SPORT

Febbre a 90 – 5a puntata

La rubrica su calcio e dintorni di DinamoPress

Di Campionato spezzatino, stadi vuoti, calcio inglese e il movimento ultras in Egitto

Giulio Ciacciarelli

I posticipi di ieri tra Samp e Udinese (vittoria esterna per i friulani, con un perentorio 0-2 firmato da Danilo e dal solito Di Natale)e Bologna e Lazio (0-0 al termine di un match in cui ha prevalso il gelo e la noia), hanno chiuso l’ennesima giornata spezzatino del massimo campionato di calcio italiano, che come al solito per far spazio alle esigenze televisive, la forma di introito ormai principale per tutto il movimento, visto il perdurante e progressivo abbandono degli spalti da parte del pubblico di affezionati italiani, e compresso com’è all’interno del calendario europeo che tra coppe e match delle nazionali, vive la sua massima intensità tra settembre e dicembre, è costretto a far di necessità virtù e a programmare partite di serie A in orari e giorni un tempo considerati tabù, come il lunedì e il martedì.

Marassi e Dall’ara, due stadi deserti, meno di 5000 presenze in due, per i match di ieri sera: paradigmatica l’immagine giunta dallo stadio di Genova, in cui il settore ospiti, per l’occasione destinato ai tifosi dell’Udinese, era occupato da un solo singolo supporter friulano. Un problema che ormai si trascina da lungo tempo, quello della scarsità di appeal di una partita vista e vissuta in prima persona dentro uno stadio: i motivi di questa disaffezione sono noti.

Da una parte i morsi di una crisi che sta sempre più colpendo i ceti deboli ed esposti; dall’altra le date improbabili di svolgimento delle gare; davanti la recrudescenza di fenomeni di violenza e di inciviltà da parte di sedicenti gruppi ultras ormai auto ghettizzatisi nella loro autoreferenzialità, prima ancora che dalle forze dell’ordine, incapaci di intercettare le potenzialità, le urgenze e i bisogni di un pubblico che chiede soltanto di essere (o di credersi, ma è uguale) partecipe delle sorti della propria squadra, qualunque sia il suo grado di passione; di dietro l’impossibilità di godersi l’evento in un impianto comodo, raggiungibile, polifunzionale, accogliente, sicuro.

Quest’ultimo un aspetto della questione analizzato proprio domenica scorsa, dopo il derby tra Juventus e Torino, in relazione al trend europeo che vede lo stadio di proprietà come panacea di tutti i problemi appena esposti.

Soluzione chiesta a gran voce dalla maggioranza dei presidenti dei club italiani, che invocano una legge allo stato per agevolare la possibilità di sfruttare aree pubbliche per la costruzione del proprio impianto privato. Soluzione che come detto può nascondere il rischio di abusi e aggressioni al territorio. Ma anche soluzione poco adatta alla conclamata pigrizia tutta italiana nel non voler affrontare i problemi ed assumersi le responsabilità.

Nel frattempo, in uno stadio di proprietà, ed uno di quelli giudicati più all’avanguardia nel mondo, l’Etihad di Manchester, al termine di uno dei derby più accesi d’Europa, soprattutto dopo l’ultima stagione che ha visto la conquista dello scudetto da parte dell’eterna seconda, si sono verificati incidenti come da tempo non se ne vedevano in Inghilterra. Il 3-2 maturato allo scadere dagli ospiti dello United, ai danni degli scudettati rivali cittadini del City, ha scatenato la rabbia dei tifosi di casa, dapprima attraverso il lancio di monetine nei confronti di Rooney e poi, con conseguenze molto più gravi, di Ferdinand (ferita lacero contusa alla fronte), in seguito con l’invasione di campo di un supporter biancoceleste provvidenzialmente bloccato dal portiere di casa Hart.

