EUROPA

Frédéric Lordon: a proposito dei “parassiti”

A due giorni dal discorso di Macron, trasmesso in Francia a reti unificate, pubblichiamo questo testo del filosofo Frédéric Lordon che si interroga sulla repressione del governo francese e sul ruolo della stampa nelle vicende del movimento dei gilets jaunes. Un testo utile per comprendere lo stato del “dibattito” e – soprattutto – dello scontro in Francia, nel cuore dell’Europa.
Se Macron, nel suo discorso di giovedì 25 aprile, è arrivato ad affermare che il “Grand Débat” sia un esempio, unico al mondo (!), di nuova democrazia del presidente, questo testo ci rimette duramente con i piedi per terra: il “dibattito” di Macron è stato accompagnato da una feroce repressione, fisica, giudiziaria e mediatica nei confronti di decine di migliaia di manifestanti, giovani e anziani.
A partire dalla vicenda dell’arresto lo scorso sabato del giornalista indipendente Gaspard Glanz, Lordon si chiede che cosa ne sia della libertà di stampa ai tempi della “loi anti-casseur”. La conferenza stampa che è seguita al discorso di Macron ha mostrato il peggiore volto del giornalismo francese, quello compiacente e che non ha il coraggio di chiedere conto al presidente della violenza sistematica della polizia, la quale lascia un segno indelebile nella storia sociale e politica del paese. Al contrario, la stampa si è prestata in modo servile all’operazione di comunicazione che lancia la campagna elettorale per le europee della République en Marche. Sui contenuti del discorso presidenziale torneremo presto, nella consapevolezza che già oggi, sabato 27 aprile, con il XXIV Atto dei gilets jaunes e, sopratutto il 1 maggio, il movimento risponderà con la sua forza espressiva alle fumose proposte dell’Eliseo.

Nel mondo rovesciato, e delirante, del neoliberalismo fascistoide, le offese a parole sono più reali delle offese contro i corpi. Delle mani sono state strappate, degli occhi colpiti, alcune vite sono andate in frantumi, eppure nessuno ha ancora trattato Macron, Castaner e Nunes, che impartiscono gli ordini, per quello che sono: dei “parassiti” .

Doppiamente parassiti diremmo, se ci ricordassimo quelle scene di distopia pura di chi è andato nelle scuole a spiegare ai bambini che con il flashball (nome con cui s’identifica il lanceur de balle de defense in dotazione alla polizia francese, di cui il ministro degli interni Castaner ha tessuto le lodi nel corso di una visita scolastica, n.d.r.) si spara al petto o alle braccia, mentre si lascia mirare alla testa.

In ogni caso, sappiamo che la parola “parassita” è permessa perché è stata vomitata in un tweet da Renaud Dély[1] sui Gilets Jaunes (tutti) indistintamente accusati di gridare “Poliziotti, suicidatevi”, tweet cancellato poco dopo, ma di cui si trova un’abbondanza di equivalenti perfetti tra i suoi stimati colleghi – come la “feccia patetica (lamentables racailles) ” usata da Bruno Jeudy[2] e tanti altri con lui.

Possiamo, se vogliamo, ostinarci a non capire, ma col rischio di finire male un giorno – non solo ignorati ma duramente schiacciati. È vero che in materia di contestazione, i poteri, specialmente i media, hanno un immediato interesse psicologico a giudicare (condannare) piuttosto che a comprendere – e preferiscono quindi “spiegare” invece che scusarsi. Infatti: quando si sente che le risposte saranno troppo dolorose da ascoltare, è meglio non porre le domande. Poi, nella volontà di condanna, i poteri non avranno alcuna idea delle cause per cui molte persone arrivano a gridare questo “suicidatevi”, che non gli sarebbe mai venuto in mente fino a qualche mese fa. Perché molte di queste persone erano tranquille. Ora sono infuriate, sempre di più – ma non c’è niente da capire! Se volessimo, tuttavia, ci sarebbe questo, che dice quasi tutto:

