PRECARIETÀ

Germania, successo delle proteste contro Amazon

Partecipazione meticcia e transnazionale alle proteste contro la multinazionale del commercio online. Scioperi e blocchi a Berlino e in altre città tedesche, come a Poznan, in Polonia. Questa mobilitazione apre nuove sfide per movimenti e sindacati tedeschi.

Per Amazon questo 24 novembre si è rivelato effettivamente un venerdì nero.

Il cosiddetto Black Friday, giorno in cui a livello globale molti colossi dello shopping come Amazon offrono forti sconti, è stato scosso da una serie di scioperi e manifestazioni che hanno messo in luce le condizioni di estremo sfruttamento su cui la logistica basa la sua estrazione di plusvalore.

In Germania, il venerdì nero di Amazon è stato il punto culminante di una settimana di iniziative di protesta che hanno interessato molti nodi nevralgici del sistema della logistica e della distribuzione, che rappresenta un settore cruciale per lo sviluppo economico della locomotiva d’Europa.

A Berlino, centinaia di persone hanno sfilato in corteo in pieno centro città, per le vie dello shopping, rallentando i furgoni in partenza e in arrivo da un magazzino di Amazon Prime di recente apertura. A Lipsia, dove si trova uno dei più grandi centri di distribuzione del paese, il sindacato dei Ver.di ha proclamato lo sciopero e moltissimi lavoratori, con il sostegno dei gruppi di supporto, sono scesi in strada. In tutto si è scioperato e manifestato in sei magazzini Amazon in tutto il paese, rallentando o bloccando i flussi di merci e di capitale nel giorno dell’anno in cui il colosso globale dell’e-commerce punta a incrementare enormemente i suoi profitti.

L’iniziativa Make Amazon Pay offre sicuramente un’importante indicazione sulle pratiche di conflitto e di sciopero, aprendo prospettive che vanno ben aldilà del “semplice” contesto tedesco. Un primo punto riguarda la transnazionalizzazione delle lotte sul lavoro. Per un’azienda come Amazon, e per la logistica in generale, infatti, i profitti riguardano una dimensione che si dispiega immediatamente a livello transnazionale. Si tratta di gestire e controllare enormi flussi di merci a livello globale, flussi che giocoforza attraversano i confini nazionali, molto più facilmente della forza lavoro migrante. Ma si tratta per le aziende multinazionali come per le cooperative del settore, anche di sfruttare quei flussi di migranti che in Europa e non solo ridisegnano costantemente la composizione della forza-lavoro. Una forza-lavoro altamente ricattabile e sottoposta quindi a livelli di sfruttamento altissimi.

E non è un caso, allora, che Amazon in Germania recluti sistematicamente lavoratori provenienti da paesi come Romania, Polonia, Spagna e Ungheria. Così come non è un caso che nel magazzino Amazon Prime berlinese la stragrande maggioranza dei lavoratori siano africani, probabilmente arrivati da poco in Germania, con scarsa conoscenza della lingua tedesca. Immigrati a cui, dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, si apre per legge la possibilità per un anno di essere l’unico caso per cui è prevista la deroga al salario minimo intercategoriale (sia la legge per il salario minimo, che quella per la deroga per la forza lavoro migrante sono state decise e votate dalla scorsa Grosse Koalition, dividendo nei fatti la forza lavoro su base nazionale prima che salariale). Per questo, il fatto che alla manifestazione di Berlino abbiano partecipato lavoratori polacchi del magazzino Amazon di Poznan, con i quali esiste da tempo una piattaforma comune, è di estrema importanza per ribadire come il livello transnazionale rappresenti un elemento essenziale per lo sviluppo presente e futuro delle lotte nella logistica.

Quasi che lungo i flussi di merci e di forza lavoro in sciopero si definisca uno spazio transnazionale che può coincidere o meno con l’Unione Europea, ma che sicuramente supera il feticismo degli europeismi senza conflitto.

Per questo, inoltre, in Germania è stato visto come incoraggiante e di estrema importanza il fatto che, nello stesso giorno, si siano mobilitati i lavoratori del magazzino Amazon di Piacenza, che hanno scioperato con punte di partecipazione molto alte. Altrettanto interessante è il contributo dato a questo sciopero anche da altri magazzini (a Modena addirittura un padroncino ha investito due lavoratori in picchetto ai cancelli dell’SDA) e da sindacati di base solidali con lo sciopero non presenti nel magazzino del colosso americano, ma in lotta negli altri segmenti del settore logistico. Un terreno dove nel vivo del conflitto si superano appartenenze sindacali o politiche e desuete aree di competenza nell’intervento politico.

Un’altra prospettiva interessante che si apre in Germania dopo il Black Friday riguarda il rapporto fra sinistra radicale e movimento sindacale, un rapporto spesso segnato da difficoltà e scarsa interazione. Nella settimana di azioni culminata venerdì, invece, sono scesi in piazza insieme sindacati confederali (come i Ver.di del terzo settore), sindacati di base polacchi e tedeschi, attivisti della sinistra radicale e della galassia antifa e collettivi migranti (solo a Berlino, per esempio, si è passati dal blocco del magazzino all’incendio nottetempo di furgoni per la consegna dell’azienda). Ciò conferma come la logistica sia diventata ormai ben più di un settore produttivo, ma un paradigma globale, sulla base del quale il neoliberismo si ristruttura dopo la crisi del 2008 economicamente e quindi politicamente. È centrale, dunque, insistere su una strategia ricompositiva, che riesca al contempo a generare piattaforme rivendicative radicali che superino la tradizionale strategia corporativa dei sindacati tedeschi.

