MONDO

Gerusalemme, tre elementi da considerare

Gli interessi israeliani, il ruolo storico degli Stati Uniti e le responsabilità della leadership palestinese. Tre punti da ricordare sulla dichiarazione di Trump su Gerusalemme e le reazioni palestinesi

1.

A chi è preoccupato che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte di Trump crei un ostacolo insormontabile al raggiungimento della soluzione dei due Stati, ricordo che che negli ultimi anni in almeno quattro occasioni differenti (uno, due, tre, quattro) il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha giurato che non avrebbe mai ritirato le truppe israeliane dalla West Bank. Questo è sormontabile? Siamo onesti. Non c’è più stata alcuna soluzione a due Stati sul tavolo, almeno dalla tarda primavera del 2014, prima che esplodesse la guerra di Gaza, e probabilmente non dal 2008, quando i colloqui tra Olmert e Abbas sono improvvisamente terminati perché il Primo Ministro israeliano è stato incriminato per reati di corruzione.

Sostenere che la decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme sia la goccia che ha fatto traboccare il vaso significa ignorare non solo tutte le questioni veramente insormontabili che hanno impedito un accordo in decenni di colloqui di pace, ma anche il fatto che il governo israeliano è esplicitamente disinteressato a consentire la creazione di uno Stato palestinese sovrano.

2.

Nel suo discorso di mercoledì, il presidente Trump non ha nemmeno riconosciuto l’idea che esista una Gerusalemme Est distinta da Gerusalemme Ovest. Israele ha annesso il territorio conosciuto come Gerusalemme Est dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e lo ha incorporato nei confini municipali di Gerusalemme. Circa 300mila palestinesi vivono a Gerusalemme Est, la grande maggioranza di loro non ha la cittadinanza israeliana. Israele ha annesso la terra ma non le persone. Inoltre, interi quartieri di Gerusalemme Est sono stati separati dalla città negli ultimi dieci anni da un muro di cemento di quasi otto metri [26 piedi, ndt] costruito da Israele.

Non ammettendo l’esistenza di Gerusalemme Est, e quindi riconoscendo Gerusalemme come la singola città “unificata” che Israele finge che sia, Trump ha effettivamente legittimato l’annessione illegale e unilaterale di Gerusalemme Est. Inoltre, facendo riferimento ai legami del mondo musulmano con Al Aqsa [la spianata delle moschee è il secondo luogo sacro per l’Islam, dopo La Mecca, ndt], ma non al significato nazionale palestinese dei legami alla città di Gerusalemme, Trump l’ha fatta finita con l’illusione di un’imparzialità nell’approccio degli Stati Uniti su quell’aspetto del conflitto.

3.

Alti funzionari palestinesi hanno risposto all’annuncio di Trump di mercoledì notte con dichiarazioni ufficiali, secondo cui gli Stati Uniti hanno effettivamente perso il loro ruolo o si sono ritirati dal ruolo di intermediari nel processo di pace israelo-palestinese. Prima di analizzare a fondo se questo sia vero o, più significativamente, se vada preso sul serio, ricordiamo una cosa.

Gli Stati Uniti non sono mai stati un intermediario onesto nei colloqui di pace tra Israele e Palestina. Come ha scritto l’ex negoziatore americano Aaron David Miller più di dieci anni fa: «Per troppo tempo, molti ufficiali americani coinvolti nella pacifazione di Israele e Palestina, incluso me stesso, hanno agito come avvocati di Israele incontrandosi e coordinandosi con gli israeliani a scapito del successo dei negoziati di pace». Per decenni quello è stato un prezzo che i palestinesi sono stati disposti a pagare perché era comunque il gioco migliore possibile. Ora che Trump sta stracciando le vecchie regole, la leadership palestinese, specialmente con Hamas di nuovo al tavolo, potrebbero decidere che piuttosto di un processo di pace guidato da Trump è meglio avere nessun processo di pace.

Il banco di prova, ovviamente, sarà nei prossimi mesi, quando Jared Kusher e Jason Greenblatt (nel caso il primo sia ancora alla Casa Bianca) tenteranno di mettere in pratica il loro vago piano di pace. La leadership palestinese incontrerà i funzionari americani? Vedremo se incontreranno il vice presidente Pence nel suo prossimo viaggio. Considereranno qualsiasi idea che gli americani porteranno sul tavolo? La mia scommessa è sì, perché l’altra opzione è di dare seguito alla minaccia perenne di “restituire le chiavi”.

Il segretario generale dell’OLP [Organizzazione per la Libertà della Palestina, ndt] e capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat, famoso per i suoi comunicati turbolenti e anche per anni di dimissioni mai realizzate, ha dichiarato mercoledì notte: «È questo il momento di trasformare la lotta per uno Stato con uguali diritti per tutti coloro che vivono nella Palestina storica, dal fiume al mare». Mentre è improbabile che la leadership palestinese abbandoni la prospettiva di una statualità indipendente e dell’auto-determinazione nazionale, è del tutto possibile che possa cambiare strategia in un verso o nell’altro, o almeno aggiungere nuove dimensioni alla lotta per l’indipendenza.

Come ha scritto mercoledì notte su twitter la giornalista Dalia Hatuqa: «Gli USA hanno semplicemente buttato Abbas sotto un autobus per la centesima volta. Lui ora non ha niente da offrire ai palestinesi e non può usare ‘l’internalizzazione della causa’ come una strategia. Inoltre, non può più neanche giustificare la sua opposizione al BDS [movimento per il boicottaggio, ndt]».

Articolo pubblicato sul portale di informazione indipendente 972mag.com. Traduzione dall’inglese a cura di DINAMOpress. Qui il testo originale.