Tweet con i video delle violenze della polizia durante il XXIII atto

Non si contano più le testimonianze di manifestanti scesi in piazza per le prime volte e perfettamente pacifici che il primo incontro con le cosiddette “forze dell’ordine”, come quelle mostrate da queste immagini, ha reso istantaneamente furiosi. Dove possono essere arrivati dopo quattro mesi di repressione senza precedenti da oltre mezzo secolo? L’inizio dell’anno aveva potuto dare l’impressione che i media osservatori, per un impulso etico dell’ultimo minuto, avessero finito per risvegliarsi dal loro rifiuto ostinato, per arrendersi all’idea che non era più possibile “non parlarne” – David Dufresne[3], fa il conto atroce delle mutilazioni, delle foto e dei video da riportare: ci voleva ancora tutto questo perché accadesse qualcosa. Qualcosa, ma in fondo cosa? Probabilmente una falsa vittoria, sotto forma di una conquista tanto effimera quanto perfettamente circoscritta, l’attenzione esclusivamente focalizzata sugli LBD[4] per nascondere il resto della violenza della polizia. Dunque i media, col sentimento di aver svolto una volta per tutte il loro compito, non mostrano più nulla (tranne che per un episodio enorme, difficile da evitare, come quello di Geneviève Leguay[5]).

In queste condizioni, le violenze verbali, separate dalla violenza fisica che le ha generate (senza essere commisurabili a quest’ultime!) sono destinate a diventare tanto più riprovevoli perché “senza causa”. Ma l’occultazione sistematica di cui i media sono diventati gli agenti va anche oltre, poiché non ci si accontenta di censurare le immagini, ma anche di censurare le parole. Non contenti di non parlare delle azioni effettive della polizia, non dicono nulla neanche, ad esempio, di questo “poliziotti non suicidatevi, unitevi a noi”, su cui c’era comunque qualcosa da dire, almeno, un commento.

France Info, media lacchè per eccellenza, addetto alla difesa di Carlos Ghosn[6], di HRD[7], della polizia e dei commercianti, dedito al macronismo a un punto di servilismo che farebbe passare la reazionaria “Pravda” per una fanzine alternativa di rock, France Info isterizza il “suicidatevi”, come aveva isterizzato Christophe Dettinger, il pugile CRS, poi il gattino del pugile, poi (ma nella direzione opposta) la colletta per la polizia (letteralmente: utilizzando grida di trionfo al microfono ). Tuttavia, quando Luc Ferry[8] chiede che si smetta e che l’esercito spari nel mucchio, quando il segretario generale dell’Unità di Polizia FO dichiara tranquillamente di una persona mutilata che ha appena perso la mano che “se lo meritava vista la sua faccia”, France Info non isterizza nulla. E quando le sarà possibile far ascoltare la piazza che dice “unitevi a noi” (rivolto alla polizia n.d.r.), non dirà nulla.

Qui pensiamo irresistibilmente alle tre piccole scimmiette. Anche se in realtà no, dovremmo pensare ad altro: perché, almeno, con gli occhi e le orecchie tappati, le scimmiette di giada hanno la decenza di tacere completamente, mentre quelle dei microfoni, che non vedono nulla e non sentono niente, tacciono solo selettivamente e, per il resto, parlano, parlano, parlano, non smettono mai di parlare, ma in un lungo flusso di odio, disprezzo, razzismo sociale, a volte razzismo e basta, proprio come una vomitata continua. Con la calma rassicurante degli aristocratici, Nicolas Domenach sul set di BFM Tv, osa dire a Jérôme Rodrigues[9], al contrario, di “[non usare] parole come sparare“. Domandiamo a questi professionisti: 1) È meglio o peggio di “Poliziotti suicidatevi”? 2) Nicolas Domenach[10] è un parassita? Ci si chiede, in ogni caso, con quale forza d’animo, andando ad attingere a quali risorse morali, Rodrigues non si sia alzato per andare a sferrargli un pugno in faccia.

