SPORT

Febbre a 90 -15a puntata

Saluti romani a porte chiuse.

Come preannunciato ormai da lungo tempo, la Uefa ha squalificato il campo della Lazio per i prossimi due turni casalinghi, che la compagine di Petkovic dovrà affrontare a porte chiuse.

Una brutta tegola sull’immagine del più antico sodalizio della capitale, che è costretta a pagare a caro prezzo le ignobili gazzarre neofasciste di una parte della sua tifoseria.

La saldatura tra ultras Laziali e uno spezzone significativo della destra antisistema romana ha radici antiche e salde, e quanto accaduto durante Lazio Borussia della scorsa settimana, benché sia davvero pochissima cosa rispetto ad altre ben più appariscenti manifestazioni di questo legame (si pensi a Lazio Livorno del 2005, ma anche al recente Lazio Tottenham), non fa che confermare la scala delle priorità del gruppo egemone di Curva Nord. Al quale evidentemente interessa più configurarsi come paradigma del tifoso neofascista europeo che come baluardo della Lazialità.

Eppure nell’ultimo anno e mezzo, avevamo assistito ad una parziale ma significativa trasformazione del tifo organizzato in Nord, il nuovo gruppo, subentrato a una precedente gestione autoimplosa nelle sue contraddizioni, l’ultima delle quali, quella fatale, la Polverini sugli spalti a fianco dei capi ultras, era riuscito a dare un’impronta nitida e una spinta sostanziale verso una marcata “Lazializzazione” del suo operato. Pur senza ovviamente rinunciare a un certo armamentario di destra, la Curva Nord era riuscita a limitare progressivamente le esternazioni più scomode e a farne un elemento secondario nella manifestazione della propria identità all’interno dello stadio.

Nelle ultime partite erano spariti quasi del tutto cori antisemiti e ululati ai giocatori neri, lasciando il posto per la quasi totalità del tempo a un tifo genuino ed appassionato a favore della squadra.

Cosa sia successo da gennaio a oggi, è un mistero.

Di certo la campagna acquisti di gennaio aveva riportato l’ostilità strumentale nei confronti della dirigenza a livelli vicini al limite di guardia, i cori contro Lotito si sono riaffacciati allo stadio con sempre più frequenza. Ma non basta a spiegare Lazio Borussia e soprattutto Lazio Pescara di lunedì scorso, in cui tutto il triste repertorio neofascista, razzista e antisemita è tornato a farsi sentire con forza dagli spalti della Nord dell’Olimpico.

Per fortuna alla Figc hanno sempre chiuso un occhio, così come fanno per molte altre realtà del tifo italiano, a cominciare da Juventus, Inter, Roma, le cui tifoserie sono altrettanto generose nel regalare spunti di vergogna al calcio italiano.

Alla Uefa però non si sono mostrati altrettanto disposti a chiudere occhi e orecchie e di conseguenza a fare sconti: si tenga presente che l’organizzazione calcistica europea è di fatto un ente privato che vende un prodotto, in questo caso sportivo, e questo prodotto non può che essere presentato con un’immagine positiva, immacolata.

Se qualcuno sporca questa immagine, beh, si sostituisce con qualcun altro, semplicemente. Se la Lazio va fuori dalla Europa League diventa un problema in meno, un discorso semplice e lineare. Chi di noi organizzerebbe un torneo per farci partecipare anche una squadra i cui fans insultano gli avversari con offese da KKK e sfoggiano simboli di ideologie lugubri e sepolte dalla storia? Nessuno, ovviamente.

Tantomeno la Uefa, che oltretutto non lo fa gratis, ma paga profumatamente le squadre ogni volta che passano il turno.

In questo senso a poco varranno i tentativi di difesa della società che nel presentare ricorso ha parlato di saluto romano e non fascista. La Uefa non bada per il sottile, quando si tratta di problemi di immagine, e dalla sua, del resto, ha gli ultimi 20 anni di precedenti che parlano da soli, senza bisogno di aggiungere altro.

Lotito, il presidente della Lazio parla di condanna ingiusta, abnorme, la squadra paga le colpe di un numero esiguo di delinquenti, che nulla hanno a che fare con la tifoseria.

E’ un discorso che in quanto tifoso della Lazio mi sento di condividere, ma solo in parte: all’Olimpico sempre più spesso è possibile assistere a manifestazioni di disapprovazione da parte del restante pubblico nei confronti dei pochi, sparuti tentativi (fino a Lazio Pescara) di inscenare manifestazioni razzistiche o antisemite da parte dei cosiddetti delinquenti.

