MONDO

Figlia mia, queste sono lacrime di lotta

Il padre di Ahed Tamimi, l’attivista palestinese arrestata lo scorso 19 dicembre dall’esercito israeliano: “sono orgoglioso di mia figlia. È una combattente libera che nei prossimi anni guiderà la resistenza alla dominazione Israeliana”

Anche questa notte, come tutte le altre da quando dozzine di soldati hanno fatto irruzione nella nostra casa nel cuore della notte, mia moglie Nariman, mia figlia Ahed di sedici anni e sua cugina Nur, la passeranno dietro le sbarre. Nonostante sia il primo arresto per Ahed, lei non è estranea alle vostre prigioni. Mia figlia ha passato tutta la sua vita sotto la pesante ombra delle prigioni israeliane – dalla mia lunga incarcerazione durante la sua infanzia, passando per i ripetuti arresti di sua madre, suo fratello e degli amici, alla più o meno implicita minaccia della continua presenza dei vostri soldati nelle nostre vite. Quindi il suo arresto era solo una questione di tempo. Un’inevitabile tragedia annunciata.

Diversi mesi fa, in un viaggio in Sud Africa, abbiamo proiettato pubblicamente un video che documenta la battaglia nel nostro villaggio, Nabi Saleh, contro il dominio israeliano. Dopo la riaccensione delle luci, Ahed si è alzata in piedi per ringraziare le persone del loro supporto. Quando ha notato che qualcuno nel pubblico stava piangendo, ha detto: “forse saremo vittime del regime di Israele, ma siamo tanto orgogliosi della nostra scelta di combattere per la nostra causa, nonostante il noto prezzo da pagare. Noi sapevamo dove ci avrebbe condotto questa strada, ma la nostra identità, come popolo e come individui, è piantata nella lotta, e trae la sua ispirazione da qui. Al di là della sofferenza e della quotidiana oppressione dei prigionieri, dei feriti e degli assassinati, noi conosciamo anche il tremendo potere che proviene dall’appartenere ad un movimento di resistenza: l’abnegazione, l’amore, il piccolo sublime momento che viene dalla scelta di abbattere l’invisibile muro della passività”.

“Io non voglio essere percepita come una vittima, e non voglio dare alle loro azioni il potere di definire chi sono e cosa sarò. Io ho scelto di decidere per me stessa come voi mi vedrete. Noi non vogliamo che supportiate la nostra causa in ragione di qualche lacrima fotogenica, ma perché noi abbiamo scelto la lotta e la nostra lotta è giusta. Questo è l’unico modo in cui riusciremo a smettere di piangere un giorno”.

Mesi dopo quell’evento in Sud Africa, quando ha affrontato i soldati che erano armati dalla testa ai piedi, a motivarla non era la rabbia improvvisa per il grave ferimento del quindicenne Mohammed Tamimi avvenuto non molto prima, pochi metri lontano. Non era nemmeno la provocazione di quei soldati che entravano nella nostra casa. No. Questi soldati, o altri identici nelle loro azioni e nel loro ruolo, sono stati ospiti in casa nostra non voluti e non invitati da quando Ahed è nata. No. Lei se ne stava lì in piedi dinnanzi a loro perché questa è la nostra modalità, perché la libertà non è data come carità, e perché, nonostante il prezzo sia alto, noi siamo pronti a pagarlo.

Mia figlia ha solo sedici anni. In un altro mondo, nel vostro mondo, la sua vita sarebbe completamente differente. Nel nostro mondo, Ahed è un’esponente della nuova generazione del nostro popolo, di giovani combattenti liberi. Questa generazione deve intraprendere la lotta su due fronti. Da un lato, hanno il dovere di continuare a sfidare e combattere il colonialismo israeliano nel quale sono nati, fino al giorno in cui collasserà. Dall’altro lato, devono audacemente affrontare la stagnazione politica e la degenerazione che cresce attorno a noi. Devono diventare l’arteria vivente che rianimerà la nostra rivoluzione e la riporterà indietro dalla morte che comporta una imperante cultura della passività cresciuta in decadi di inattività politica.

Ahed è una delle tante giovani donne che nei prossimi anni guiderà la resistenza alla dominazione israeliana. Non è interessata alle luci dei riflettori puntate su di lei a causa del suo arresto, ma ad un cambiamento genuino. Lei non è il prodotto di uno dei vecchi partiti o movimenti, e con le sue azioni sta mandando un messaggio: per sopravvivere, noi dobbiamo candidamente affrontare le nostre debolezze e sconfiggere le nostre paure.

In questa situazione, il più grande dovere per me e la mia generazione è di sostenerla e di preparare la strada; di contenerci e non provare a corrompere e imprigionare questa giovane generazione nella vecchia cultura e nelle ideologie in cui siamo cresciuti.

Ahed, nessun genitore al mondo sogna di vedere sua figlia passare i giorni in una cella di detenzione. Nonostante questo, Ahed, nessuno potrebbe essere più orgoglioso di quanto io lo sono di te. Tu e la tua generazione siete abbastanza coraggiosi, alla fine, per vincere. Le tue azioni e il tuo coraggio mi riempiono di ammirazione e mi fanno venire le lacrime agli occhi. Ma, come da tua richiesta, queste non sono lacrime di tristezza o di rammarico, sono lacrime di lotta.

 

*Bassem Tamimi è un attivista Palestinese

Articolo pubblicato su Haaretz

Traduzione di DINAMOpress