In attesa di decidere su queste delicate questioni, è necessario che altri giornalisti facciano il lavoro che i giornalisti di servizio non fanno: mostrare. Gaspard Glanz è uno di loro. È logico dunque che venga fermato. Anche Reporters Sans Frontière si è indignato, per dire. La “professione”, a parte i sindacati (tutte le stesse cose), non dice una parola. Non aveva tuttavia dimenticato di alzarsi in piedi come un sol uomo quando Mélenchon aveva dato ai giornalisti di France Info dei “deficienti” (questione sulla quale non vediamo come potremmo dargli torto). Dobbiamo credere che la fratellanza sia a geometria variabile – cosa che per altro sappiamo già da molto tempo: la solidarietà, ma a condizione di stare dalla parte giusta.

Tuttavia, chi comanda inizierà ad avere problemi: perché sono le loro stesse truppe, giornalisti sul campo e fotografi, che ora stanno indistintamente bastonando un potere che non ha più nemmeno coscienza dei suoi interessi più basilari – mantenere la “stampa” dalla sua parte – o meglio gli interessi ad occultare tutto sono diventati così potenti da prevalere su tutti gli altri, anche se il metodo se è un po’ costoso. Ah, se “la stampa” fosse ridotta a quella padronale – che sa da molto tempo che di Albert Londres[11], del dovere di dire, della custodia della democrazia, della penna nella ferita, bisogna gioiosamente fregarsene.

Ma non saltiamo così sulla divisione del lavoro, dobbiamo contare su questa manovalanza: i fotografi e giornalisti sul campo che riportano “cosa succede”. Mentre le penne importanti, inchiodate alla poltrona, si riservano l’editoriale e la perorazione – potrebbe essere che la lotta di classe, oggetto di negazione universale nei media, ritrovi ad un certo punto un futuro. Perché, da Taranis (media indipendente francese, ndr.) ai possessori di accrediti di stampa che non avevano esitato nel presentare una denuncia contro la violenza della polizia alla fine del 2018, c’è una zona grigia del giornalismo proletarizzato, metà dentro metà fuori, che rischia, che fa il lavoro … per vedere il prodotto del proprio lavoro sporcato dai piani alti – grandi immagini di cortocircuito dell’arresto di Gaspard Glanz, dove vediamo un altro giornalista che si prende una carica dei CRS mentre lavora… per Le Figaro! E se, a forza di granate di désencerclement (per disperdere assembramenti, ndr) e di LBD (gli spara-pallottole di caucciù), questa manovalanza della stampa finisca un giorno per protestare? anche soltanto per esigere che si mostri?

O perché no, già che ci siamo, per dire qual è lo scopo della legge “anti-casseur” – una legge che “serve” anche contro di loro! Gaspard Glanz non è forse stato imprigionato con il celebre capo di accusa di “partecipazione in un gruppo in procinto di commettere …”, capo di accusa che può far arrestare tua nonna se passa da lì? Per quanto riguarda Alexis Kraland[12], non viene arrestato anche perché la sua macchina fotografica è “arma impropria” e lì, sentiamo che ci stiamo dirigendo verso le vette. “La stampa” avrà qualcosa da dire quando una fotocamera diventa un’arma impropria? E, inevitabilmente, un microfono (anche se non ha il passamontagna), o una penna (terribilmente pensata per essere appuntita). Per quanto riguarda gli startupers (e ovviamente non è un caso), la gorafizzazione [la presa per il culo] è dire the sky is the limit! La Francia 2019 di Macron sembra un album di Tintin degli anni ’50, il General Alcazar è fra i cavoli – il cielo! Eppure dalla parte della “stampa”, tutto è a posto, nulla da dichiarare – tranne la caccia ai parassiti (un po’ anni ‘30). Ma come abbiamo già avuto l’opportunità di dire, questa gorafizzazione non è davvero divertente.