Del resto, il modello di governance ordoliberale che fino ad ora ha dettato l’agenda politica europea a trazione tedesca, è entrata in crisi dopo le ultime elezioni, con il fallimento della coalizione “Giamaica” e il rifiuto temporaneo della SPD a formare un nuovo governo suicida di Grande Coalizione. La base elettorale socialdemocratica rimane fondamentalmente sindacale e nella riluttanza di Schulz verso una riedizione della Grosse Koalition c’è il manifestarsi di una sempre più stridente incompatibilità tra il mondo del lavoro e i grandi capitali industriali e finanziari. In Germania, è bene ricordarlo, è vietato lo sciopero generale e lo sciopero politico. La prassi messa in campo da Make Amazon Pay, sommata ad altre esperienze come, ad esempio, lo stato di agitazione degli operai della Siemens di Berlino, ma anche dei dipendenti di Airberlin e Ryanair, può inserirsi in questo vuoto di governo del conflitto da parte dell’SPD, mettendo in discussione la pace sociale forzata che sta alla base delle relazioni del lavoro in Germania, dal dopoguerra a oggi.

Un altro aspetto da indagare, che è anche un nodo da sciogliere proprio nell’allargamento delle pratiche di sciopero verso una dimensione che investa l’intera società, è il terreno della solidarietà che sui social network e sui media che lo sciopero di Amazon ha creato, facendo emergere una spontanea promozione al boicottaggio dei consumi durante il Black Friday. Nella piattaforma tedesca che ha lanciato la settimana Make Amazon Pay non si è invitato al boicottaggio e al non acquisto. Questo perché, per paradosso, rispetto al blocco della logistica, una diminuzione della domanda (comunque realisticamente irrisoria rispetto alla mole di vendite del Black Friday) avrebbe potuto significare per alcuni Hub la possibilità di far rientrare in tempi agevoli gli effetti del blocco di lavoratori e lavoratrici. Ovviamente, questa contraddizione tra la sacrosanta necessità di mostrare solidarietà alla lotta, praticare un blocco, sebbene in una dimensione singolare e privata, e l’effettiva efficacia dello sciopero della logistica è un terreno da esplorare sotto la lente dello sciopero sociale, metropolitano, diffuso. Da un lato, la cooperazione offre strumenti che potrebbero essere utilizzati in solidarietà ai lavoratori (pensiamo alla piattaforma tedesca di e-commerce orizzontale Fairmondo o anche alla cooperazione algoritmica di Smart, la più grande cooperativa di freelancers europea). Dall’altro, solo la costruzione di alleanze in carne e ossa e la comprensione del paradigma logistico dentro lo sciopero possono risolvere queste contraddizioni aumentando la potenza del conflitto.

Dal nostro parziale punto di vista, adesso in Germania si aprono due sfide fondamentali.

Anzitutto, è necessario portare avanti un lavoro di inchiesta e condivisione di informazione dentro i luoghi di lavoro della logistica e dentro i magazzini Amazon che ancora faticano a trovare una loro rappresentanza sindacale. Berlino è in questo senso esemplare. I numerosi magazzini presenti nel tessuto metropolitano rimangono luoghi a bassissima sindacalizzazione e ad altissimo impiego di forza-lavoro migrante, europea ed extracomunitaria, e precaria, dato che i corrieri, a maggioranza tedeschi, vengono assunti attraverso agenzie interinali. È necessario, quindi, indagare i meccanismi di sfruttamento e la composizione di classe che attraversano queste realtà: partire dal lavoro e dai lavoratori per attivare percorsi di lotta comuni, che riescano a connettersi ai conflitti già in corso da anni, dentro e fuori la Germania. Facendo quindi di quei luoghi dello sfruttamento un terreno di intervento intersezionale con i migranti, le donne (a Lipsia è altissima la manodopera femminile), i disoccupati e i poveri sotto Jobcenter (che se sono disoccupati da lungo tempo rientrano nell’altra categoria per cui la legge prevede impieghi sotto il salario minimo, spesso in cooperative inserite nella filiera logistica per esempio ai magazzini generali).

L’altra grande sfida riguarda invece gli altri percorsi di lotta nella logistica che in questi mesi sono emersi con dinamiche in parte simili a quelle di Amazon. Soprattutto sul terreno del cosiddetto “capitalismo di piattaforma”. Ci riferiamo ai fattorini di Deliveroo e di Fodoora, anch’esse grandi aziende transnazionali (nate, tra l’altro, nella “Silicon Allee” berlinese) che impiegano forza-lavoro sempre precaria e spesso migrante. In questi mesi, i riders hanno attivato percorsi di lotta in molti paesi d’Europa – come Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna -, cercando di connettersi a livello transnazionale per redigere una piattaforma rivendicativa in grado di superare le ovvie differenze esistenti nel funzionamento del diritto sindacale e del lavoro da paese a paese.

È necessario quindi riuscire a mettersi al servizio di simili dinamiche per connettere queste esperienze, individuare le contraddizioni ricorrenti e passare dall’analisi del paradigma all’attivazione di percorsi comuni.

Occorre mettere in campo pratiche conflittuali che riescano a bloccare i flussi di capitale e di merci che il modello logistico mette a valore, sfruttando al contempo gli imponenti flussi di forza-lavoro migrante. Da Make Amazon Pay allo Shut Down della logistica sperimentato durante lo scorso G20 ad Hamburg: questa è la prospettiva da praticare.

La sfida futura per i movimenti, dentro e oltre la Germania, sta tutta qua.