Ogni tanto ci provano, e sempre più spesso vengono seppelliti da fischi ed improperi. Così è stato anche a Lazio Pescara, e dopo quanto accaduto ieri con la squalifica del campo, sono pronto a scommettere che la disapprovazione sarà ancora più diffusa. La condanna della Uefa va così a colpire l’unica tifoseria che al suo interno ha dimostrato inequivocabilmente il proprio dissenso nei confronti di certe pratiche. Non è così ad esempio per la Juventus, la cui tifoseria in questo ultimo anno ha fornito un escalation razzista senza precedenti, non si contano infatti gli striscioni e i cori in tal senso, regolarmente ignorati dal resto dello stadio che preferisce vivere la partita nella più totale indifferenza. E non è così per molti altri casi: solo all’Olimpico quando gioca la Lazio è possibile assistere a tali manifestazioni di consapevole, attivo dissenso.

Il motivo per cui condivido solo in parte le argomentazioni della Lazio è che mi sembrano come minimo strumentali, dal momento che fino ad oggi la società, a parte la maglia con la scritta No Racism all’indomani dei fatti di Lazio Tottenham, non ha fatto nulla di concreto per arginare il problema.

Lotito con le sue dichiarazioni fataliste (“non possiamo controllare la bocca delle persone, abbiamo le mani legate…”) non fa altro che ributtare la palla dall’altra parte della rete, qualsiasi cosa ci sia. Non è difficile trovare corrispondenza tra quanto accaduto e le velleità di questa presidenza a proposito dello stadio di proprietà, indicato da sempre come panacea di tutti i mali, come soluzione finale per tutti i problemi legati all’ordine pubblico e alle turbolenze da tifoseria.

La sostanziale mancanza di iniziativa da parte della società in sostanza tende a far passare il concetto che non c’è niente da fare per arginare il fenomeno, tranne una cosa: lo stadio di proprietà.

Ma non sono convinto che non ci sia nulla da fare: in Inghilterra, le società, di fronte a casi del genere, fanno la prima cosa che salterebbe in mente a qualunque cittadino di fronte alla consumazione di un reato. Denunciare.

Nel caso del West Ham di pochi mesi fa, quando alcuni tifosi intonarono un inno a Hitler durante la partita contro il Tottenham, la società londinese ha prima denunciato i suoi tifosi, poi inviato le immagini delle telecamere a circuito chiuso alla polizia, per favorirne l’identificazione.

Immagini possibili solo dentro uno stadio di proprietà, è vero.

Ma senza bisogno di arrivare a tanto, Lotito potrebbe semplicemente inoltrare una denuncia verso ignoti, che già sarebbe un primo sostanziale passo verso la soluzione. Un segnale. Anche da giocarsi alla Uefa per dimostrare la propria concreta mobilitazione per arginare il problema, anziché presentarsi come farà domani con l’interpretazione del saluto romano. Con quale faccia, mi chiedo. Con quale speranza che non ti ridano giustamente dietro. Con quale sicurezza di evitare l’ennesima umiliazione di fronte al mondo intero. Davvero non capisco.

La società ha avuto tutto il tempo per agire in questo senso, invece ha preferito mostrare un’immagine passiva nei confronti del fenomeno, il sospetto che sia strumentale al discorso dello stadio di proprietà purtroppo si fa sempre più giustificato.

In questo contesto l’ultimo elemento da chiamare in causa è certamente l’ambiente mediatico romano, che tanto per non scontentare nessuno, si mette in gioco anch’esso per il titolo di peggior attore non protagonista.

Anni e anni di contestazione ed accanimento di fronte a ciascun errore anche trascurabile di questa presidenza, centinaia di ore passate a commentare il mancato arrivo di una punta o il mancato rinnovo di Diakité, e mai mezza parola di condanna per questi fenomeni. Un clima di totale omertà che ormai ammanta da più di un decennio questo ambiente, che pure sarebbe sovraffollato di personaggi di un certo livello e carisma, personaggi che ogni tanto potrebbero anche spendere un secondo del loro tempo commentando ed esprimendo una condanna del razzismo atavico di cui si macchia la tifoseria Laziale.

In questa assurda situazione di guerra, una guerra combattuta da ciascuno con armi sempre meno convenzionali, da una parte l’autolesionismo della tifoseria organizzata, dall’altra la passività ai limiti del masochismo della società, a rimetterci saranno come al solito i tifosi comuni, che vanno allo stadio semplicemente per ammirare i gol di Klose, sostenere le imprese di Hernanes, applaudire le staffilate da lontano di Candreva, le chiusure tempestive di Dias, le parate di Marchetti e che invece devono essere costretti a sperare disperatamente di non sentire nulla di strano quando il Balotelli di turno tocca il pallone, obbligati a fare pratica militante di antirazzismo, impossibilitati a sentirsi davvero il dodicesimo in campo, perché il dodicesimo, dopo l’ennesimo fallaccio, è stato giustamente espulso.