E’ stato lo stesso Manchester City a collaborare con la giustizia e a favorire l’identificazione, e conseguente arresto, di tredici tifosi della squadra, che ora rischiano l’allontanamento a vita dagli stadi. Cosa che come detto la scorsa settimana, in Italia appare del tutto improbabile, viste le dichiarazioni di scarico delle responsabilità da parte della dirigenza bianconera rispetto agli striscioni e ai cori che sempre più spesso si notano all’interno dello Juventus Stadium.

E sarà la stessa Federazione calcistica inglese, a provvedere, con una serie di misure tanto per cambiare repressive, che l’episodio non accada mai più. La consapevolezza che in Inghilterra questa è l’unica via per intervenire di fronte ai disordini da stadio va a braccetto con la scomparsa di un fenomeno ultras che non ha mai brillato per progettualità e capacità di autocoscienza, tutto il contrario di quanto successe in Italia alcuni anni fa, precisamente verso la fine degli anni ’90, quando il fenomeno riuscì ad intercettare le logiche del passaggio dal calcio al neocalcio e a prevedere quanto poi si sarebbe verificato di lì a poco, a livello di dinamiche sociali ed economiche.

E’ passata un’eternità, e di quella consapevolezza ultras è rimasto non molto, soltanto l’atteggiamento esteriore ed autoreferenziale, la predisposizione per le azioni fini a sé stesse, l’odio per le forze dell’ordine e poco altro, un vero peccato, quello di non aver saputo interrogarsi , mettersi in discussione e gestire una piattaforma di consapevolezza e rivendicazioni comuni e praticabili, legate al calcio e non solo, qui in Italia.

Fenomeno ultras che invece, quanto a consapevolezza, sta dando dei frutti inaspettati in paesi in cui il calcio non è certo una tradizione. Mentre la plurititolata Al Ahly, squadra del Cairo campione africana in carica, vola in questi giorni in Giappone a contendere il titolo di campione del mondo per club a Chelsea e Corinthians, i suoi tifosi, assieme a quelli dei rivali cittadini dello Zamalek, sono tra i principali fautori degli scontri di piazza e delle manifestazioni che stanno infiammando l’Egitto e la capitale per la seconda volta nel giro di pochi mesi.

La contestazione al presidente Morsi, giunto al potere dopo la sollevazione popolare che nel 2011 riuscì a spodestare la trentennale presidenza Mubarak, alla quale parteciparono attivamente gli ultras delle due squadre, sta vivendo in questi giorni una recrudescenza molto preoccupante, il paese è di nuovo sull’orlo di una guerra civile. Gran parte del fuoco delle proteste viene alimentato da un’opposizione trasversale e diffusa, che vuole impedire il progressivo accentramento di potere da parte del presidente in carica. Al loro fianco, nelle piazze, di nuovo gli ultras di queste due squadre.

Ultras non intrisi di alcuna ideologia politica, né tantomeno religiosa (non risulta siano organici alla Fratellanza Musulmana né ad altre organizzazioni islamiche), da sempre aggressivi e violenti contro i tifosi rivali e contro la polizia, ma consci del proprio ruolo, delle proprie prerogative, in grado di esercitare senso critico nei confronti della realtà che li circonda, ed agire di conseguenza, unendosi al di là delle rivalità sull’onda degli avvenimenti che stanno sconvolgendo la società civile.

Nel video che segue gli ultras del Al Ahly entrano in Piazza Tahrir durante le proteste per l’assoluzione dei poliziotti responsabili dell’assassinio di alcuni manifestanti durante una precedente manifestazione contro il regime:

Conte is Back!

di ZeroPregi

Avete presente Nick Brody, il protagonista della serie tv Homeland? Il militare americano che torna dopo 8 anni di prigionia in Afghanistan? Ieri in Italia è stato celebrato il nostro Brody e si chiama Antonio Conte. Peccato che l’allenatore juventino però non sia reduce da nessuna prigionia ma da una squalifica di dieci mesi, ridotta successivamente a quattro, per “omessa denuncia” riguardante uno dei processi sul calcio-scommesse. Insieme a Conte sono stati squalificati anche alcuni calciatori, ma non essendo troppo famosi non se ne fa mai menzione. Conte torna e viene celebrato come una vera star. Giornali e tv, con Sky che dedica una telecamere personalizzata per seguire ogni movimento del nostro Eroe. Applausi, elogi e pericolose metafore per raccontare l’esilio e il ritorno di uno sportivo squalificato per l’inchiesta sulle combine quando era tecnico del Siena.