Non c’è niente da ridere nel vedere un regime affondare in forme di stato di polizia – le stesse che fanno ridere a crepapelle Renaud Dély (l’uomo dei parassiti) come una “fantasia” grottesca. Per chi ha due occhi per leggere (e senza dubbio Dély o Domenach conserveranno i loro due) può leggere le istruzioni date alla Procura, e anche trovare un paio di informazioni su quelle date alla polizia. Possiamo anche ascoltare i discorsi di Édouard Philippe dopo il 16 marzo. È possibile conoscere il pedigree di questa nuova razza di prefetti-battitori da Strzoda arrivato all’ Eliseo, ma venuto dalla Bretagna dove si è già fatta una solida reputazione durante la “Loi Travail” fino a Lallement (il nuovo prefetto di polizia di Parigi, ndt), nel quale il dovere di rispetto per il fisico e per la differenza proibisce di vedere un lemure, ma le cui direttive parlano per lui – la nuova élite di un corpo prefettizio completamente alla deriva.

Un potere non segnala solamente la sua fragilità quando fa dare i suoi colpi, dai prefetti gallonati fino ai soldati della truppa, ma anche quando inizia ad avere paura dei segni. Infatti, va notato che i punti di fissazione di questo Atto XXIII hanno a che fare con i segni: parole (il famoso slogan anti-poliziotto), alcune immagini, o meglio: la semplice possibilità di immagini, accompagnata da un dito impagliato. Più di ogni altra cosa, questo potere, circondato dai suoi lacchè, non teme più solo di essere mostrato nella sua realtà, ma è spaventato dagli attacchi simbolici di cui diviene l’oggetto: si è infiammato al tempo delle parodie della ghigliottina, si infiamma quando vengono rimossi i ritratti di qualche reuccio nei municipi (il ritratto ufficiale del presidente Macron, ndr), quando parole semplici lo umiliano. Scorticato nudo, senza alcun accenno di legittimità, il minimo attacco di questa natura gli è insopportabile. Così, in una furia cieca, che dice del suo stato di nervi, egli perseguita tutto ciò che può perseguitare (e anche ciò che non può) – si annuncia che la giustizia si scatena contro coloro che hanno gridato “suicidatevi”. Ovviamente questa è solo una corsa all’abisso poiché, nel farlo, continua ad approfondire le cause che alimentano il suo discredito. Diciamoglielo nel caso in cui non lo sappia: un potere in un tale stato di riduzione (così ridotto), un potere in questo grado di distacco simbolico, è un potere perduto.

 

Articolo apparso in francese sui siti mediapart e lundimatin

Traduzione italiana a cura di DINAMOpress

 

 

[1] Renaud Dèly – giornalista di l’Obs e di Marianne. Editorialista di France.info

[2] Bruno Jeudy – giornalista capo redattore di Paris-Match

[3] David Dufresne – giornalista di Libération e fondatore del sito di informazione Mediapart

[4] LBD – lanciatore di palle di difesa in materiale caucciù in dotazione alle forze di polizia

[5] Genevieve Leguay – donna di 73 anni ferita gravemente a Nizza il 23 marzo durante una manifestazione

[6] Carlos Ghosn – amministratore delegato di Renault Nissan, arrestato a Tokyo per illeciti finanziari

[7] HRD – società di investimenti in diamanti

[8] Luc Ferry – Filosofo e politologo scrive su Le Figaro.

[9] Jérôme Rodrigues – attivista dei Gilets Jaunes ferito a un occhio durante la manifestazione del 26 gennaio

[10] Nicolas Domenach – giornalista per Canal+, Challenges, BFM TV

[11] Albert Londres – giornalista 1884-1932 autore di grandi inchieste

[12] Alexis Kraland – giornalista arrestato insieme a Gaspard Glanz