 giugno 2019 si è gettato nell’Isonzo. Sajid viveva al Cara dall’inizio dell’anno, in seguito alla chiusura del progetto di accoglienza diffusa di Staranzano, vicino a Gorizia, per effetto del decreto Salvini. Aveva da mesi chiesto il rimpatrio volontario. L’uomo soffriva di problemi psichici e lo stallo della sua situazione l’aveva portato alla depressione. All’inizio di luglio, un altro giovane migrante ospite del centro aveva tentato il suicidio, provando a buttarsi nell’Isonzo tra Gradisca e Poggio Terza Armata, ma era stato bloccato da un passante.

Adiacente al Cpr dove è morto Vakhtang Enukidze, il Cara di Gradisca può ospitare da bando un massimo di 202 persone ed è gestito in proroga dalla cooperativa goriziana Minerva. «Ma il numero è stato più volte abbondantemente sforato» afferma la sindaca di Gradisca Linda Tomasinsig. Esponente del Partito Democratico, riconfermata per un secondo mandato a maggio 2019, si occupa da anni di accoglienza. «Nel 2017 a Gradisca siamo arrivati a ospitare 700 persone», racconta. Ora i numeri sono calati e i nuovi arrivi dalla rotta balcanica vengono in gran parte dirottati in altre regioni, ma i problemi non sono finiti. L’estate scorsa sono state superate le 200 presenze.

«Succede a Gradisca», era il titolo di alcuni volantini comparsi allora lungo una stradina che dal Municipio porta al fiume. Il testo criticava l’amministrazione di Gradisca e la gestione di Cpr e centri d’accoglienza. «Nei lager di stato si muore!». Secondo il comitato No Cpr e no frontiere-Fvg quello di Sajid seguiva almeno altri quattro suicidi tra i richiedenti asilo in Friuli negli ultimi due anni. All’elenco, ora va aggiunta anche la morte del trentottenne georgiano, detenuto nel Centro di permanenza per il rimpatrio.

La scorsa domenica, per chiedere verità e giustizia per Vakthang e protestare contro le condizioni dei reclusi, il comitato No Cpr ha organizzato una manifestazione di fronte a Cpr e Cara, a cui hanno partecipato più di cento persone. Commentando la notizia del decesso in un post su Facebook, Tomasinsig – che si è sempre detta contraria sia al modello accoglienza su larga scala dei Cara, sia ai centri detentivi come il Cpr – ha parlato di una «morte annunciata». «Ci aspettavamo ricapitasse – ha proseguito – ma non in così poco tempo».

Foto di @asociale@mastodon.bida.im

Tomasinsig accusa da tempo il governo e la regione, guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, del peggioramento delle condizioni di accoglienza: «nella provincia di Gorizia nell’ultimo anno sono venute meno tutte le esperienze di accoglienza diffusa». La sindaca spiega che «i nuovi bandi prevedono meno risorse e le realtà del territorio non hanno partecipato alle gare per il rinnovo o l’hanno fatto con un’offerta al rialzo, giudicata inammissibile». Per la gestione di Cpr e Cara sono stati pubblicati due bandi di gara, da 4,7 e 4,5 milioni di euro. Quella per il Cpr è stata vinta ad agosto 2019 dalla onlus padovana Edeco, già indagata per frode sulle forniture al centro per richiedenti asilo di Cona, in Veneto, mentre quella per il Cara è ancora in corso. La Edeco ha vinto con un ribasso dell’11% sulla basa d’asta di 28,80 euro al giorno per migrante: ne spende circa 25 per ogni persona reclusa nel Cpr. La regione, poi, ha azzerato i finanziamenti per l’integrazione. È possibile che in Friuli per l’accoglienza rimarranno quasi solo grandi centri: oltre al Cara, il complesso del Nazareno a Gorizia, e la caserma Cavarzerani di Udine.

Il sistema Sprar resiste solo a Trieste. «Lì l’accoglienza diffusa è nata perché non esistevano alternative e ora è insostituibile», racconta Gianfranco Schiavone, vice presidente di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e uno degli ideatori dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, gestito dai Comuni e messo in crisi dal decreto Salvini. Nel capoluogo giuliano sopravvive una rete di 120 appartamenti, gestiti da associazioni. «Con lo Sprar – racconta Schiavone – si è tentato di superare la logica dell’emergenza, ma nella battaglia contro l’immigrazione è stato una delle prime cose a essere smantellata». I grandi centri costano meno.

Dal Municipio di Gradisca le rive verdi contornate da alberi del fiume Isonzo distano neppure duecento metri. Specialmente d’estate, molti ospiti del Cara passano qui parte delle loro giornate, per rientrare prima delle 20. Seduti sotto il pilone di un cavalcavia, tra Gradisca e la frazione di Sagrado, ci sono Billa e Ali, due ragazzi pachistani, ospiti del centro di accoglienza. Billa ha 25 anni, è in Italia da due, passati al Cara. È arrivato in Europa dodici anni fa, racconta, dopo mesi di cammino, e i suoi piedi martoriati lo testimoniano. Ha fatto diversi lavori in Germania, prima di essere rimandato in Italia, dove gli erano state prese le impronte. È finito tra le pieghe del trattato Dublino: «per questo non ho ancora i documenti», spiega. E non sa cosa ne sarà di lui. Stessa sorte incerta per il suo amico Ali, che ha 21 anni. È a Gradisca da un anno, conosce poche parole di italiano e un inglese stentato. «Ho avuto le dita in Francia e questo non perdona», dice la voce metallica del traduttore del suo cellulare. Ali lavorava come imbianchino al di là delle Alpi, prima di essere rispedito in Italia, dove era passato qualche anno prima.

Entrambi concordano: «al Cara non si sta bene. Ci sono duecento persone, tutti uomini e in ogni stanza dormiamo in dodici». Ali non sente la famiglia da due mesi. «Non ho i soldi per chiamarla», dice. Vorrebbero imparare l’italiano, per lavorare qui, ma da tempo non c’è più un insegnante al centro. È stato uno dei primi servizi a essere tagliati. «In attesa che la commissione territoriale decida sulla loro domanda, si ritiene troppo costoso investire sulla formazione», commenta Tomasinsig. La cooperativa Minerva al Cara ha ridotto anche le visite dello psicologo e del medico. «Il dottore c’è solo una volta a settimana», racconta Ali, che ha una brutta ferita sul gomito.

Il delegato della Uil per gli enti locali Michele Lampe sostiene che il taglio dei servizi non sia colpa della Minerva, né della prefettura, ma ammette che siano stati danneggiati migranti, lavoratori e cittadini: «negli ultimi mesi ci sono stati più di dieci esuberi tra gli operatori e con i nuovi bandi a guardia del Cpr di notte rimane un solo addetto». Al momento «i problemi maggiori sono la permanenza troppo lunga dei migranti e la mancanza di certezza sul loro futuro», spiega. Billa e Ali, dopo i mesi passati al Cara, non credono più alla possibilità di ricevere protezione. «Future? No Future» dice Billa, che poi aggiunge: «No documents, no work, no future».

In copertina foto dell’interno del Cpr di Ponte Galeria (Roma)

 

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