Ed è stata una vera e propria farsa che mette a nudo quanto il giornalismo italiano, ma anche i tifosi o gli appassionati di calcio, siano indulgenti verso chi vince oppure è semplicemente famoso. Chi tira in ballo le toghe anti-juventine non è diverso da chi tira in ballo le toghe rosse. Magari accade pure che chi difende la magistratura dagli attacchi di un Berlusconi sia lo stesso che attacca la magistratura anti-Conte. Lo stesso vale per gli invasati giustizialisti, pronti a difendere anche le sentenze più inquietanti. Non azzardiamo giudizi di merito sulla sentenza che coinvolge Conte, non abbiamo letto tutte le carte in merito. Quel che sappiamo è che ancora una volta di fronte all’ennesima pagina di calcio-scommesse non si è voluti andare fino in fondo, preferendo colpire solo gli indifendibili, soprattutto se sono nomi di serie B. Lo stesso avvenne qualche anno fa col processo sul doping o sulla “triade” juventina (Moggi,Giraudo e Bettega). The show must go on. Eppure noi, “malati di calcio”, sappiamo bene che si tratta di uno sport malato. Del resto, può essere sano un ambiente in cui girano tutti miliardi di euro?

Conte non è un nuovo caso Tortora e i commenti che hanno accolto il suo rientro sono piuttosto “particolari”. Su La Repubblica Vocalelli saluta Conte ed esalta Agnelli: “Invece la Juve, col presidente Agnelli in testa, è stata formidabile. Difendendo Conte ha difeso la compattezza dell’ambiente”. Lo stesso Agnelli che due mesi fa diceva (come un Berlusconi o un Putin qualsiasi) “non riconosco questa giustizia”, parlando dei famosi “30 scudetti sul campo”. Su La Stampa e Corsera si riprendono le parole dell’allenatore: “Sono stati quattro mesi di dolore”. Lo stesso fanno Gazzetta e Corriere dello sport. Oppure, come sentito ieri sera in uno dei nostri tg, “Conte torna in panchina dopo le vicende che tutti conoscete”. Ma è informazione questa? Le vicende che tutti conosciamo? Ma cosa dite?

Le stesse parole del mister juventino sono state sibilline: “Si è preferito esaltare altre realtà: ritorni di fiamma e tecnici emergenti facendo passare in secondo piano le nostre imprese.” Ma cosa? Ma chi? Ma che stai a dì?

Nessuna voce critica, nessuna voce neutra soprattutto. Conte non è una vittima di chissà quale complotto. Le combine nel calcio ci sono. Secondo il tribunale, lui ha omesso di denunciare quelle riguardanti la propria squadra e tanto basta per essere squalificati. Non si tratta né di essere giustiziasti né forcaioli o altro. Qui si tratta di fare informazione e non essere sempre proni sistematicamente al potente di turno. L’indulgenza è una malattia tutta italiana, forse sarà retaggio di una cultura cattolica di cui siamo imbevuti. Probabilmente se Antonio Conte lo scorso anno non avesse vinto il campionato ma fosse stato esonerato dopo tre mesi, non lo avrebbero accolto come un eroe né lo avrebbero incensato.

Oggi finisce anche la squalifica di Portanova, difensore del Bologna. Per lui non c’è stato dolore. Per lui non ci sarà nessuna telecamera personalizzata. Meglio.