ROMA

Forget it, Jake. It’s Chinatown

Il varo del governo Letta sparecchia il tavolo romano.

Non è politica è Roma. E’ il messaggio dell’ex senatore Marino, ora candidato sindaco, per la coalizione Roma Bene Comune. Manifesti ed autobus trasmettono il suo menù. Da tempo in preparazione sulla tavola apparecchiata a cui si sono “attovagliati” Sel e Socialisti subito dopo l’antipasto, già consumato, rappresentato dalle primarie. Non abbondante, come aveva pensato lo chef, ma sostanzioso. Programmato, come nella miglior cucina, quale “piatto di rinforzo” all’interno di una sequela di trionfi culinari (elezioni nazionali, camera ,senato, regionali); il piatto del Campidoglio si è trasformato completamente. Per l’incapacità del cuoco emiliano; per chi ha cambiato l’ordine del piatto in corsa; per chi, addirittura. ha deciso di non partecipare al convivio. Quello che doveva servire solo a convincerci della bontà e sicurezza della linea prescelta, diventa, di fatto, il nuovo piatto principale.

Non è politica è Roma e – Roma – è oggi il primo test importante per il governo della felice coabitazione plurale che si troverà, da subito, a confrontare questa nuova impensabile architettura con chi sarà chiamato ad accettare questa novità. L’ex senatore Marino, ora candidato sindaco, ha pensato a Roma come una città doppiamente off-shore. Rispetto alla politica. Rispetto al suo territorio. Due condizioni, oggi, impossibili.

Non è politica è Roma, ma Roma non è politicamente off-shore. Il voto al governo Letta, il governo in coabitazione tra Pd e Pdl, cancella il cosiddetto modello (o schema) Acea che, a partire dalla battaglia condotta dentro e (soprattutto) fuori dal Consiglio Comunale contro l’ipotesi della vendita di quel servizio, la coalizione di Marino pensava di poter riproporre. La diversità del PD romana, millantata da SEL, naufraga. Tirata giù nell’abisso dal voto allineato e compatto da parte, non solo di quel partito, al governo Letta, ma anche – particolare non secondario- dal “si” di quelli stessi consiglieri comunali che, partecipi di quella lotta, sono oggi in Parlamento.

Non è politica è Roma, ma Roma non è off-shore rispetto al suo territorio. Tutto il suo territorio è merce. Un fenomeno inarrestabile che è avvenuto ed avviene attraverso l’espropriazione territoriale messa in atto con la realizzazione della città diffusa, che continua a costruirsi per addizione di spazi indefiniti espropriando il territorio, privatizzando ogni risorsa naturale e comune al fine di continuare ad accaparrarsi, con voracità, rendita e profitto. Roma è schiacciata da oltre 20milioni di metri cubi di Alemanno incagliatisi, per ora, nell’ultima votazione del Consiglio Comunale e i 35 che ancora, sui 65complessivi, devono essere vomitati dal Piano Regolatore di Veltroni.

Non è politica è Roma, ma la domanda è questa: a chi andranno le briciole (sostanziose in verità comunque) di questo grande boccone preparato per sé dal potere finanziario immobiliare? A chi, a parole, parla di dire basta al consumo di suolo?, a chi dice di opporsi alla svendita di interi pezzi della città pubblica piuttosto che metterne in discussione la vendita? a chi non spende una parola contro la campagna indecente del Messaggero che accetta che si costruiscano case da lasciare inabitate e si accanisce verso chi senza casa si azzarda per varcare quelle soglie?

Non è politica è Roma, dove la riproposizione locale del governo in coabitazione nazionale vuol dire che non sarà chi la città abita a decidere cosa fare, ma saranno le istituzioni economiche e della finanza a farlo. Interpretando il reddito di cittadinanza, come da programma Letta, quale aiuto alle famiglie più in difficoltà, con l’IMU a scomparsa (che detto da Letta è musica per Alfano), con la conseguente eliminazione delle politiche di welfare per raggranellare denaro, con il condannarci ad una vita scandita su atti di governo frutto di scelte e decisioni “altre” su cui non abbiamo nessuna possibilità di intervenire.

Non è politica è Roma, dove Ignazio Marino nasconde che tutto questo si rifletterà conseguentemente sui nessi amministrativi; dove Alfio Marchini tra un cinguettio e l’altro, tra radio e televisioni, chiede fiducia per “tecnici” belli e bravi come lui, al fine di far quadrare le decisioni esecutive dispotiche del governo sulla legislazione comunale; dove Gianni Alemanno continua a dire che la prossima volta farà meglio ( più sgomberi di rom, più assunzioni di parenti, più scandali ?), dove il candidato del M5S dice “tutti a casa”, ma tace su chi casa non avendola se la prende tra lo stock dei quelle invendute e tenute volutamente sfitte.

Non è politica è Roma, dove la Costituzione della Repubblica Romana, votata il 1 luglio del 1849, fu l’arma principale con cui ci si oppose ai cannoneggiamenti francesi. Oggi la scelta di quel riferimento ha il significato di battersi per un nuovo assetto istituzionale che trovi nella Democrazia dei Beni Comuni la carta della trasformazione di Roma.

Parafrasando il tenente Escobar che ammonisce J.J. Gitter, aka “Jake”, nel celebre film: “Marino, Alemanno, Marchini, De Vito, lasciate perdere. È Chinatown”.